diritto alla casa

Per diritto alla casa o all’abitazione si intende il fatto che ognuno di noi dovrebbe avere un alloggio e riparo adeguati. Molte Costituzioni lo riconoscono, mentre nella Costituzione Italiana è affermato solo indirettamente. Il problema è come far sì che questo sia garantito a tutti ed in concreto, anche grazie all’edilizia popolare. Nel diritto internazionale è riconosciuto in molte dichiarazioni e trattati, spesso in relazione al diritto alla riservatezza, oltre ai diritti economici, sociali e culturali di ciascuno di noi.

Il diritto alla casa a livello internazionale

Si parla per la prima volta di diritto alla casa nella Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo del 1948, dove si afferma che “ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio” e, tra le cose necessarie a garantirlo, una abitazione (art. 25); anche nel Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali del 1966 (in vigore dal 1976 per l’Italia) l’abitazione è considerato un elemento fondamentale per una vita dignitosa (art. 11).

Ad un certo punto si comincia a parlare di diritto alla casa in senso autonomo, chiamandolo housing right; in particolare, nel 1991 il Comitato ONU sui Diritti Economici Sociali e Culturali ne ha descritto i 7 elementi fondamentali, cercando di comprendere diversi aspetti legati all’abitazione, ribaditi recentemente col concetto più specifico di adequate housing right (rapporto Ufficio ONU dell’Alto Commissariato per i Diritti umani del 2009, General Comments nn. 4 e 7):

  1. Garanzia di godimento (Legal Security of Tenure), inclusa protezione in caso di sfratti, vessazioni e minacce; anche in caso di occupazione illegittima, è necessario che ci siano procedure dettate da ogni stato che diano almeno un po’ di preavviso e considerino la situazione contingente (come calamità naturali o emergenze), dopo aver considerato tutte le alternative e limitato al massimo la coercizione.
  2. Possibilità di accesso a servizi, materiali, agevolazioni ed infrastrutture (Availability of Services, Materials, Facilities and Infrastructures): chi ha l’abitazione dovrebbe avere anche accesso alle risorse naturali necessarie per i bisogni fondamentali (acqua, luce, gas, rifiuti…); manca però un obbligo concreto connesso al diritto di abitazione “adeguata”.
  3. Accessibilità economica (Affordability): il costo della casa deve permettere a chiunque di poter sostenere le spese fondamentali (cibo, vestiti, istruzione, salute…); per garantire questo diritto i singoli Stati aiutano economicamente le persone in difficoltà ed evitano aumenti eccessivi degli affitti.
  4. Abitabilità (Habitability): il luogo dove si vive deve garantire sicurezza fisica, essere di dimensioni minime, stabile e sicuro per la salute.
  5. Facilità di accesso (Accessibility): per tutti, con priorità alle persone più deboli o in difficoltà (anziani, bambini, disabili, malati terminali o HIV+, disabilità mentali, malattie croniche, vittime di disastri naturali, in zone di rischio…).
  6. Collocazione (Location): cioè ad ottenere una nuova abitazione a seguito della perdita della precedente (vuoi per sfratto o disastro naturale) il più vicino possibile alla comunità di origine.
  7. Adeguatezza culturale (Cultural Adeguacy): nel costruire abitazioni, scegliere i materiali e politiche gestionali si dovrebbe cercare di garantire l’espressione della dimensione culturale degli abitanti.

Gli obblighi degli Stati

    Tutto bellissimo, a leggere le Convenzioni, le Dichiarazioni, i Patti ed i Trattati. Come si fa però in concreto a far sì che questi obblighi vengano rispettati? Qui entrano in gioco gli Stati.

    Il problema è che tutti questi impegni internazionali ricordati non prevedono obblighi vincolanti per gli Stati che aderiscono, cioè non stabiliscono sanzioni se lo Stato non rispetta nel suo territorio tutti i diritti che vengono affermati. Pertanto, tutti i principi richiamati fino ad ora non sono altro che “obiettivi programmatici”: ogni Stato afferma che ‘si impegnerà come può’ con politiche ed interventi per realizzare tutto prima possibile considerando le risorse che ha.

