L’accesso alla procedura di richiesta asilo e la possibilità di entrare in un sistema di accoglienza sono diritti pienamente garantiti dal diritto italiano ed europeo. Eppure, nella prassi, quello che accade è che le persone che ne fanno richiesta continuano ad incontrare barriere e ostacoli di carattere amministrativo che di fatto impediscono l’avanzamento di richieste di protezione internazionale e la politica produce nuove disposizioni che rendono sempre più difficile l’individuazione di posti in accoglienza nei termini previsti dalla normativa.
L’applicazione di queste prassi e politiche porta molte persone migranti a finire in strada. Vediamo come.
Il difficile accesso alla procedura di richiesta asilo
Sempre più frequenti in ogni città sono le interminabili liste d’attesa per l’ottenimento di un primo appuntamento presso la Questura, seppure la normativa di rifermento indichi un massimo di 10 giorni, entro i quali formalizzare la richiesta di asilo.
In molte città, come Milano, Verona e Trento, si registrano casi in cui l’attesa è giunta persino a 12 mesi.
In particolare, a Milano, nel corso dei mesi estivi la stessa questura ha comunicato la sospensione dell’utilizzo del portale online “Prenotafacile.it”, attivato solo a inizio aprile e reso disponibile per le persone considerate più fragili: over 60 anni e donne in stato di gravidanza. L’unico modo per accedere ai servizi dell’Ufficio Immigrazione è stato quello di presentarsi presso gli sportelli di associazioni e sindacati firmatari di una convezione con la Questura, rendendo perciò l’ottenimento di un appuntamento un retaggio per pochi – considerato poi il periodo di chiusure estive di molti enti.
Anche in questo caso, secondo la normativa italiana, le autorità competenti preposte alla ricezione delle domande asilo sono, oltre agli Uffici di Polizia di Frontiera, le Questure, eppure il loro compito è stato delegato anche questa volta agli enti del terzo settore, che risultano essere gli unici canali di accesso ad un diritto costituzionalmente garantito.
L’accesso al sistema di accoglienza: la circolare del Ministero dell’Interno
Il Ministero dell’Interno, attraverso la circolare emanata il 7 agosto 2023, ha introdotto delle nuove modalità per affrontare quella che viene definita “l’emergenza accoglienza”. Con essa è ordinato alle Prefetture di disporre la cessazione delle misure di accoglienza per tutti i soggetti che abbiano ottenuto il riconoscimento della protezione internazionale e speciale, anche nei casi in cui essi siano in attesa del rilascio del permesso di soggiorno e senza provvedere al loro trasferimento in una struttura del circuito SAI, il Sistema di Accoglienza e Integrazione. Nello specifico i centri a cui fa riferimento la direttiva sono i CAS, i centri di accoglienza straordinaria, i quali hanno nella teoria la funzione di prima accoglienza, ma che nella pratica accolgono per un tempo molto più lungo i richiedenti asilo, talvolta anche per anni. Tale prassi, ormai sistematica e in accordo alle direttive ministeriali, si pone in netto contrasto con quanto previsto dalla normativa italiana ed europea: infatti, i titolari di protezione internazionale hanno diritto di essere collocati nelle strutture di accoglienza, almeno fino alla ricezione del permesso di soggiorno (per cui, come illustrato sopra, i tempi d’attesa sono spesso molto lunghi).
Il Mistero ha giustificato tale decisione ritenendola necessaria al fine di assicurare il turn over nelle strutture di accoglienza e di garantire soluzioni di alloggio in favore degli aventi diritto, e cioè le persone migranti giunte nel periodo più recente.
Dunque, nonostante venga riconosciuta l’estrema difficoltà delle Prefetture a trovare nuove strutture in cui allestire altri CAS, non viene proposta alcun progetto o soluzione, e il problema di fatto va a gravare sul welfare locale, senza che esso disponga delle risorse necessarie per fronteggiarlo.
Si deve inoltre considerare come nella maggior parte dei casi, dopo il riconoscimento di una forma di protezione internazionale, non consegue l’immediata ricezione del permesso di soggiorno. Ciò comporta che le persone in questione non possono ricercare legalmente un lavoro, affittare un alloggio in cui dormire e vivere, o compiere tutte le altre attività che consentano le minime condizioni di sopravvivenza.
Da tale misura conseguono enormi problematiche sociali: migliaia di persone aventi diritto all’accoglienza sono costrette a lasciare le strutture di accoglienza in modo improvviso, senza che vengano offerte loro altre soluzioni abitative, senza che sappiano dove andare e a chi rivolgersi, finendo con ogni probabilità di vivere in strada.
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Eleonora Dell'Orto
Avvocato di strada Milano