Avvocato di strada ODV ha aderito alla XVII Settimana d’azione contro il razzismo – Keep Racism Out, attraverso il progetto Chi è il “diverso”? Conoscere per non discriminare realizzato con il contributo dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali – UNAR.

Nei vent’anni di attività legale della nostra Associazione ci siamo spesso trovati ad affrontare gravi forme di razzismo e di discriminazione che ostacolano l’integrazione delle persone straniere. Come attori direttamente impegnati sul campo, riteniamo sia sempre più urgente la necessità di creare informazione “pulita” e consapevolezza sulle tematiche dell’immigrazione, della diversità e del divario sociale ed economico, che oggi generano episodi concreti di discriminazione e di violenza. Si tratta di argomenti di cui spesso si parla, ma raramente con cognizione e consapevolezza.

L’obiettivo che Avvocato di strada cerca di perseguire dalla sua nascita è quello di realizzare una società coesa, pluralista, aperta e rispettosa di diritti e doveri.

Con questo intento abbiamo dato forma al progetto Chi è il “diverso”? Conoscere per non discriminare.

L’approccio che abbiamo utilizzato è, almeno in parte, di denuncia, per stimolare un dibattito serio e strutturato sul concetto di dignità umana e di uguaglianza. Tuttavia, abbiamo ritenuto opportuno soffermarci e presentare le buone prassi esistenti e seguite.

Nello sviluppare il nostro ragionamento siamo partiti da uno degli articoli della Carta Costituzionale che ci sta più a cuore e che guida la nostra attività giornalmente: l’art. 3 della Costituzione Italiana che solennemente sancisce il principio di uguaglianza. Abbiamo “spacchettato” il contenuto dell’articolo, nelle sue componenti di eguaglianza formale e sostanziale, e abbiamo realizzato, grazie al prezioso contributo dei partner coinvolti, diverse iniziative.

Le attività del progetto si sono svolte nella XVII Settimana d’azione contro il razzismo, dal 21 al 27 marzo 2021.

ATTIVITÀ REALIZZATE

Convegno “IO NON SONO RAZZISTA MA…: discriminazioni sistemiche e ordinamento italiano”

Interventi
Saluti del presidente di Avvocato di strada, Antonio Mumolo

“Tutte le discriminazioni sono differenze ma non tutte le differenze sono discriminazioni”
a cura di Michele Corradino
Presidente di Sezione del Consiglio di Stato – III Sezione giurisdizionale

“Parole, diritti e discriminazioni”
a cura di Alessandra Ballerini
Avvocato civilista specializzato in diritti umani e migrazioni

“Raccontare gli invisibili: flussi migratori e diritti umani negati”
a cura di Angela Caponnetto
Giornalista di RaiNews24 esperta di politiche migratorie italiane ed europee

Il convegno è stato moderato da:
Nadeesha Uyangoda
Giornalista freelance, autrice del libro “L’unica persona nera nella stanza” (2021, 66thand2nd)

> RIVEDI IL CONVEGNO

“Rimuovere gli ostacoli”. Monologo dell’attore Mario Perrotta dedicato all’Art. 3, comma 2 della Costituzione

Il monologo dell’attore e regista Mario Perrotta ripercorre i passi del secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione, una norma non solo programmatica, ma anche effettiva, volta al raggiungimento della c.d. eguaglianza sostanziale.

Questa disposizione, infatti, richiede che la Repubblica intervenga attivamente nell’osteggiare le discriminazioni razziali e multiple, rimuovendo gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana.

Mario Perrotta, autore, attore e regista teatrale, è considerato una delle voci più significative del panorama teatrale italiano. Le sue drammaturgie dal forte impatto civile, da lui stesso dirette e interpretate in Italia, sono tradotte e messe in scena anche all’estero in diverse lingue e in contesti importanti tra i quali il Festival d’Avignone e il New York Solo Festival (Premio come Migliore drammaturgia straniera nel 2018). Finalista per nove volte agli Oscar del teatro italiano, i Premi Ubu, vince nel 2011, 2013 e 2015 come interprete, drammaturgo, e regista di progetti articolati con centinaia di artisti coinvolti. Attualmente è impegnato nella trilogia In nome del padre, della madre, dei figli, dedicata alle figure chiave delle famiglie millennial, con la consulenza alla drammaturgia di Massimo Recalcati. Il primo capitolo In nome del padre ha debuttato al Piccolo Teatro di Milano ed è stato finalista agli ultimi Premi Ubu come Migliore nuovo testo italiano. Sito web