    Per garantire un minimo di controllo, ogni Stato si è preso almeno l’impegno di monitorare la situazione rispetto le categorie particolarmente vulnerabili (in pratica, periodicamente devono fare ricerche e pubblicare un documento o un report sulla situazione, vedendo se ci sono stati miglioramenti o peggioramenti).

    La Carta Sociale Europea

    Qualche obbligo in più per gli Stati aderenti viene sancito nella Carta Sociale Europea (trattato del Consiglio di Europa del 1961 ma ratificato in Italia solo nel 1999), dove si stabiliscono degli oneri per garantire un diritto effettivo all’abitazione. Si parla quindi (art. 31) di abitazione di livello sufficiente, fornire un alloggio gradualmente a tutti i senza tetto, oltre a rendere i costi dell’abitazione accessibili a tutti (art. 31).

    Di nuovo, all’inizio non c’era alcuna sanzione per il mancato rispetto di tali obblighi: si pensava che ogni governo doveva essere libero di agire come voleva per i diritti sociali, considerati come una scelta politica e non correlati ai diritti umani fondamentali da garantire sempre. Dalla fine degli anni ‘90 del secolo scorso, il Comitato Europeo dei Diritti Sociali del Consiglio d’Europa ha iniziato un’operazione di riforma della Carta Sociale, con vari meccanismi di controllo e tutela: il Comitato stesso produce periodicamente indagini (country reports) dove inserisce raccomandazioni specifiche per ciascuno Stato; inoltre, gli enti che lavorano nel sociale e le ONG riconosciute possono denunciare le violazioni della Carta Sociale. Si creano così precedenti giurisprudenziali che possano rendere sempre più effettive le disposizioni della Carta Sociale, sul modello della CEDU: in pratica, il Comitato nei reclami può affermare che il singolo Stato inadempiente debba cercare di rispettare gli impegni presi in modo progressivo e misurabile entro una data precisa.

    E in Italia? Come accennato, la Costituzione Italiana non afferma in via diretta ed esplicita un diritto alla casa di ognuno; l’articolo 47, però, sottolinea l’obbligo della Repubblica di favorire “l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione”. Dagli anni 80, la Corte Costituzionale ha cominciato ad affrontare l’argomento, parlandone solo in relazione a diritti collegati: si comincia con l’affermare che la casa è un “bene primario dell’individuo” (Sent. 252/1983), riconoscendo poco dopo che è un “diritto inviolabile” e che è “generale dovere della collettività” impedire che qualcuno resti senza abitazione (si vedano le sentenze nn. 49/1987, 217/1988 e 404/1988), citando agli artt. 2, 3 e 47 Cost.

    Il problema resta che ad oggi non c’è una chiara definizione di quale sia il contenuto minimo essenziale del diritto di abitazione, rendendo così di fatto impossibile rivendicarlo in via diretta ed immediata nelle aule dei Tribunali. Di diritto alla abitazione se ne è quindi parlato come condizione necessaria a garantire il diritto alla salute (infatti, per avere accesso gratuito alla cure mediche è necessaria una residenza) o ad avere pari tutela nella convivenza fuori dal matrimonio rispetto a quella all’interno del matrimonio (Sent. 404/1988, in cui ci si riferisce proprio alla comune abitazione come elemento rilevante).

    Ci sono poi altre norme a livello di legge che considerano abitazione e domicilio come qualcosa da tutelare o da cui nascano diritti. Come noto, il domicilio è inviolabile (art. 14 Cost.), ed il mancato rispetto è un reato (art. 614 c.p.): in questo modo si cerca di tutelare l’abitazione da aggressioni e intrusioni esterne ingiustificate.

    Di diritto di abitazione si parla anche nel caso in cui muoia il coniuge che è titolare dell’immobile: il marito o la moglie superstiti hanno diritto di abitare (inteso come diritto reale, art. 540 c.c.) l’immobile che era la residenza familiare, anche se la proprietà passasse ad altri eredi. Sempre in tema di diritto di famiglia, il genitore a cui vengono affidati (in via esclusiva o prevalente) i figli a seguito di separazione o divorzio hanno il diritto di assegnazione della casa coniugale (art. 337 sexies c.c. e Cass. civ., sent. n. 32231/2018).

