“Pluraliweb – Storie di associazioni e volontari”, mensile online del CESVOT Centro servizi per il volontariato della Toscana intervista Antonio Mumolo, presidente di Avvocato di strada Onlus

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Furti d’identità, ecco cosa rischia chi vive in strada
Parla Antonio Mumolo, presidente dell’associazione che conta 700 avvocati volontari

di Rosa Rovini

“Avvocato di strada” si costituisce a Bologna nel 2000. Come nasce l’idea e come siete organizzati sul territorio nazionale?
“Avvocato di strada” nasce per tutelare i diritti delle persone che vivono in strada e favorirne il ritorno ad una vita comune. Chi vive in strada accumula una serie di problematiche legali che possono essere risolte solo con l’aiuto di un avvocato. In Italia la legge prevede che chi ha un reddito inferiore ai 10600 euro annui può chiedere il gratuito patrocinio, ovvero un avvocato che lavora gratuitamente e che viene pagato dallo Stato. Tutti i senza tetto hanno un reddito inferiore a questa cifra, ma non possono fare la domanda perché non hanno documenti e sono privi di residenza. Avvocato di strada nasce proprio per colmare questa lacuna. Oggi siamo presenti in oltre trenta città italiane e ogni nostra sede è organizzata come un vero e proprio studio legale.

Chi sono le persone che operano presso i vostri sportelli e in che modo è possibile diventare “Avvocato di strada”?
La nostra associazione è formata da circa 700 avvocati professionisti che hanno deciso di mettere al servizio dei più deboli una piccola parte del proprio tempo. Gli avvocati sono affiancati da altri volontari, pensionati, giovani praticanti, studenti di giurisprudenza, che si occupano dei compiti di segreteria, degli accompagnamenti degli assistiti, ecc. Se si vuole fare volontariato basta contattare le nostre sedi: da noi c’è sempre posto.

È possibile tracciare un identikit delle persone che si rivolgono a voi?
Un tempo il senzatetto ‘tipo’ era uomo adulto, solo e non scolarizzato, che prima di finire in strada era stato in carcere o in una comunità per tossicodipendenti. La crisi economica e l’allentarsi dei legami sociali e familiari hanno cambiato le cose: in strada troviamo uomini e donne, giovani e anziani, italiani e stranieri. Per finire in strada può essere sufficiente il verificarsi di un semplice evento che tutti nella vita hanno dovuto affrontare: un lutto, una separazione, una malattia o la semplice perdita del lavoro: se non ci sono amici o familiari a sostenerci le porte della strada si possono aprire per chiunque.

Nel 2012 “Avvocato di strada” ha assistito 2.575 persone. Ci può raccontare una storia particolarmente significativa e rappresentativa?
Voglio citare un caso che stiamo seguendo in questi giorni: un uomo che viveva in strada a Modena risultava essere a sua insaputa proprietario di una macchina che è stata utilizzata per una rapina, e per questo ha dovuto subire un processo. Quello dei furti d’identità è un caso che dobbiamo affrontare spesso: agli ignari senzatetto vengono intestate macchine, aziende e licenze, perché essendo senza residenza non possono essere trovati facilmente. Il nostro assistito aveva dato in buona fede i suoi documenti di identità a due truffatori che gli avevano promesso un lavoro: il PM ha chiesto la sua assoluzione e nei prossimi giorni uscirà la sentenza: teniamo le dita incrociate.

Tra i diritti negati alle persone senza fissa dimora, da sempre segnalate il diritto alla residenza anagrafica. Perché?

Quella per la residenza anagrafica è una delle nostre battaglie ‘storiche’. Chi vive in strada presto o tardi finisce per perdere la residenza e chi non ha la residenza non può votare, non può aprire una partita Iva, non può avere una casa popolare, non può ricevere una pensione neanche se ne ha diritto, non ha diritto all’assistenza dei servizi sociali e, cosa gravissima, non ha accesso al sistema sanitario nazionale se non per le cure di pronto soccorso. Nel nostro Paese la residenza anagrafica è talmente importante da essere garantita a chiunque dalla Costituzione. Il problema è che chi dovrebbe far rispettare questo diritto, e cioè il Comune, spesso oppone delle resistenze perché si ritiene che concedere la residenza significhi poi doversi accollare una serie di oneri. In realtà è vero il contrario: una persona che non ha la residenza è condannata a rimanere nel limbo dell’assistenzialismo puro, mentre a partire da quel diritto può cercare di ricostruire la propria vita.

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