> Campagna Chi è il “diverso”
Progetto artistico di Michele Lapini

L’articolo 3, comma 1 della Costituzione recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Partendo da questa disposizione Michele Lapini, in collaborazione con l’illustratrice Federica Giglio – in arte Inbuonafede -, e il visual designer Andrea Papi, ha messo in risalto alcune anomalie presenti nel nostro Paese, dettate da atteggiamenti apertamente o implicitamente ostili rispetto ai soggetti ritenuti “diversi”. Il progetto, tuttavia, ha voluto anche porre in risalto le esperienze virtuose esistenti, per ricordarci che la ricchezza della diversità è anche tutelata, non sempre osteggiata.

I manifesti, nello stile divulgativo e unico dei due artisti, si proponevano di giocare sugli stereotipi che caratterizzano il nostro modo di leggere le diversità, per decostruirli e superarli e di stimolare una riflessione attorno alle ingiustizie ancora esistenti e che spesso non siamo in grado di vedere. L’intento era quello di oltrepassare il concetto di “diverso”, raffigurando una figura neutra che include e non esclude. La tecnica mista tra fotografia, disegno e grafica, era allo stesso tempo una scelta ma anche una dimostrazione di come la contaminazione produca effetti positivi per tutti. Distinguere la teoria dalla pratica aiuta a comprendere meglio la realtà che ci circonda e ci fornisce gli strumenti necessari per intaccare le disuguaglianze e le discriminazioni per annullarle.

I manifesti della campagna “Chi è il diverso?” sono stati affissi a Bologna in diversi punti della città dal 25 marzo al 12 aprile, grazie al patrocinio del Comune di Bologna. L’iniziativa è stata anche ripresa e promossa da alcuni quotidiani quali LaRepubblica di Bologna, BolognaToday e Redattore Sociale.

Michele Lapini è un fotogiornalista freelance di base a Bologna. Con una laurea in Economia Politica e Cooperazione Internazionale e un master in Cooperazione Sviluppo e Diritti Umani, Lapini ha uno sguardo molto vigile sulle questioni sociali, politiche e ambientali. Nel corso degli anni ha documentato i flussi migratori alle frontiere con l’Europa dell’est, ha testimoniato l’impatto ambientale del cambiamento climatico globale e ritratto i drammatici aspetti della pandemia in Italia. Collabora dal 2015 con La Repubblica, sia con la redazione nazionale e locale di Bologna. È editorial contributor per Getty Images e co-fondatore del collettivo Arcipelago-19. Le sue fotografie sono state pubblicate da Internazionale, The Guardians, Stern, El Pais, Il Sole 24 Ore, L’Espresso e altri. sito webInstagram

Federica Giglio – in arte Inbuonafede  – è una giovane vignettista freelance, laureata in filosofia presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna. Collabora con Left e saltuariamente con varie testate. È membro dei collettivi di vignettisti Sputnink e Vignettisti per la Costituzione. Ha partecipato a varie campagne pubblicitarie e vari progetti dei collettivi locali di Arcigay e Croce Rossa Italiana. Le piace descriversi come una partigiana che ha sostituito le armi con le matite e le sigarette. Instagram

Andrea Papi – Visual Designer freelance con sede in Italia, Urbino. Si occupa di progettazione grafica, editoria, illustrazione e grafica animata. Ideatore de il Lato del Cerchio, progetto di editoria virtuale. Web | Instagram

Art. 24, comma 3 della Costituzione Italiana
Art. 3, comma 1 della Costituzione Italiana

“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.”

 1969, Corte Costituzionale: “se è vero che l’art. 3 si riferisce espressamente ai soli cittadini, è anche certo che il principio di eguaglianza vale pure per lo straniero quando trattasi di rispettare quei diritti fondamentali”.

