Decreti di espulsione

I decreti di espulsione sono provvedimenti con cui lo Stato italiano dispone l’allontanamento dal suo territorio dei cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione europea e degli apolidi che non hanno titolo per soggiornarvi.

Tipologie

Le espulsioni si distinguono in amministrative e giudiziarie.

Sono espulsioni amministrative i provvedimenti amministrativi di espulsione (art. 13 D.lgs. n. 286/1998, Testo Unico sull’Immigrazione, di seguito TUI) disposti dall’autorità amministrativa, che si dividono in:

  1. espulsioni ministeriali disposte dal Ministro dell’Interno nei confronti di stranieri che siano ritenuti pericolosi per l’ordine pubblico o per la sicurezza dello Stato (ad esempio in caso di presunti legami con organizzazioni terroristiche) (art. 13, co.1 TUI);
  2. espulsioni prefettizie disposte dal prefetto nei confronti di stranieri che siano in posizione di soggiorno irregolare (art 13, co.2 TUI) ;

Sono espulsioni giudiziarie i provvedimenti di espulsione disposti dall’autorità giudiziaria in conseguenza di procedimenti penali, a loro volta suddivise in:

  1. espulsioni a titolo di misura di sicurezza (art 15 TUI) nei confronti dello straniero condannato per uno dei delitti per i quali è previsto l’arresto obbligatorio o facoltativo in flagranza (art 380-381 c.p.p.) e ritenuto socialmente pericoloso ( Approfondimento 4) ;
  2. d) espulsioni a titolo di misura alternativa alla detenzione (art 16, co.5 TUI) nei confronti del detenuto straniero:
  • in situazione di soggiorno irregolare,
  • in fase di espiazione di una condanna definitiva per reati non gravissimi,
  • negli ultimi due anni di esecuzione della pena;
  1. e) espulsioni a titolo di sanzione sostitutiva alla detenzione (art 16, co.1, TUI) nei confronti dello straniero:
  • in situazione di soggiorno irregolare,
  • che deve essere condannato per un reato non colposo, punito con una pena detentiva inferiore a due anni o per il reato di ingresso e soggiorno illegale (art. 10-bis, TUI) ( Approfondimento 4),
  • per il quale non esistono le condizioni per ordinare la sospensione condizionale;
  1. f) espulsioni a titolo di sanzione alternativa della pena pecuniaria (art. 16, TUI) applicabile dal giudice di pace in caso di condanna per i reati d’ingresso e soggiorno illegale (art. 10 bis, TUI) e d’inottemperanza, anche reiterata, all’ordine di allontanamento del questore (art. 14, co. 5 ter e quater, TUI).

 

Effetti ed esecuzione del decreto

Tutti i decreti comportano l’obbligo dello straniero di lasciare il territorio dello Stato.

Nei casi previsti dall’art. 13 comma 4 (ad esempio ove si ritenga esservi rischio di fuga), l’espulsione è eseguita in modo coercitivo tramite accompagnamento immediato alla frontiera da parte delle forze di polizia, con provvedimento disposto dal Questore.

Tale provvedimento dev’essere comunque comunicato entro 48 ore al giudice di pace, il quale fissa un’udienza a cui parteciperanno necessariamente l’interessato e un avvocato (in mancanza di nomina di un avvocato di fiducia ne verrà nominato uno d’ufficio) ed, entro le 48 ore successive, provvede o meno alla convalida. Lo straniero che possiede i requisiti, sarà ammesso al gratuito patrocinio a spese dello stato (si veda la scheda http://www.avvocatodistrada.it/materiali/sentenze-e-leggi/gratuito-patrocinio/).

Se il giudice convalida il provvedimento, esso diventa esecutivo, altrimenti perde ogni effetto. Contro il decreto di convalida si può proporre ricorso in Cassazione entro 60 giorni dalla notifica, ma tale ricorso non sospenderà necessariamente l’esecuzione dell’allontanamento dal territorio nazionale.

Per le espulsioni amministrative può essere concesso un termine compreso tra 7 e 30 giorni per la partenza volontaria, anche attraverso programmi di rimpatrio volontario e assistito. In questi casi possono essere disposte ulteriori misure: la consegna del passaporto, l’obbligo di dimora in un luogo determinato o l’obbligo di presentazione in giorni ed orari stabiliti presso un ufficio della forza pubblica. Queste ultime misure vengono adottate con un provvedimento motivato che dev’essere comunicato entro 48 ore al giudice di pace, il quale deve provvedere alla convalida nelle successive 48 ore.