    Ricordiamo inoltre che vige l’impignorabilità della prima casa (se è l’unico immobile, non di lusso e corrisponde alla residenza anagrafica, mentre se si hanno anche altri immobili il debito non deve superare i 120.000€). Questa regola vale solo per i debiti con lo Stato cioè l’agente della riscossione esattoriale e non nel caso di banche e finanziamenti (e privati in generale, art. 76 D.P.R. 602/1973, così come modificato dal d.l. 69/2013, cd. “decreto del fare”).

    Sempre avendo in mente la tutela del soggetto che abita una casa, inteso come diritto meritevole di tutela, si inseriscono le norme introdotte con il d.l. 7/2007, convertito nella legge 40/2007, in cui si afferma la possibilità di estinzione anticipata del mutuo che sia stato fatto per l’acquisto o la ristrutturazione della propria casa di abitazione, senza dover pagare penali, e cercando così di venire incontro a potenziali esigenze dei cittadini.

      1. Normativa: il diritto alla casa in concreto in Italia

    È utile vedere ora come lo Stato italiano cerchi di garantire a più persone possibili il diritto ad una casa e cosa si può fare in concreto perché questo diritto sia garantito. Questo avviene soprattutto attraverso due tipi di intervento: quelli di edilizia popolare pubblica e quelli a tutela degli inquilini in appartamenti dati in locazione da privati, con regole speciali che derogano alla normale disciplina dei contratti ed in parte con sconti fiscali. Vediamo ora in ordine i principali.

      1. Gli alloggi popolari e sostegno prima casa

    La giurisprudenza costituzionale ha anche recentemente affermato che non esiste un vero e proprio diritto per i meno abbienti di chiedere (ed ottenere) finanziamenti statali o aiuti per l’acquisto o locazione di una prima casa di abitazione (sent. nn. 423/2004, 118/2006, 137/2007). Il diritto sorge semmai dopo che l’ente pubblico ha concluso la procedura di selezione e si risulta vincitori. Ancora una volta il diritto alla casa non appare come ‘immediato’, ma ottenibile e pretendibile solo indirettamente.

    Ciononostante, lo Stato interviene attivamente per cercare di favorire il diritto di tutti ad avere una casa; entra qui in gioco l’edilizia residenziale pubblica (ERP), cioè l’intervento pubblico in materia di edilizia residenziale. Questo può avvenire in tre modalità diverse:

    • Edilizia sovvenzionata, cioè contributi diretti dello Stato per fare abitazioni da dare in locazione a persone in condizioni economiche disagiate, le cosiddette “case popolari” e dovrebbero essere una soluzione temporanea finché rimane la difficoltà economica;
    • Edilizia convenzionata, con cui l’obiettivo è far acquistare una casa ad alcune categorie di persone che necessitano di un sostegno economico visto il grande esborso che di solito richiede. Si può procedere tramite una locazione e successivo o acquisto diretto a prezzi calmierati secondo convenzioni coi comuni.
    • L’edilizia agevolata infine, che mira a costruire alloggi che saranno usati come prima casa. Edificano privati con finanziamenti pubblici a fondo perduto.

    Una volta individuato il tipo di soluzione preferibile, è necessario fare richiesta di un alloggio consultando i bandi attivi o verificando le formalità necessarie, che variano leggermente da comune a comune. Per le case popolari ad esempio, si procede con una domanda in cui vengono allegate una serie di condizioni soggettive (isee, età, figli, residenza nel posto, lavoro in loco…) ed oggettive (situazioni per cui l’attuale alloggio non è sostenibile: sovraffollamento, altri nuclei familiari residenti, barriere architettoniche…). Alla fine vengono assegnati dei punteggi complessivi e si redige una graduatoria, dove gli alloggi disponibili verranno assegnati in ordine di posizione. In genere i bandi hanno cadenza annuale.