Il principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione italiana ha una portata generale e trova piena applicazione anche nei confronti dello straniero. I problemi sollevati da questo articolo dipendono dalla sua formulazione letterale, facente esplicito riferimento all’eguaglianza tra cittadini e non all’eguaglianza tra tutti gli esseri umani. Il nodo da sciogliere è se una sola enunciazione testuale possa permettere il superamento dei contenuti precettivi della Costituzione nel suo insieme. In verità, il riferimento espresso ai cittadini è mero frutto del periodo storico in cui la nostra Carta fondamentale viene promulgata: al momento della sua adozione parlare di cittadino significa rimarcare il passaggio ad un ordinamento in cui tutti gli individui assumono uno stesso “valore giuridico” per il diritto e per lo Stato, non più dipendendo questo valore dal gruppo di appartenenza nella società (ceto sociale, corporazione, ecc.). Il concetto di cittadinanza nasce proprio come fattore di eguaglianza ed è paradossale pensare che, al contrario, oggi possa essere foriero di “un’autorizzazione alla diseguaglianza”. Si può quindi escludere che l’art. 3 della Costituzione autorizzi un trattamento differenziale e peggiorativo nel godimento della dignità umana e dei diritti fondamentali per il solo fatto di essere privi del legame giuridico della cittadinanza italiana. La nostra Costituzione pone al centro il valore delle persone e la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo e non si può dimenticare che è l’uomo in quanto tale, e non solo il cittadino, ad essere titolare delle posizioni soggettive fondamentali che definiscono i contorni principali di una società democraticamente orientata.

Tuttavia, questo non significa che delle differenziazioni non siano ammesse quando le situazioni da disciplinare siano obiettivamente diverse, purché vi sia ragionevolezza, da parte del legislatore, nel giudicare della diversità o della parità delle situazioni. È questa la strada costantemente battuta dalla Corte Costituzionale per spiegare e giustificare i regimi normativi differenziati tra cittadini e stranieri: seppure il principio di eguaglianza sia un principio di civiltà giuridica, garantito anche allo straniero, la posizione di quest’ultimo è effettivamente distinta da quella del cittadino. Può essere legittima, quindi, una variazione di trattamento senza che ciò comporti automaticamente una discriminazione.

In definitiva, il principio di eguaglianza si estende anche al rapporto tra stranieri e cittadini, ma soltanto nell’ambito della titolarità dei diritti inviolabili dell’uomo.

Come Avvocato di strada abbiamo realizzato questa serie di pannelli in cui portiamo l’attenzione su alcune disuguaglianze a cui sono soggetti gli stranieri in Italia anche quando si tratta di accedere a diritti fondamentali.

Come ci insegna sempre l’art. 3 della nostra Costituzione, non sempre è sufficiente dichiarare l’eguaglianza formale per avere eguaglianza sostanziale. Nella maggioranza dei casi è necessario un intervento attivo dello Stato, il quale ha il dovere di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono di fatto la libertà e l’eguaglianza tra esseri umani (art. 3, 2 comma Cost.).

Art. 37, comma 1 della Costituzione Italiana: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore [...].”
Art. 10, comma 3 della Costituzione Italiana

“Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.”

2020, un Ordine degli Avvocati denuncia l’effettiva impossibilità di formalizzare le domande di protezione internazionale, negando di fatto un diritto dello straniero.

In prima battuta il diritto di asilo consiste nel diritto dello straniero che abbia fatto ingresso nello Stato italiano o che si trovi nelle prossimità delle frontiere di accedere alla procedura di esame della domanda di asilo. È evidente, infatti, che se viene preclusa la possibilità materiale di presentare e di far esaminare la propria domanda, non si potrà mai giungere al riconoscimento del diritto.

Purtroppo, questo è quello che è accaduto a Bologna durante buona parte del 2020: a causa del malfunzionamento tecnico della piattaforma informatica cupa-project risultava impossibile prendere appuntamento presso l’Ufficio Immigrazione e, di conseguenza, veniva di fatto impedito agli stranieri di formalizzare la propria domanda di richiesta asilo o di richiedere il rinnovo dei permessi di soggiorno in scadenza. Suddetta situazione si è protratta talmente a lungo da rendere necessario l’intervento diretto del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bologna che ha dovuto mandare un’esplicita richiesta alla Dirigente dell’Ufficio Immigrazione per ottenere il ripristino del sistema informatico.

Art. 37, comma 1 della Costituzione Italiana: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore [...].”
Art. 19 della Costituzione Italiana

“Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa […].”

2019, la Corte Costituzionale censura una legge regionale per aver illegittimamente limitato la libertà di culto, impedendo la costruzione di una moschea, violando gli artt. 2, 3 e 19 della Costituzione.

 Sono numerose le città in Italia in cui esistono moschee e centri islamici. Tuttavia, si sono registrati casi di amministrazioni comunali che hanno tentato pretestuosamente, con ragioni di carattere amministrativo, burocratico o logistico, di impedire l’apertura di nuovo moschee.