Nella maggioranza dei casi i decreti di espulsione sono inoltre accompagnati dal divieto di reingresso nel territorio dell’Italia e degli altri Stati dell’area Schengen per un periodo di tempo determinato.

Il divieto di reingresso infatti può essere disposto per un periodo di 5 anni riducibile a 3 su richiesta del difensore e su accoglimento del giudice di pace nella sua decisione (art. 13, co.14,TUI).

In attesa della definizione del procedimento di convalida, il Questore dispone il trattenimento dello straniero in appositi centri di permanenza per i rimpatri (art 14 TUI) (v. Approfondimento 1) oppure, a seguito delle modifiche introdotte dal Decreto Salvini, presso “strutture diverse e idonee nella disponibilità dell’Autorità di pubblica sicurezza.

Se il trattenimento non può̀ essere attuato, il Questore può disporre l’ordine allo straniero espulso di lasciare il territorio dello Stato entro 7 giorni, corredato di sanzioni penali per la sua violazione (v. Approfondimento 4).

 

Impugnazioni

Tutti i provvedimenti di espulsione amministrativa hanno la forma del decreto, e devono essere motivati in fatto e in diritto (art. 13, co. 3, TUI).

Sono atti recettizi, cioè producono i loro effetti subito dopo essere stati notificati all’interessato. Essendo atti immediatamente esecutivi, l’impugnazione non sospende automaticamente l’espulsione, il che significa che l’eventuale accoglimento del ricorso può avvenire ad esecuzione avvenuta, quando il ricorrente è già fuori dei confini dell’UE e non potrà tornarci, se non previo rilascio di un nuovo visto d’ingresso.

Tuttavia, la Corte Costituzionale ha riconosciuto, in caso di opposizione a provvedimenti di espulsione, la possibilità per il giudice di sospendere il decreto di espulsione in via cautelare (Corte Cost. 31 maggio 2000, n.161).

Il ricorso contro il decreto di espulsione prefettizia (tipologia a) va presentato, a pena di inammissibilità, entro 30 giorni dal momento in cui è stato notificato il provvedimento, dinanzi al giudice di pace del luogo in cui ha sede l’autorità che ha disposto l’espulsione (art 18 D.Lgs 150/2011).

Per ottenere l’accoglimento del ricorso è necessario trovare dei giusti motivi, come ad esempio il fatto di rientrare in una delle categorie per cui è previsto il divieto di espulsione oppure di avere legami familiari nel territorio dello Stato o ancora, nel caso in cui il decreto non è sia tradotto nella lingua della persona colpita dall’espulsione e quest’ultima non sia stata assistita da un interprete (v. Approfondimento 3).

Qualora il giudice ritenga che l’espulsione sia stata emessa in difetto dei presupposti di legge, accoglie il ricorso con decreto motivato e revoca il provvedimento impugnato.

In caso di rigetto, l’ordinanza non è appellabile ma solo ricorribile in Cassazione.

Lo straniero deve stare in giudizio con l’assistenza di un difensore (se sprovvisto di difensore di fiducia, il giudice ne designerà uno d’ufficio) e ha diritto di accedere al patrocinio a spese dello Stato (http://www.avvocatodistrada.it/materiali/sentenze-e-leggi/gratuito-patrocinio/). L’assistenza da parte di un avvocato è tuttavia obbligatoria solo dopo la proposizione del ricorso, di conseguenza lo straniero può anche redigere personalmente il ricorso e depositarlo nella cancelleria del giudice di pace competente.

E’ possibile il ricorso collettivo (cioè sollevato congiuntamente da destinatari diversi) contro le espulsioni prefettizie, qualora:

  • i provvedimenti abbiano identico contenuto;
  • i ricorrenti si trovino nella stessa situazione;
  • i provvedimenti vengano impugnati per lo stesso motivo.

Diverso è il caso dei decreti di espulsione ministeriale (tipologia b), considerati atti di alta discrezionalità amministrativa e quindi insindacabili nel merito. Potrà essere impugnata l’adeguatezza formale della motivazione davanti al giudice amministrativo (TAR del Lazio, sede di Roma) (art. 13, co.11 TUI), entro 30 giorni dal momento in cui è stato notificato il provvedimento,

Diverse sono i tipi di impugnazioni contro le espulsioni giudiziarie.