    Accanto l’edilizia pubblica ERP ci sono una serie di altre misure a sostegno della casa in generale, che spesso vengono riassunte nel concetto di politiche per la casa o politiche abitative. Ecco le principali:

    • Bonus giovani prima casa: col d.l. 73/2021 (Decreto Sostegni Bis) i giovani under 36 (al momento del rogito) possano inviare domanda fino al 30 giugno 2022 per ottenere la garanzia di Stato sull’80% mutuo prima casa (quota capitale): se il proprio ISEE è sotto 40mila euro (anche senza un contratto di lavoro indeterminato) e non si hanno altri immobili si può accedere ad un mutuo bancario prima casa per il quale garantisce lo Stato. Sono anche azzerate le imposte sulla compravendita (di registro, ipotecaria e catastale): per chi compra da un privato, l’agevolazione consiste nell’azzeramento delle imposte di registro, ipotecaria e catastale (restano da pagare l’imposta di bollo, le tasse ipotecarie e i tributi speciali catastali, per totali 320€), senza IVA. Se si compra da una ditta, resta dovuta solo IVA che si paga al venditore, ottenendo l’equivalente in credito d’imposta (non rimborsabile) con cui si può pagare imposte relative alla casa successive alla acquisizione del credito, IRPEF, ritenute d’acconto previdenziali o assistenziali o ancora premi per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e sulle malattie professionali.
    • Bonus prima casa: c’è una detrazione fiscale del 50% IRPEF, per un massimo rimborsabile di 96.000€ (e quindi per immobili fino a poco meno di 200.000€), oltre a riduzioni delle imposte di registro, catastale e ipotecaria (2% e 50 euro). L’immobile non deve essere di lusso e bisogna spostare lì la residenza entro 18 mesi.
    • Bonus ristrutturazioni: anche questo opera come bonus fiscale con detrazione IRPEF o IRES del 50%. In occasione della ristrutturazione è prevista una detrazione, sempre del 50%, anche per l’acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici di classe superiore alla A+ (B da marzo 2021 per la nuova catalogazione energetica), finalizzati all’arredo di abitazioni ristrutturate in ottica di risparmio energetico. Per il bonus condizionatori è invece prevista un’aliquota dal 50% al 110% a seconda degli interventi.
    • Ecobonus, cioè interventi di riqualificazione energetica che permettano di avere un risparmio energetico nella gestione quotidiana (riscaldamento, raffrescamento…). Qui lo sgravio fiscale che è del 65% o 50% (IRPEF/IRES) in base al tipo di intervento, spalmato in 10 anni e per massimo 100.000€.
    • Sismabonus: in questo caso, l’interesse è quello di favorire interventi che rendano gli immobili ed edifici più resistenti agli eventi sismici per zone sismiche ad alta pericolosità (zone 1 e 2) e nella zona 3 spetta una detrazione del 50%, da calcolare su un importo complessivo di 96.000 euro (max 5 anni). La detrazione sale al 70%, se si passa a una classe di rischio inferiore, all’80% se il miglioramento è di due classi, che aumenta ancora al 75% al 85% rispettivamente se si interviene su parti comuni degli edifici condominiali.
    • Bonus facciate: la finanziaria 2020 ha previsto delle detrazioni di imposta (spalmabili in massimo 10 anni) per ristrutturazione delle facciate di edifici (inclusi condomini e palazzi) fino a 200.000€, in ottica di interventi utili a garantire la tenuta strutturale degli edifici e migliorare l’estetica delle città.
    • Superbonus edilizio 110%: previsto per ultimo, riguarda solo massicci interventi di riqualificazione energetica per specifiche tipologie di immobili, come condomini o di varie unità abitative (da 2 a 4), che permettano un miglioramento sensibile della classe energetica. Si può intervenire con varie modalità (impianto fotovoltaico, climatizzatore o riscaldamento, ma anche isolamento termico, interventi antisismici, eliminazione barriere architettoniche, ricarica elettrica…). In questi casi serve anche il visto di conformità (richiedibile al CAF, ragionieri, commercialisti…) e l’asseverazione tecnica relativa agli interventi di efficienza energetica e di riduzione del rischio sismico. La detrazione è riconosciuta nella misura del 110%, divisa in 5 anni per il 2021 e 4 per il 2022.