Un caso esemplare è dato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 254 del 2019 che ha dichiarato incostituzionali alcune disposizioni della Legge regionale Lombardia del 2005 laddove comportavano degli illegittimi aggravi nella procedura amministrativa per l’apertura di edifici di culto destinati alle confessioni “acattoliche”. Quelle norme, infatti, consentendo alle amministrazioni locali l’integrale programmazione della localizzazione e del dimensionamento degli immobili religiosi determinavano, de facto, un eccesso rispetto agli scopi tipici della disciplina urbanistica dell’assetto del territorio comunale. Si trattava di un atteggiamento che minava la garanzia costituzionale della libertà religiosa e che si rivelava, in sostanza, illegittimo.

Art. 24, comma 3 della Costituzione Italiana
Art. 24, comma 3 della Costituzione Italiana

“Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi”

E allora perché il 64% delle oltre 40.000 persone assistite gratuitamente dai volontari di Avvocato di strada dal 2001 ad oggi sono persone senza dimora straniere?

Non vi è dubbio che l’art. 24, secondo comma, della Costituzione garantisca la difesa, quale diritto inviolabile, anche allo straniero che sia imputato per fatti commessi in Italia. In ogni caso l’accesso alla giustizia riguarda non soltanto lo straniero in quanto indagato o imputato in un procedimento penale, ma anche in quanto vittima di reato (con la connessa facoltà di costituirsi parte civile) o ricorrente nel processo del lavoro per difendere i suoi diritti di lavoratore o di attore o convenuto nei procedimenti civili concernenti i diritti della persona e della famiglia.

Affinché anche per i non abbienti ci sia l’effettiva attuazione di questo precetto, esiste nel nostro ordinamento l’istituto del patrocinio a spese dello Stato che sopperisce, appunto, all’incapacità reddituale di sostenere autonomamente il costo del patrocinio di un avvocato. Talvolta, però, l’accesso a tale istituto e l’esercizio effettivo del diritto di difesa sono di fatto ostacolati dalle normative vigenti. Si riporta a tal proposito la pronuncia della Corte Costituzionale n°254 del 2007 che ha dichiarato illegittime le norme sul patrocinio a spese dello stato nella parte in cui non prevedevano la possibilità per lo straniero che non conosce la lingua italiana di nominare un interprete proprio. È infatti evidente che in presenza di barriere linguistiche tra l’assistito e il suo difensore e senza l’assistenza di un interprete proprio, al di là di quello nominato dal giudice per il processo, si determina l’impossibilità per l’imputato di comunicare con il proprio difensore. In queste condizioni si svuoterebbe di significato quella fase essenziale della difesa attinente al rapporto che si svolge preliminarmente e al di fuori del processo tra indagato/imputato e avvocato difensore.

Volendo dare un’immagine concreta, provate a immaginare di essere imputati in un procedimento in Germania senza avere le risorse economiche sufficienti per pagare un interprete che vi permetta di comunicare con il vostro avvocato tedesco. Il vostro diritto di difesa sarebbe effettivamente garantito?

Art. 24, comma 3 della Costituzione Italiana
Art.32 comma 1

“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”

2021, TIS: 500.000 persone invisibili al piano vaccinale tra italiani e stranieri senza dimora, chi non ha documenti o permesso di soggiorno, una parte della popolazione Rom e Sinti, richiedenti asilo in attesa e apolidi.

Il Piano vaccinale anti-SARS-CoV-2/COVID-19 è quotidianamente sulla bocca di tutti: si discute dei ritardi e degli errori ma anche della speranza che suscita in ognuno di noi circa il ritorno ad una vita ordinaria.

Di un argomento, però, si parla troppo poco. In Italia ci sono circa 500.000 persone che pur vivendo stabilmente sul territorio nazionale sono invisibili dal punto di vista amministrativo. Orbene, questi soggetti rischiano di essere esclusi dalla campagna vaccinale perché privi della tessera sanitaria, della carta di identità, del codice fiscale e quindi inesistenti alla macchina burocratica del Paese. Si tratta, nello specifico, delle persone senza dimora, italiane e straniere, senza documenti o permesso di soggiorno, dei cittadini comunitari in condizione di irregolarità, degli apolidi, di una parte della popolazione Rom e Sinti, dei richiedenti asilo in fase di definizione delle loro pratiche. Sebbene invisibili allo Stato, queste persone esistono e devono vedere riconosciuto il loro diritto alla salute con la somministrazione del vaccino. Tale necessità è avvertita ancor di più quando si tratta di individui fragili per caratteristiche fisiche, come chi ha un’età avanzata o è affetto da una patologia, o quando si è di fronte a soggetti che vivono in contesti abitativi affollati in cui mancano gli spazi per garantire il distanziamento (si pensi ai dormitori o ai centri di accoglienza).