Come sottolineato dalla Cassazione, con sentenza n. 23704/2013, il decreto di espulsione a titolo di misura di sicurezza (tipologia c) non è immediatamente operativo, ma presuppone il successivo intervento del magistrato di sorveglianza. L’espulsione può essere revocata se il giudizio di pericolosità viene meno. L’interessato o il suo difensore possono fare istanza di revoca ex art. 679 c.p.p. e contro i provvedimenti del magistrato di sorveglianza è possibile proporre appello al tribunale di sorveglianza ex art. 680 c.p.p., ma l’appello non ha effetto sospensivo, salvo che il tribunale disponga altrimenti.

Contro il decreto di espulsione a titolo di misura alternativa alla detenzione (tipologia d) è possibile opposizione di fronte al tribunale di sorveglianza entro 10 giorni dalla comunicazione del decreto allo straniero; il tribunale decide nel termine di 20 giorni (art. 16, co. 6, TUI).

Diversamente, l’espulsione a titolo di sanzione sostitutiva alla detenzione (tipologia e) è disposta dal giudice nella pronuncia di sentenza di condanna o patteggiamento, appellabile con i mezzi ordinari di impugnazione. 

Le fonti disciplinanti i sistemi di allontanamento sono sia interne che sovranazionali.

Fonti interne:

 

Fonti comunitarie:

  • Direttiva 2001/40/CE relativa al riconoscimento reciproco delle decisioni di allontanamento dei cittadini di Paesi terzi recepita con D.Lgs 12/2005;
  • Direttiva relativa all’assistenza durante il transito nell’ambito di provvedimenti di espulsione per via aerea 2003/110/CE recepita con D.Lgs. 24/2007;
  • Regolamento CE 15.3.2006 n. 562/2006 (codice frontiere Schengen);
  • Direttiva 2008/115/CE recepita con L.129/2011 (c.d. direttiva rimpatri).

 

Fonti internazionali:

  • 3 e 5 della Convenzione europea per la salvaguardia de diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU);
  • 4 (divieto di espulsioni collettive di stranieri) del Protocollo IV alla CEDU;
  • 1 del Protocollo VII alla CEDU che prevede le garanzie procedurali in caso di espulsioni;
  • 33 della Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati (principio di non refoulement).

Massima: “In tema di espulsione del cittadino straniero, secondo il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2 bis, si deve tenere conto, nei confronti dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare, della natura e dell’effettività dei vincoli familiari dell’interessato, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale, oltre che dell’esistenza dei legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese di origine. Ciò si applica, con valutazione caso per caso, in coerenza con la direttiva comunitaria 2008/115/CE, anche al cittadino straniero che abbia legami familiari nel nostro Paese anche se non ha richiesto formalmente il ricongiungimento familiare”.

Massima: “In tema di espulsione del cittadino straniero, qualora questo non eserciti il diritto al ricongiungimento familiare, i suoi legami familiari nel territorio dello Stato, per consentire l’applicazione della tutela rafforzata ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2 bis, devono essere soggettivamente qualificati ed effettivi e il giudice di merito è tenuto a darne conto adeguatamente, sulla base di vari elementi, come l’esistenza di un rapporto di coniugio e la durata del matrimonio, la nascita di figli e la loro età, la convivenza, la dipendenza economica dei figli maggiorenni e dei genitori, le difficoltà che essi rischiano di trovarsi ad affrontare in caso di espulsione ed altri fattori che testimonino l’effettività di una vita familiare. In mancanza di “legami familiari” qualificati in questo senso, non è possibile ricorrere ai criteri suppletivi della durata del soggiorno, dell’integrazione sociale nel territorio nazionale e dei legami familiari, culturali o sociali con il Paese d’origine”.

Massima: “E’ manifestamente infondato il ricorso avverso il decreto di proroga del trattenimento di uno straniero presso il CIE se la proroga è stata concessa sussistendo i presupposti. Nel caso in specie, la questura era in attesa delle informazioni richieste all’ambasciata afgana in Italia ai fini dell’identificazione del trattenuto”.

Massima: “E’ rigettata la domanda di proroga del trattenimento presso il CIE qualora il ritardo nelle procedure preordinate all’esame della domanda non siano imputabili al richiedente. Nel caso in specie, il richiedente trattenuto ha fatto ingresso nell’area Schengen in uno stato diverso dall’Italia ed era stata attivata la procedura Dublino che non aveva risposto in tempo utile”.

Massima: “Il Giudice di Pace in sede di convalida del trattenimento è tenuto a valutare i profili di manifesta illegittimità del decreto di espulsione ed a considerare la sussistenza delle ragionevoli prospettive di rimpatrio dello straniero espulso (art. 15 par. 4 dir. 2008/115/CE), in assenza delle quali il trattenimento perde di legittimità. 