    Se la quota annua della detrazione supera l’imposta Irpef, l’importo eccedente non viene recuperato in alcun modo: cioè se si fa un intervento per cui l’IRPEF annuale detraibile è di 1.000€ ma l’imposta Irpef è di solo 700€, la differenza non può essere recuperata in nessun modo. Va ricordato infine che questi interventi sono di natura programmatica ed inseriti nelle leggi finanziarie; i programmi coprono spesso alcuni anni, ma ogni legge finanziaria interviene con leggere modifiche requisiti e entità o modalità di erogazione per l’anno successivo, per cui l’invito è nuovamente a rimanere aggiornati sulle ultime novità.

      1. Locazioni, sfratti e morosità

    Prima di tutto, occorre specificare che nessun proprietario (inteso come privato cittadino) ha obbligo di concludere un contratto di locazione con chi ha una esigenza abitativa: per chi vuole dare in affitto una casa vige soltanto l’obbligo di non discriminazione (in particolare verso gli stranieri, ex articolo 43 T.U. Immigrazione, D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286), oltre ai generali doveri di buona fede e correttezza (che potremmo riassumere con un ‘comportarsi bene e fare la persona onesta’, che chiunque deve rispettare nei rapporti civilistici).

    Ciononostante, nel corso degli anni il legislatore si è accorto che le locazioni abitative urbane (in pratica chi prende in affitto una casa in qualsiasi città per abitarci) non potevano essere lasciate alla totale discrezionalità e libertà contrattuale delle parti, perché inevitabilmente c’è una parte “forte” – il proprietario di casa che la mette in affitto – ed una “debole” – la persona che vorrebbe prendere l’appartamento e diventare inquilino.

    Ecco quindi che, accanto alle regole generali sulle locazioni di immobili dettate dal codice civile (artt. 1571 c.c. e sgg.), si è intervenuti tramite varie leggi speciali che disciplinano tali tipi di contratti, fissando ulteriori regole e vincoli nel tentativo di riequilibrare i rapporti tra le parti e dare maggior tutela a chi prende in locazione una casa per abitarci. Ecco le principali norme di tali leggi a favore degli inquilini:

