I legali di Avvocato di strada, per le sedi di Bologna e di Verona, hanno di recente ottenuto due sentenze favorevoli relative ai requisiti richiesti dalla legge per l’accesso al Reddito di cittadinanza: prima il Tribunale veronese e poi quello bolognese hanno infatti statuito che per ottenere tale sussidio è sufficiente che il richiedente dimostri la propria stabile presenza sul territorio, anche in assenza di residenza anagrafica.
Il dato normativo
Va premesso che il reddito di cittadinanza, oggi abrogato e sostituito dall’”Assegno di inclusione”, è stata una misura di politica attiva del lavoro e di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale, disciplinato dal decreto-legge numero 4 del 2019, convertito in legge numero 26/2019.
Tra i requisiti previsti per l’accesso a tale beneficio economico, l’articolo 2 contempla il requisito della residenza in Italia “per almeno dieci anni, di cui gli ultimi due, considerati al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, in modo continuativo”.
La formulazione scelta dal legislatore stava a significare che il richiedente doveva aver avuto residenza in Italia per almeno un decennio e che negli ultimi due anni anteriori alla presentazione della domanda tale residenza doveva essere stata continuativa e tale deve rimanere per tutta la durata dell’erogazione del beneficio; ed è proprio sul requisito della residenza continuativa nel biennio antecedente alla domanda che si imperniano le cause decise dal Tribunale di Verona e da quello di Bologna.
Il caso di Verona
Con riguardo alla prima vicenda di Verona, i fatti di causa si riferiscono ad un uomo che è stato iscritto come residente nel Comune di Verona per 53 anni consecutivi, fino al 2013, anno in cui è stato cancellato dai registri dell’anagrafe per irreperibilità. Il signore, infatti, per via di condizioni economiche precarie, era stato costretto a trasferirsi in una roulotte in cui ha dimorato dal 2005 al 2020. La sua situazione è però mutata quando, nell’estate del 2020, è stato ricoverato per via di una polmonite da legionella, e, in quell’occasione, affidato ai servizi sociali, che segnalarono prontamente la sua situazione al Comune di Verona. Al termine del ricovero, impossibilitato a fare ritorno nella roulotte, nel frattempo smantellata, il signore venne iscritto all’anagrafe come residente in Via Olimpio Vianello n.0, via fittizia del Comune di Verona.
L’uomo, una volta terminato il ricovero, presenta una prima domanda di accesso al Reddito di Cittadinanza, in data 30 aprile 2021. L’INPS ritiene sussistenti in capo al richiedente i requisiti richiesti dalla normativa e procede ad erogare il sussidio, pari alla somma di cinquecento euro mensili, per tutto il periodo compreso tra maggio 2021 e ottobre 2022. Nel novembre 2022 termina il periodo dei 18 mesi di erogazione continuativa del sussidio: pertanto il ricorrente presenta una nuova domanda nel gennaio 2023. Anche in questo caso l’INPS riconosce la legittimità della richiesta ed eroga il servizio per il mese di febbraio 2023. Tuttavia, l’erogazione del sussidio viene sospesa dal mese successivo, senza un’apparente giustificazione.
È per tale motivo che il ricorrente si rivolge alla sede di Verona di Avvocato di strada, dove trova assistenza con gli avvocati Marco Occhipinti e Laura Parotto, che, preso in carico l’utente, procedono immediatamente ad una richiesta di accesso agli atti presso il Comune di Verona e presso l’INPS.
Da tale accesso emerge che il Comune lamentava al soggetto la sua irreperibilità anagrafica dal 2013 al 2020 e l’insufficienza degli elementi dallo stesso forniti per provare la sua stabile presenza sul territorio, testimoniata, tra le altre cose, da dichiarazioni di alcune persone da lui conosciute e da una ricetta elettronica veterinaria a suo nome.
D’altro canto, l’INPS, sollecitato a garantire l’accesso agli atti, comunicava la revoca del Reddito di Cittadinanza, con riferimento alla prima domanda del 30.4.2021, per assenza del requisito della residenza continuativa in Italia nel biennio antecedente la domanda e invece, con riferimento alla seconda domanda del 10.1.2023, per il mancato decorso del termine di 18 mesi previsto dalla legge per la presentazione di una nuova domanda dopo una precedente revoca del sussidio. Tuttavia, queste comunicazioni risultavano essere state inviate presso la via fittizia in cui il ricorrente risultava residente. L’inesistenza nella toponomastica civica di tale via è però nota agli operatori degli enti pubblici ed è facilmente evincibile dal numero civico “0” riportato nel registro dell’anagrafe. Per tale ragione, nessuna delle sopraindicate comunicazioni risultava conoscibile al ricorrente.