Il caso in specie riguardava una donna apolide di fatto, residente in Italia da oltre 20 anni e madre di 5 figli, dei quali 4 minorenni, attinta da decreto di espulsione amministrativa e trattenuta nel CIE di Roma. La donna viveva con la famiglia in una casa di proprietà del marito, regolarmente soggiornante in Italia. La sua condizione di apolide di fatto, risultante dal verbale di identificazione allegato al decreto di espulsione, era in evidente contrasto con la possibilità di effettuare concretamente il rimpatrio”.

Massima: “In tema di mancata assunzione del lavoratore straniero soggetto a espulsione e risarcimento del danno, l’applicazione effettiva dell’espulsione disposta con sentenza non è immediatamente operativa, ma presuppone il successivo intervento del magistrato di sorveglianza e, in caso di impugnazione delle determinazioni di quest’ultimo, del tribunale di sorveglianza. Di conseguenza, l’ordine di espulsione disposto con la sentenza non produce, prima del giudizio di pericolosità sociale, la condizione soggettiva di straniero espulso o che deve essere espulso, comportante, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998 art. 21, il rifiuto del rinnovo o la revoca del permesso di soggiorno.”

Massima: “La Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 (Disposizioni sull’ingresso, il soggiorno e l’allontanamento dal territorio dello Stato), nella parte in cui prevede che la valutazione discrezionale in esso stabilita si applichi solo allo straniero che «ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare» o al «familiare ricongiunto», e non anche allo straniero «che abbia legami familiari nel territorio dello Stato»”.

Massima: “In tema di espulsione del cittadino straniero, la Corte di Cassazione ha ribadito che non può essere espulso lo straniero che è entrato nel territorio dello Stato con un visto generale “Schengen”. Il caso ha riguardato un cittadino di cittadinanza albanese ed oriundo greco che, pur essendo in possesso di regolare passaporto Schengen, veniva colpito da un provvedimento di espulsione per essere entrato, a detta dell’autorità amministrativa italiana, privo di visto di ingresso, così come previsto dal D.Lgs. n. 286/1998.”

Massima: “In tema di espulsione di stranieri, la Corte supera il concetto di presunzione di conoscenza di una delle tre lingue veicolari e prospetta la necessarietà di un riferimento alla banca dati informatica nella  lingua dello straniero, in quanto le nuove tecnologie consentono una rapida traduzione, anche senza la necessità di un interprete”.

Massima: “In applicazione del principio in base al quale, in tema di immigrazione e di divieto di espulsione previsto dall’art. 19 del D.Lgs. n. 286 del 1998, non è richiesto, per il parente convivente di cittadino italiano, che sia stata avanzata richiesta di cittadinanza, ai fini dell’operatività del divieto di espulsione. Il ricorrente era cittadino straniero convivente con la madre e con la propria figlia, entrambe cittadine italiane”.

Massima: “In tema di espulsione di stranieri, è legittima l’espulsione di uno straniero con numerosi precedenti penali, nel caso di specie, spaccio di sostanze stupefacenti, anche se coniugato con una cittadina italiana”.

Massima: “In merito al procedimento giurisdizionale di decisione sulla richiesta di proroga del trattenimento presso un Centro di Permanenza Temporanea dello straniero già sottoposto a tale misura per il primo segmento temporale previsto dalla legge, la Corte ha stabilito che le garanzie del contraddittorio, consistenti nella partecipazione necessaria del difensore e nell’audizione dell’interessato, previste esplicitamente dall’art. 14, quarto comma del d.lgs n. 286 del 1998 per il primo trattenimento devono essere assicurate anche per la decisione sulla richiesta di proroga”.

Massima: “La Corte Costituzione dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 8, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), e successive modifiche ed integrazione, nella parte in cui non consente l’utilizzo del servizio postale per la proposizione diretta, da parte dello straniero, del ricorso avverso il decreto prefettizio di espulsione, quando sia stata accertata l’identità del ricorrente in applicazione della normativa vigente”.

Massima: “La Corte Costituzione dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 8, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), e successive modifiche ed integrazione, nella parte in cui non consente l’utilizzo del servizio postale per la proposizione diretta, da parte dello straniero, del ricorso avverso il decreto prefettizio di espulsione, quando sia stata accertata l’identità del ricorrente in applicazione della normativa vigente”.

  • Cass sent.n. 24710 del 18/06/2008.