    1. Legge 392/1978 sulla locazione degli immobili urbani (legge equo canone):
      1. Articolo 5 della legge 392/78, inadempimento del conduttore: ci sono 20 giorni extra per l’inquilino per pagare una mensilità (canone) rispetto al termine stabilito: solo dopo questo periodo il locatore può richiedere la risoluzione del contratto; allo stesso modo, se manca il pagamento degli oneri accessori (utenze, spese condominiali…), la risoluzione contrattuale scatta solo se le spese non pagate sono pari ad almeno a 2 mesi di canone (si veda anche art. 9).
      2. L’art. 6 stabilisce la successione nel contratto in caso di morte del conduttore per i parenti stretti (coniuge, eredi, parenti, affini conviventi, conviventi stabili…), oltre alla successione dell’altro coniuge in caso di separazione o divorzio e accordo fra le parti, o se il giudice ha affermato il diritto di abitare nella casa familiare.
      3. L’articolo 7 fissa il divieto di scioglimento in caso di alienazione: se il proprietario decide di vendere l’immobile locato, il contratto di locazione continua fino alla scadenza con gli stessi conduttori ed il nuovo locatore, alle stesse condizioni di prima.
      4. Per limitare possibili abusi dei proprietari, l’articolo 8 impone di dividere a metà le spese di registrazione del contratto e l’articolo 11 afferma che il deposito cauzionale può essere di massimo 3 mensilità.
      5. Infine, ricordiamo l’articolo 55 che fissa importanti norme a tutela dell’inquilino in ritardo coi pagamenti: se si viene citati in giudizio, saldando il debito (mensilità e/o spese dovute, interessi e costi della procedura) entro o nel corso dell’udienza di convalida, si sana la morosità ed il contratto riprende come se nulla fosse accaduto: questo però può avvenire al massimo 3 volte in 4 anni. Se non si paga in tutto o in parte il dovuto, presentandosi in udienza (anche senza avvocato) si può chiedere il Termine di Grazia: spiegando al giudice le proprie difficoltà nel pagamento (perdita di lavoro, problemi di salute, ritardi nei pagamenti o altre situazioni che si sperano temporanee); questi può dare fino ad altri 90 giorni per pagare la morosità maturata e i canoni che scadranno i mesi successivi; anche qui, se si riesce a sanare la morosità si rimane nella casa e il contratto prosegue normalmente. Questo termine può salire fino a 120 giorni se sono dovute al massimo due mensilità e le condizioni di difficoltà sono sorte dopo la stipula del contratto (massimo di 4 volte in 4 anni).
    2. Legge n. 431/1998, sulle locazioni e rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo:
      1. l’articolo 1 al comma 4 introduce l’obbligo di forma scritta, di regola assoluta ed insanabile, se viene violata con abuso del locatore, è relativa e rilevabile solo dal conduttore (cfr. Cass. Civ. SS.UU., sent. n. 18214/2015).
      2. la registrazione all’Agenzia delle Entrate, dapprima solo facoltativa, è divenuta obbligatoria a pena di nullità ex articolo 1 comma 346 della legge 311/2004 (finanziaria 2005): quest’ultima, però, può essere sanata in qualsiasi momento durante la vigenza del contratto (Cass. Civ., Sent. n. 10498/2017).
      3. L’articolo 3 stabilisce limiti in caso di disdetta del locatore: alla scadenza del contratto (ad esempio 4+4 anni), la locazione si rinnova automaticamente, salvo disdetta di una delle parti; in particolare, il proprietario che non vuole rinnovare il contratto deve inviare (in genere tramite raccomandata a/r) entro 6 mesi dalla scadenza la comunicazione di non rinnovo; mentre per la comunicazione dell’inquilino sono sufficienti dei comprovati motivi, il proprietario locatore può farlo sono in casi specifici, legati al fatto che ha bisogno dell’immobile per sé o parenti, che siano necessarie ristrutturazioni, che sia danneggiato…
      4. L’articolo 4 bis parla dei tipi di contratto: per evitare che la contrattazione delle locazioni sia totalmente libera e senza regole, accanto alle locazioni a canone libero (modello 4+4) si è prevista la possibilità di contratti a canone concordato (o concertato): in questi casi si stabilisce che il corrispettivo con accordi territoriali stipulati tra organizzazioni degli inquilini e dei proprietari, spesso con cifre inferiori ai correnti prezzi di mercato, cercando di garantire un minimo di tutela dell’abitazione. Per rendere utile tale procedura sono stati stabiliti alcuni vantaggi fiscali (reddito Irpef, imposta di registro, Imu solo nei Comuni che hanno deliberato di favorire tale forma contrattuale…): in questo caso la durata è di 3+2 anni con rinnovo automatico. Accanto questi, sono stati poi previsti dei contratti di locazione per esigenze transitorie (da 1 a 36 mesi per studenti e rinnovabili, da 1 a 18 mesi negli altri casi), sempre a canone concordato (e calmierato).
      5. L’articolo 13, infine, sanziona con la nullità ogni accordo per un canone di locazione superiore (quasi sempre in nero) a quello risultante dal contratto scritto e registrato o per una durata diversa del contratto: entro sei mesi dal rilascio dell’immobile si può far causa per chiedere indietro le somme in più versate, mentre nel secondo caso si dovrà agire per accertare la nullità della durata e conversione alla durata stabilita per legge.