Il Tavolo Salute e Immigrazione (TIS), tra cui si annoverano Caritas, Emergency, Medici senza frontiere, Associazione Studi Giuridici Immigrazione (Asgi), Società italiana di Medicina delle migrazioni (Simm), Sanità di frontiera, ha già posto la questione all’attenzione del ministro Speranza. Resta da chiedersi se queste istanze verranno ascoltate.

Art. 24, comma 3 della Costituzione Italiana
Art. 34 della Costituzione Italiana

“La scuola è aperta a tutti. […]
I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
La Repubblica rende effettivo questo diritto […]”

Gli studenti stranieri abbandonano la scuola con un tasso 3 volte più alto degli studenti italiani.
Facciamo abbastanza per evitarlo?

Stando ai dati Istat “al 1° gennaio 2018, in Italia, i minori di seconda generazione, stranieri o italiani per acquisizione, sono 1 milione e 316 mila: di questi il 75% è nato in Italia. I minori di seconda generazione costituiscono il 13% della popolazione minorenne”. In Italia, i minori stranieri a qualsiasi titolo presenti sul territorio hanno il diritto e il dovere all’istruzione. La scuola è un luogo primario di socializzazione al di fuori del contesto familiare per tutti i bambini e i ragazzi ma, per i figli di cittadini stranieri, la scuola è anche un luogo di inclusione, dove superare le disparità legate all’arrivo in un paese straniero e all’inserimento in un nuovo percorso educativo. La scuola è altresì uno spazio in cui si hanno le prime occasioni di confronto con la cultura e le istituzioni del paese ospite.

Malauguratamente, difficoltà e disuguaglianze nei percorsi scolastici e di integrazione degli alunni stranieri sono molteplici. A causa delle barriere linguistiche e culturali e delle condizioni economiche spesso difficili delle famiglie di origine, infatti, i minori stranieri sono quelli maggiormente esposti al rischio di povertà educativa. A titolo dimostrativo, si riportano due dati esemplificativi (elaborazione di Openpolis):

  • rispetto alla propria età anagrafica è in ritardo sul percorso di studi il 30,70 % dei minori stranieri contro il 9,60% degli alunni con cittadinanza italiana (anno scolastico 2017/2018);
  • nel 2018 la percentuale di giovani che ha abbandonato prematuramente gli studi è pari al 14,5%. Nello specifico, però, il fenomeno dell’abbandono scolastico ha un’incidenza del 12,3% fra gli studenti italiani e quella del ben più alto 37,6% tra gli alunni stranieri.

Di fronte alla realtà spiazzante descritta dai dati, c’è da chiedersi se le politiche messe in atto siano sufficienti a garantire il diritto allo studio degli alunni stranieri e se contrastino effettivamente fenomeni come quelli dell’abbandono e del ritardo scolastico. Senza un percorso educativo di qualità si rischia di inquinare irrimediabilmente le prospettive e le aspirazioni economiche e sociali che ragazzi e ragazze hanno per il loro futuro. È compito delle istituzioni far sì che questo non accada.

 

Art. 37, comma 1 della Costituzione Italiana: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore [...].”
Art. 37, comma 1 della Costituzione Italiana

“La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore […].”

Nel 2020 il 98% di chi ha perso il lavoro è DONNA. Le donne straniere subiscono una doppia discriminazione, come migranti e come donne.

I dati forniti dall’Istat sul tasso occupazionale in Italia sono devastanti: su 101mila lavoratori che hanno perso il lavoro a dicembre 2020 (-0,4% rispetto a novembre), ben 99mila sono donne e solo 2mila sono uomini. Il divario di genere che riguarda occupazione, retribuzioni, carriere trova una spaventosa conferma in questi numeri. Ma cosa succede se non solo si è donna ma si è anche straniera? In questo caso nel mercato del lavoro si subisce una discriminazione multipla basata sul sesso e sull’etnia.