GIURISPRUDENZA EUROPEA:

Massima: “La Corte di Giustizia UE dichiara che l’articolo 2, paragrafo 1, e l’articolo 3, punto 2, della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, devono essere interpretati nel senso che un cittadino di un paese terzo soggiorna in modo irregolare nel territorio di uno Stato membro ricadendo nell’ambito di applicazione di tale direttiva, quando, senza soddisfare le condizioni d’ingresso, di soggiorno o di residenza, transita in tale Stato membro in quanto passeggero di un autobus, proveniente da un altro Stato membro, appartenente allo spazio Schengen, e diretto in un terzo Stato membro al di fuori di detto spazio. 2) La direttiva 2008/115 dev’essere interpretata nel senso che osta alla normativa di uno Stato membro che consenta, in conseguenza del mero irregolare ingresso attraverso una frontiera interna, il quale determina il soggiorno irregolare, la reclusione di un cittadino di un paese terzo, nei confronti del quale non sia stata ancora conclusa la procedura di rimpatrio prevista dalla direttiva stessa”

Massima: “La Corte di Giustizia UE ha dichiarato che la direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, prevedono la sospensione del ricorso proposto contro una decisione che ordina a un cittadino di paese terzo affetto da una grave malattia di lasciare il territorio di uno Stato membro, quando l’esecuzione di tale decisione può esporre tale cittadino a un serio rischio di deterioramento grave e irreversibile delle sue condizioni di salute, oltre che la presa in carico, per quanto possibile, delle necessità primarie del cittadino per garantire che le prestazioni sanitarie d’urgenza e il trattamento essenziale delle malattie possano effettivamente essere forniti nel periodo durante il quale tale Stato membro è tenuto a rinviare l’allontanamento del medesimo cittadino di paese terzo in seguito alla proposizione di tale ricorso”

Massima: “La Corte di Giustizia UE ha dichiarato che gli Stati membri non possono introdurre, al fine di ovviare all’insuccesso delle misure coercitive adottate per procedere all’allontanamento coattivo conformemente all’art. 8, n. 4, della direttiva 2008/115, una pena detentiva, come quella prevista dal decreto legislativo n. 286/1998, solo perché un cittadino di un paese terzo, dopo che gli è stato notificato un ordine di lasciare il territorio di uno Stato membro e che il termine impartito con tale ordine è scaduto, permane in maniera irregolare nel territorio nazionale. Essi devono, invece, continuare ad adoperarsi per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio, che continua a produrre i suoi effetti”

  • Iannuzzi , Il diritto delle espulsioni: evoluzione legislativa e prassi applicativa, Ed. Scientifiche Italiane, 2006;
  • Romanotto, Bonetti, Espulsioni a titolo di misura di sicurezza, in it, 2009
  • Savio, Bonetti, L’allontanamento dal territorio dello Stato dello straniero extracomunitario in generale, in it, 2012;
  • Savio, Espulsioni e respingimenti: i profili sostanziali, in it, 2016.
  • Savio, La tutela giurisdizionale avverso i provvedimenti amministrativi di allontanamento, in it, 2017.
  • Spitaleri, Il rimpatrio dell’immigrato in condizione di soggiorno irregolare: il difficile equilibrio tra efficienza delle procedure e garanzie in favore dello straniero nella disciplina dell’Unione europea, in Le garanzie fondamentali dell’immigrato in Europa, a cura di Amadeo, Spitaleri, Ed. Giappichelli, 2015.
  1. Cosa sono i CPR (Centri di Permanenza per i Rimpatri)

I CPR (ex CIE) sono strutture dove possono essere trattenuti in condizione di privazione della libertà personale i cittadini stranieri destinatari di un provvedimento espulsivo che debba essere eseguito, in caso di impedimenti temporanei all’ esecuzione immediata dell’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera.

Il questore dispone in questi casi il trattenimento dello straniero “per il tempo strettamente necessario” nel CPR più vicino.

Entro 48 ore dall’adozione del provvedimento, il questore trasmette copia degli atti al giudice di pace territorialmente competente, affinché questi proceda nelle successive 48 ore a convalidarlo o meno. A tal fine il giudice fissa un’udienza per la quale lo straniero ha diritto all’assistenza legale: può designare un difensore di fiducia oppure farsi assistere da un avvocato d’ufficio, in ogni caso può avvalersi del gratuito patrocinio.

