Al servizio civile si cresce. Questo è fuori discussione e non è solo uno slogan da depliant pubblicitario. La crescita che mi riguarda è sia personale che professionale. La prima è stata dirompente sin dal primo giorno, mi fa sempre molto effetto. La seconda è strisciante, silenziosa, stenta a palesarsi, ma c’è. E ho l’impressione che sarà sempre più consistente.

Quando, allo sportello della prima accoglienza, una persona costretta a vivere per strada si siede di fronte a te non è cordiale, ma è arrabbiata. Non è lì per parlare del più e del meno, ma per urlarti in faccia che la violazione dei diritti fondamentali lei non l’ha studiata su un libro a colori, ma la vive quotidianamente sulla sua pelle, nella totale ipocrisia degli astanti. Chi vive in strada è stanco, infastidito da tutto e da tutti, impertinente e insoddisfatto. Soprattutto, è estremamente esigente. Non ti dà tempo, non vuole compromessi, pretende una soluzione. Possibilmente immediata e soddisfacente. Non è grato e non è gratificato. Allora, per me, trovarmi faccia a faccia con gente che vive una quotidianità così infinitamente lontana dalla mia è una sfida a mantenere lo sguardo sempre alto e a reggere il confronto con il fallimento della società in cui vivo e in cui credo. E’ una sfida a non negare a queste persone almeno la soddisfazione dello sfogo, a non abbassare lo sguardo diventando uno dei tanti che non li ascolta e che non si sente responsabile di quanto accaduto. Allo sportello di prima accoglienza, attraverso le storie di queste persone, colgo l’essenza del welfare non abbastanza robusto, delle politiche sociali non strutturate, dell’abuso di potere dell’amministrazione pubblica;  della legge che è a volte espressione dei più forti e non si pone in difesa dei più deboli; do un volto a sentimenti quali “inganno”, “sopraffazione”, “impotenza”, “follia”, “vergogna”, “ignoranza”. A volte chi è stato ingannato è seduto lì davanti a me; a volte, invece, mi confronto con chi l’inganno l’ha ingegnato. In ogni caso, sto imparando che aiutare una persona nel momento di fragilità massima non è facile. Dirle di non poterla aiutare è difficilissimo. Tenere botta alla reazione immediatamente successiva mi costringe a rimettermi perennemente in gioco, è una sfida costante. Quando le cose finiscono bene è bello, ma è una goccia pulita che cade e si rimescola in un mare per me ancora troppo inquinato.
Per quanto mi faccia riflettere su aspetti negativi della realtà in cui viviamo e della natura umana in senso più generale, questa per me è una crescita personale preziosissima, seppur faccia crescere a dismisura il mio senso di impotenza, ma anche la gioia che riscopro nei piccoli gesti delle persone: ho aperto gli occhi su un mondo a me sconosciuto e ho modo di maturare una profonda consapevolezza su alcune caratteristiche della società, delle istituzioni, delle esperienze umane.

Parallelamente a questa “onda d’urto” che è lo sportello di prima accoglienza, il mio servizio civile si dipana in tante altre attività più standard.

La sede bolognese di Avvocato di strada è la madre dell’associazione, il padre, la culla; ha dato vita a un’associazione nazionale efficiente e che gode di buona fama, nonché di grandi numeri: sono 41 le sedi sparse sul territorio con le quali si mantiene un coordinamento costante.  Come ogni genitore premuroso, la sede di Bologna si “prende cura” anche delle altre sedi territoriali ed è quella che viene contattata per ogni novità o necessità. A Bologna c’è dunque il cuore pulsante di Avvocato di strada e questi primi mesi di servizio sono stati marcati anche dal lavoro necessario per far pompare bene questo cuore. Per questo motivo il lavoro di squadra che quotidianamente porto avanti con Cecilia, Giulia e Giusy è parte integrante del mio servizio: condividere tra di noi ogni novità, anche la meno rilevante, richiede tempo e affiatamento. Con loro sto imparando questo e molto di più. Imparo a lavorare in gruppo, integrando gli apporti di tutte nel risultato finale, facendomi influenzare anche dalle loro idee e ragionando a voce alta…perché so che qualcuna ascolterà i miei pensieri e mi butterà lì una proposta di soluzione. Frasi impercettibili, momenti di silenzio, scambi di battute informali, ma alle quali segue sempre una mia riflessione interiore, spunto di nuova crescita professionale. Attraverso questi preziosi momenti mi sento di essere divenuta parte di una squadra. E in questo modo ho capito che dei problemi non bisogna preoccuparsi, ma occuparsene.

Lavoriamo su tante questioni, alcune importanti altre poco influenti, ma che comunque vanno condivise e risolte sempre al meglio. Per questo motivo la logistica, la ricerca sui casi più rilevanti e l’organizzazione di eventi importanti per l’associazione sono attività rilevanti del mio lavoro da Avvocato di strada. Questo “dietro le quinte” è certamente meno affascinante rispetto al contatto diretto con gli utenti in difficoltà; è a tratti noioso, a tratti interessante, sempre e comunque impegnativo. Ma è in questi momenti che la motivazione per il progetto al quale aderisco mi sostiene di più: a darsi da fare e commuoversi di fronte a una persona che ti chiede aiuto ci vuole poco; a commuoversi di fronte ad archivi pubblici non aggiornati dal 2010 o a una pagina vuota da riempire o a un motore di ricerca da spulciare per trovare informazioni su avvenimenti specifici accaduti (forse) in un villaggio sperduto della Nigeria…è più difficile! Ma a spronarmi è il fatto di credere fermamente che quello a cui ho preso parte è un progetto nobile. Di quelle nobiltà che ti fanno tornare a casa con la schiena più dritta e non con le tasche più gonfie. E poi imparo a non rimandare gli impegni (le chiamate agli uffici comunali vanno fatte di mattina, quando sono di ottimo umore e piena di grinta!), a fissarmi degli obiettivi e rispettarne le scadenze. A prendermi del tempo quando è necessario (per esempio, per fare una ricerca che potrebbe cambiare la qualità di vita di una persona) e a mantenere la lucidità ed essere efficiente anche in momenti di stress (penso ai rotoli di carta regalo che sembravano spariti dal territorio bolognese proprio quando noi avremmo dato un rene pur di trovarne una manciata!). Ho imparato che bisogna curare ogni idea nel dettaglio e non essere grossolani; sul prezioso valore dell’ordine da tenere nella mente, sulla scrivania e tra le pagine dell’agenda ci sto ancora lavorando.

Elena

Volontaria Servizio Civile Nazionale, Avvocato di strada

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