Come testimoniato da un report dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (“The migrant pay gap: understanding wage differences between migrants and nationals”) nei Paesi ad alto reddito, tra cui si annovera l’Italia, il divario retributivo orario per le donne straniere è pari al 21% rispetto ai lavoratori nazionali, superiore anche al gender pay gap (la differenza di retribuzione tra donna e uomo per uno stesso lavoro) che invece equivale al 16%.

In Italia, in un’analisi condotta dal Centro Studi e Ricerche IDOS su dati Istat si è rilevato come nel confronto tra uomini e donne migranti con le stesse tipologie di occupazione, il divario salariale non sia assolutamente motivato e questo in quanto non sussistono differenze in quelle caratteristiche rilevanti suscettibili di determinare una variazione salariale quali istruzione, esperienza lavorativa, ecc.; si stima, quindi, che oltre il 97% del differenziale salariale sia imputabile a discriminazione di genere tra i migranti, in assenza della quale le donne dovrebbero guadagnare quanto gli uomini. Lo “svantaggio” di essere donna e straniera si riflette non solo sul profilo retributivo ma anche sul quello occupazionale causando il confinamento di queste donne in determinati comparti lavorativi (spesso occupazioni più rischiose, di fatica, di bassa manovalanza, precarie e sottopagate). Si pensi, ad esempio, che ben il 40.6% delle donne straniere è impiegato nei servizi domestici e di cura alla persona.
Quella appena esposta è una panoramica riassuntiva ma già di per sé desolante: le criticità strutturali della partecipazione femminile al mercato del lavoro si amplificano quando si tratta di donne straniere. E’ sempre più urgente un intervento statale che non releghi le donne in una posizione sociale e lavorativa subalterna.

Art. 37, comma 1 della Costituzione Italiana: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore [...].”
Sentenza 252/1983, Corte Costituzionale

“[…] Indubbiamente l’abitazione costituisce, per la sua fondamentale importanza nella vita
dell’individuo, un bene primario che dev’essere adeguatamente e concretamente tutelato dalla legge”.

“Non si affitta agli stranieri”. Non lo sapevi?

L’art. 25 della Dichiarazione universale dei diritti umani sancisce che “ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo (…) all’abitazione”. L’esistenza nell’ordinamento italiano di tale fondamentale diritto è indiscussa, sebbene non ci sia un articolo della Costituzione che lo garantisca e tuteli espressamente. La casa, infatti, è presupposto essenziale e strumentale al godimento degli altri diritti inviolabili dell’uomo, esplicitamente menzionati dalla Costituzione. La Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi in materia, ha affermato che vige nel nostro ordinamento “un diritto sociale all’abitazione collocabile fra i diritti inviolabili dell’uomo di cui all’art. 2 della Costituzione” e che “il diritto all’abitazione rientra fra i requisiti essenziali caratterizzanti la socialità cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione… In breve, creare le condizioni minime di uno Stato sociale, concorrere a garantire al maggior numero di cittadini possibile un fondamentale diritto sociale, quale quello all’abitazione, contribuire a che la vita di ogni persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l’immagine universale della dignità umana, sono compiti cui lo Stato non può abdicare in nessun caso”.

Nella realtà, però, si registrano continue discriminazioni razziali che si manifestano al momento dell’affitto di una casa. Gli immigrati, infatti, non sono ben visti dagli affittuari italiani che si rifiutano di concedere in locazione i loro immobili agli stranieri, soprattutto se extracomunitari, anche quando questi sono in regola con il permesso di soggiorno e sono titolari di un contratto di lavoro. La situazione è talmente disperata che le associazioni che si occupano della tutela dei migranti sono dovute scendere a loro fianco alla ricerca di un affitto. A titolo esemplificativo, si guardi all’azione svolta a Roma dall’associazione Baobab Experience che supporta le persone straniere nella ricerca di una casa o alla rete “Discriminazioni alla porta” nata a Bologna con l’intento di realizzare un albo di proprietari non discriminanti che diventino un punto di riferimento nella comunità per chi ha difficoltà nel trovare casa.

XVII Settimana d’azione contro il razzismo – Keep Racism Out

Avvocato di strada ODV ha aderito alla XVII Settimana d’azione contro il razzismo – Keep Racism Out, attraverso il progetto Chi è il “diverso”? Conoscere per non discriminare realizzato con il contributo dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali – UNAR.

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