Se convalidato, il provvedimento comporta la permanenza nel CPR per un periodo di 30 giorni, che il giudice, su richiesta del questore, può prorogare di ulteriori 30 giorni “qualora l’accertamento dell’identità e della nazionalità ovvero l’acquisizione di documenti per il viaggio presenti gravi difficoltà”. Il questore può chiedere al giudice altre proroghe, alla cui richiesta si applicano le stesse garanzie previste per il procedimento di convalida della prima frazione temporale del trattenimento (Cass. civ., sez. VI, n.12709/2016), ma il periodo massimo di trattenimento del CPR non può in ogni caso superare i 180 giorni. Una deroga è prevista per gli ex-detenuti che hanno già trascorso in carcere un periodo di 180 giorni: in questo caso il trattenimento nel CPR può durare al massimo 30 giorni, termine tuttavia prorogabile di ulteriori 15 giorni “nei casi di particolare complessità delle procedure di identificazione e di organizzazione del rimpatrio” (art 14, co.5, T.U.I).

In base alla legge “lo straniero è trattenuto nel centro con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della sua dignità” (art 14.2 T.U.I.). Tuttavia, la permanenza dello straniero nella struttura corrisponde di fatto ad una detenzione, venendo quest’ultimo privato della libertà personale.

Sin dalle prime pronunce in materia la Corte Costituzionale ha affermato che “il trattenimento dello straniero presso i centri di permanenza temporanea e assistenza è misura incidente sulla libertà personale, che non può essere adottata al di fuori delle garanzie dell’articolo 13 della Costituzione. (…) Si determina dunque nel caso del trattenimento, anche quando questo non sia disgiunto da una finalità di assistenza, quella mortificazione della dignità dell’uomo che si verifica in ogni evenienza di assoggettamento fisico all’altrui potere e che è indice sicuro dell’attinenza della misura alla sfera della libertà personale” (Corte Costituzionale, sent. 105/2001). Anche la Corte di Cassazione ha affermato che “il trattenimento costituisce una misura di privazione della libertà personale, legittimamente realizzabile soltanto in presenza delle condizioni giustificative previste dalla legge e secondo una modulazione dei tempi rigidamente predeterminata” (Cass., Sez. VI Civ., 18748/2015).

 

Le modalità del trattenimento nei C.P.R. sono poi disciplinate dall’art. 21 del Regolamento di attuazione, che di seguito si riporta:

1.  Le modalità del trattenimento devono garantire, nel rispetto del regolare svolgimento della vita in comune, la libertà di colloquio all’interno del centro e con visitatori provenienti dall’esterno, in particolare con il difensore che assiste lo straniero, e con i ministri di culto, la libertà di corrispondenza, anche telefonica, ed i diritti fondamentali della persona, fermo restando l’assoluto divieto per lo straniero di allontanarsi dal centro.

  1. Nell’ambito del centro sono assicurati, oltre ai servizi occorrenti per il mantenimento e l’assistenza degli stranieri trattenuti o ospitati, i servizi sanitari essenziali, gli interventi di socializzazione e la libertà del culto, nei limiti previsti dalla Costituzione.
  2. Allo scopo di assicurare la libertà di corrispondenza, anche telefonica, con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, sono definite le modalità per l’utilizzo dei servizi telefonici, telegrafici e postali, nonché i limiti di contribuzione alle spese da parte del centro.
  3. Il trattenimento dello straniero può avvenire unicamente presso i centri di permanenza per i rimpatri individuati ai sensi dell’articolo 14, comma 1 del testo unico, o presso i luoghi di cura in cui lo stesso è ricoverato per urgenti necessità di soccorso sanitario.
  4. Nel caso in cui lo straniero debba essere ricoverato in luogo di cura, debba recarsi nell’ufficio giudiziario per essere sentito dal giudice che procede, ovvero presso la competente rappresentanza diplomatica o consolare per espletare le procedure occorrenti al rilascio dei documenti occorrenti per il rimpatrio, il questore provvede all’accompagnamento a mezzo della forza pubblica.
  5. Nel caso di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente residente in Italia, o per altri gravi motivi di carattere eccezionale, il giudice che procede, sentito il questore, può autorizzare lo straniero ad allontanarsi dal centro per il tempo strettamente necessario, informando il questore che ne dispone l’accompagnamento.
  6. Oltre al personale addetto alla gestione dei centri e agli appartenenti alla forza pubblica, al giudice competente e all’autorità di pubblica sicurezza, ai centri possono accedere i familiari conviventi e il difensore delle persone trattenute o ospitate, i ministri di culto, il personale della rappresentanza diplomatica o consolare, e gli appartenenti ad enti, associazioni del volontariato e cooperative di solidarietà sociale, ammessi a svolgervi attività di assistenza a norma dell’articolo 22 ovvero sulla base di appositi progetti di collaborazione concordati con il prefetto della provincia in cui è istituito il centro.
  7. Le disposizioni occorrenti per la regolare convivenza all’interno del centro, comprese le misure strettamente indispensabili per garantire l’incolumità delle persone, nonché quelle occorrenti per disciplinare le modalità di erogazione dei servizi predisposti per le esigenze fondamentali di cura, assistenza, promozione umana e sociale e le modalità di svolgimento delle visite, sono adottate dal prefetto, sentito il questore, in attuazione delle disposizioni recate nel decreto di costituzione del centro e delle direttive impartite dal Ministro dell’interno per assicurare la rispondenza delle modalità di trattenimento alle finalità di cui all’articolo 14, comma 2, del testo unico.
  8. Il questore adotta ogni altro provvedimento e le misure occorrenti per la sicurezza e l’ordine pubblico nel centro, comprese quelle per l’identificazione delle persone e di sicurezza all’ingresso del centro, nonché quelle per impedire l’indebito allontanamento delle persone trattenute e per ripristinare la misura nel caso che questa venga violata. Il questore, anche a mezzo degli ufficiali di pubblica sicurezza, richiede la necessaria collaborazione da parte del gestore e del personale del centro che sono tenuti a fornirla”.