Le conclusioni del Tribunale di Verona
Il Tribunale di Verona ha precisato, in contrasto con la prassi messa in atto dall’INPS e dal Comune di Verona, che la residenza continuativa richiesta ai fini della soddisfazione del requisito ex art. 2 c.1 lett. a) n.2, consiste in una presenza effettiva nel territorio e non in una residenza meramente anagrafica. Per accertarne la sussistenza si deve pertanto procedere a una verifica di tipo sostanziale per cui gli operatori incaricati devono tenere in considerazione qualsiasi informazione utile in grado di dimostrare la stabile presenza del soggetto sul territorio, come prevede la normativa attuale. La necessità e la legittimità di tale particolare tipo di verifica, specialmente per le persone senza dimora, sono confermate da due note del Ministero del Lavoro, n. 1319/2020 e n. 3803/2020. Di conseguenza, se ne ricava che la residenza delle persone homeless coincide, secondo quanto affermato nella prima nota ministeriale ora citata, coi “luoghi nei quali hanno svolto abitualmente la maggioranza dei rapporti sociali nella vita quotidiana”, verificabili anche in via indiretta e indiziaria. Tesi, quest’ultima, ribadita nuovamente dallo stesso Ministero del Lavoro in una comunicazione pubblicata il 13/04/2022, dove si specifica che i richiedenti di RdC senza dimora, pur se cancellati dai registri dell’anagrafe per irreperibilità e privi dell’iscrizione anagrafica, possono provare la propria stabile presenza sul territorio nel biennio antecedente la domanda individuando e documentando in modo effettivo i luoghi frequentati e i rapporti sociali intrattenuti nella loro quotidianità.
Il Tribunale ha quindi accolto il ricorso presentato dai nostri legali, dichiarando sussistente il diritto del ricorrente alla percezione del Reddito di cittadinanza e stabilendo l’illegittimità dei provvedimenti di revoca come della richiesta di restituzione delle somme erogate. Ha condannato pertanto l’INPS al pagamento delle mensilità maturate ma non corrisposte e al rimborso delle spese di lite.
La pronuncia del Tribunale di Bologna
Alla medesima soluzione è recentemente giunto il Tribunale di Bologna, avendo affrontato anch’esso un caso analogo, portato alla sua attenzione da uno dei legali di Avvocato di Strada, per la sede di Bologna, l’avv. Fabio Iannaccone.
Anche nel contesto di questa vicenda, è emersa la necessità di ricavare la conferma della stabile presenza sul territorio di un individuo senza dimora privo dei requisiti anagrafici richiesti dalla legge per l’accesso al Reddito di Cittadinanza. Il richiedente il sussidio, al momento del ricorso, aveva infatti perso la residenza anagrafica per un periodo pari a circa un anno. Per tale ragione l’INPS aveva revocato il beneficio precedentemente corrisposto al soggetto e chiesto poi la restituzione delle somme versate nel corso del tempo. Anche in questa circostanza, l’ente lamentava la mancanza in capo al beneficiario del requisito della residenza continuativa nel biennio antecedente la presentazione della domanda.
Tuttavia, il ricorrente aveva allegato, sia nella richiesta di autotutela presentata all’ente, sia nel ricorso giudiziale, elementi oggettivi che consentivano documentare la sua presenza sul territorio, come prescrizioni mediche, un verbale di consegna delle chiavi di un appartamento o una dichiarazione di ospitalità presso una parrocchia a cui si era rivolto. Nonostante ciò, l’INPS non aveva ritenuto tali circostanze sufficienti alla soddisfazione dei requisiti di accesso e mantenimento per il beneficio. È stato proprio grazie a tali ulteriori elementi però che il Tribunale di Bologna ha potuto confermare la tesi secondo cui la residenza anagrafica ha valore meramente presuntivo, superabile mediante prova contraria.
Si è di conseguenza nuovamente giunti alla conclusione dell’inesistenza del diritto dell’INPS alla restituzione delle somme pagate e della sussistenza invece del diritto del ricorrente a percepire il beneficio per tutti i mesi successivi alla revoca. Il Tribunale ha quindi condannato l’INPS al pagamento delle spese legali e a tutti gli arretrati maturati in capo al richiedente.
Tali pronunce, sul solco della giurisprudenza riportata nelle note e della prassi affermata dal Ministero del Lavoro, mettono in luce la necessità di verifiche sostanziali per dimostrare la sussistenza tanto della residenza decennale quanto di quella biennale continuativa prima della domanda, di modo da superare la necessità del requisito della residenza anagrafica e garantire l’accesso alle persone senza dimora a misure economiche di sostegno che ne permettano l’inclusione sociale e professionale.
GIURISPRUDENZA
Tribunale di Verona, sezione Lavoro, sentenza n.578/2023, pubblicata 09/11/2023
Tribunale ordinario di Bologna, sezione Lavoro, 20/12/2023, causa n. 2310/22 R. G. LAV
Corte d’Appello Roma, Sez. delle persone, dei minori e della famiglia, Sentenza, 04.01.2022, n. 22.
Cass. civ., Sez. III, Sentenza, 14.05.2013, n. 11550.
Cass. civ., Sez. VI – 3, Ordinanza, 18.05.2020, n. 9049.
Cass. civ., Sez. III, Ordinanza, 03.08.2017, n. 19387.
Cass. civ., Sez. I, Sentenza, 25.09.2013, n. 21896
Cass. civ., Sez. lavoro, Sentenza, 22.12.2009, n. 26985.
T.A.R. Puglia Bari, Sez. III, 28/04/2022, n. 577.
Nota Ministero del Lavoro, n. 1319/2020
Nota Ministero del Lavoro n. 3803/2020
Comunicazione Ministero del Lavoro, pubblicata il 13/04/2022
Elena Lenzi
Tirocinante Avvocato di strada Bologna