 

  1. Possibilità di chiedere protezione internazionale nei CPR

Lo straniero trattenuto nel CPR ha diritto di ricevere, a cura del gestore del centro, le informazioni sulla possibilità di richiedere protezione internazionale, tramite la consegna dell’opuscolo informativo previsto dall’art. 10, co.1, d.lgs. 25/2008 e di presentare la relativa domanda.

In caso di presentazione della domanda di protezione internazionale il richiedente asilo rimane trattenuto nel centro solo se destinatario di un decreto di espulsione amministrativa e se “vi sono fondati motivi per ritenere che la domanda di protezione è stata presentata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione dell’espulsione” (art. 6, co.3, d.l. 142/2015). Poiché non vi sono criteri oggettivi e soggettivi per definire una richiesta d’asilo come strumentale, la valutazione è rimessa al questore e può essere contestata dal richiedente in sede di udienza di convalida, per la quale è competente il Tribunale. La giurisprudenza ha inoltre sottolineato che la strumentalità della domanda di protezione non può essere decontestualizzata dalle emergenze dell’istruttoria, che presuppone l’audizione del trattenuto richiedente asilo (Trib. di Torino, sez. civ. IX, ord. 03.02.2017 in asgi.it ).

 

  1. Divieti di espulsione

Divieto di refoulement

L’espulsione non può essere disposta verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, sesso, lingua, cittadinanza, religione, opinioni politiche, condizioni personali o sociali oppure possa rischiare di essere rinviato in un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione (art 19 TUI). Questo divieto attua il principio di non refoulement sancito dall’articolo 33 della Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati.

Il divieto opera d’ufficio, cioè in modo automatico, per lo straniero richiedente asilo. Il diritto del richiedente asilo di rimanere nel territorio dello Stato durante l’esame della domanda di protezione internazionale è inoltre sancito dall’art. 7 del D.Lgs. 25/2008.

Divieti espliciti

Salvo che nelle ipotesi di espulsioni ministeriali per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, è anche vietata l’espulsione di (art. 19, co. 2, TUI):

  • stranieri minori di diciotto anni, salvo il diritto di seguire il genitore o l’affidatario espulsi;
  • titolari di permesso di soggiorno CE di lungo periodo;
  • stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado o con il coniuge di nazionalità italiana;
  • donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono e mariti conviventi con esse.

Rilevanza dei legami familiari

In base all’art. art. 13, co. 2 bis, nel decretare l’espulsione dello straniero che abbia esercitato “il diritto al ricongiungimento familiare o del familiare ricongiunto” deve tenersi conto “della natura ed effettività dei vincoli familiari dell’interessato, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine”.

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 202 del 18 luglio 2013 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, co. 5 nella parte in cui prevede che quest’ultima valutazione si applichi solo allo straniero che “ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare” o al “familiare ricongiunto” e non anche allo straniero “che abbia legami familiari nel territorio dello Stato”. Ne deriva che nel decretare l’espulsione dello straniero si debba seguire l’interpretazione data dalla Corte Costituzionale e dunque tenere conto dei legami familiari nel territorio dello Stato anche dello straniero che non abbia esercitato il diritto al ricongiungimento familiare (in tal senso si veda Cass. civ. sez. I, n. 781/2019). 

Anche l’art. 5 della direttiva 2008/115 cd. “direttiva rimpatri” precisa che gli Stati membri debbano tenere “nella debita considerazione” la “vita familiare” e le “condizioni di salute” dello straniero, nonché l’ “interesse superiore” dei bambini eventualmente coinvolti nel procedimento di espulsione.

 

  1. Reati connessi alle espulsioni

Lo straniero che, senza giustificato motivo, non ottemperi entro sette giorni all’ordine di allontanamento disposto dal questore, commette un reato punito con:

  • multa da 10.000 a 20.000 € in caso di respingimento o espulsione disposti con accompagnamento immediato (art. 13, co. 4, TUI) oppure se lo straniero si è sottratto ai programmi di rimpatrio assistito;
  • multa da 6.000 a 15.000 € in caso di espulsione corredata dalla concessione di un termine per la partenza volontaria (art. 13, co.5, TUI).

Il reato connesso alle violazioni delle misure imposte nel caso di concessione del termine per la partenza volontaria e in alternativa al trattenimento è punito con multa da 3.000 a 18.000 € (art. 13, co. 5.2, TUI).

Lo straniero espulso non può rientrare prima della scadenza del termine di divieto di reingresso indicato nel provvedimento espulsivo, se non con una speciale autorizzazione del Ministro dell’Interno. Il reato di reingresso illegale è punito con la reclusione da uno a quattro anni (art. 13, co.13, TUI) e accompagnamento alla frontiera.

 

  1. Giurisprudenza in materia di espulsioni

Riguardo alle espulsioni a titolo di misure di sicurezza la Cassazione con sentenza n.12741/2013 ha affermato che in caso di reati di spaccio di sostanze stupefacenti, la pericolosità sociale non può essere presunta ma il giudice ha il dovere di accertarla in concreto e, sulla base di questo accertamento, deliberare l’applicabilità o meno dell’ordine di espulsione. La verifica della pericolosità sociale era comunque già stata ribadita dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 58/1995, in quanto tutte le espulsioni a titolo di misura di sicurezza disposte nei confronti degli stranieri rientrano nel sistema generale delle misure di sicurezza.

La pericolosità sociale viene rilevata dal giudice quando ritiene probabile che una persona possa commettere nuovi reati ed è connessa ad alcuni indici previsti dal codice penale (artt. 133, 203, c.p):

  • motivi a delinquere,
  • carattere del reo,
  • sussistenza di precedenti penali e giudiziari,
  • condotta contemporanea o susseguente al reato,
  • condizioni di vita individuale, familiare e sociale.

Verso lo straniero che abbia ottenuto lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria è fermo il divieto di espulsione verso un Paese in cui non vede effettivamente tutelati i suoi diritti (art. 20 D. Lgs. n. 251/2007).

Le espulsioni a titolo di sanzione sostitutiva della pena sono state spesso utilizzate a titolo di sanzione sostitutiva della pena per il reato di ingresso o soggiorno illegale nel territorio dello Stato (art. 10 bis, T.U), ma con la sentenza n. 949/2013 la Cassazione ha giudicato che l’applicazione dell’espulsione in sostituzione della pena pecuniaria è subordinata al rispetto delle indicazioni contenute nell’art. 7 della direttiva rimpatri, cioè alla verifica in concreto del pericolo di fuga o della circostanza che l’interessato costituisca un pericolo per l’ordine pubblico.

In tema di impugnazioni contro decreti di espulsione prefettizia si segnalano due  recenti casi in cui i ricorsi sono stati accolti:

1) Il Giudice di Pace di Palermo con ordinanza del 15 aprile 2016 ha annullato un provvedimento di espulsione per difformità della traduzione in lingua francese del decreto prefettizio rispetto all’ originale in lingua italiana.

2) Il Giudice di Pace di Genova con ordinanza del 25 Gennaio 2016 ha annullato il decreto opposto in quanto “alla luce dei principi richiamati dalla sent. n. 21799/10 Cass. SS.UU, l’allontanamento del padre costituirebbe un danno effettivo e grave per il figlio”.

Pagina a cura di

Lara Faustini Fustini

Lara Faustini Fustini

Volontaria Avvocato di strada

Email: faustinifustini.lara et gmail.com

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