    Inoltre, a seguito o durante una procedura di sfratto per morosità, grazie alle politiche attive per la casa, è possibile accedere ad un Fondo per la morosità incolpevole presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (art. 6 d.l. 102/2013). Se la propria situazione di difficoltà è dipesa da cause esogene o non controllabili né imputabili alla persona (licenziamento ingiustificato, improvvisa malattia, licenziamento dovuto a motivi oggettivi…) è possibile accedere a forme di sostegno e aiuto economico volto a coprire parte della morosità pregressa o a dare una quota utile per il pagamento del deposito cauzionale nel nuovo immobile preso in locazione, grazie a finanziamenti pubblici a fondo perduto. Il fondo, su base nazionale, viene rifinanziato periodicamente in base ad accordi nella Conferenza Stato Regioni. In genere è richiesto essere già destinatari di una intimazione di sfratto (insomma, una citazione in tribunale per la morosità accumulata) ed essere residenti nell’immobile preso in locazione.

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      1. Esempi di edilizia residenziale pubblica e piani locali di sostegno

    Nel nostro ordinamento, a causa della già ricordata competenza esclusiva regionale in materia, c’è una forte disomogeneità nell’attuazione in ciascuna regione. Con il DPCM 16 luglio 2009 è stato approvato un Piano Nazionale di Edilizia Abitativa, con un budget di circa 800 milioni di euro annui, proprio per cercare di ridurre il disagio abitativo, incrementando l’offerta, garantendo canoni stabili e puntando sulla sostenibilità ambientale ed energetica, il tutto attraverso la partecipazione attiva dei soggetti pubblici e privati coinvolti. Si cercava così di riprogrammare l’edilizia pubblica (anche attraverso l’intervento di nuovi finanziatori tra cui banche, fondazioni e privati) a livello centrale e locale, grazie al coordinamento tra Regioni, Enti locali e Ministero delle Infrastrutture. In questo modo, si sarebbero potuti individuare i programmi di intervento più specifici possibile e porre rimedio ai disagi abitativi.

    Gli strumenti attuativi sono diversi e da scegliere in base alle singole esigenze: dall’affidamento ai fondi immobiliari alla concessione di costruzione e gestione. Per gli alloggi in affitto, si cerca di soddisfare in modo eguale tutte le richieste di differente natura meritevoli di priorità, come famiglie a basso reddito, giovani coppie a basso reddito, anziani in condizioni svantaggiate, studenti, sfrattati… La regola generale è che il contributo statale per l’acquisto o l’affitto va graduato in base alle condizioni di bisogno degli inquilini. Come è tristemente noto però, la scarsità di risorse rende sempre più difficoltoso per gli enti locali impegnare in modo proficuo i finanziamenti previsti, con la conseguente esclusione di un ingente numero di richieste pur meritevoli di sostegno.

    Tra le prime e più rilevanti iniziative a livello regionale per agevolare l’edilizia pubblica e sostenere gli inquilini in difficoltà economiche ne ricordiamo due:

    1. La Regione Lazio (l.r. n. 55/1998) ha previsto un meccanismo per individuare gli immobili inutilizzati o in evidente stato di degrado di proprietà di enti pubblici o soggetti privati. Regione, province, comuni, istituti autonomi per le case popolari e delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza possono indicare gli immobili, dando priorità a quelli nei centri storici; questi vengono poi assegnati, tramite bando di concorso, a cooperative di autorecupero e/o autocostruzione che li ristrutturano per poterli poi usare per la residenzialità pubblica.
    2. La Regione Emilia Romagna ha siglato il 30.12.2012 un largo protocollo d’intesa, sottoscritto anche dalla prefettura di Bologna, la Provincia, Comuni bolognesi, l’Ordine degli Avvocati di Bologna, sindacati e associazioni a tutela di proprietari e inquilini, oltre ad istituti di credito e fondazioni bancarie. Per cercare di ridurre gli sfratti di morosità, si è creata una cassa con cui sostenere a fondo perduto gli inquilini in difficoltà nei pagamenti, provvedendo al saldo del canone di affitto arretrato al fine di evitare la convalida di sfratto o, in caso di convalida di sfratto non ancora eseguita, per il pagare i 2/3 della caparra di un nuovo alloggio.

    Successivamente, a livello nazionale e proprio sulla scorta dell’intervento della Regione Lazio, si è stilato un Programma di recupero e razionalizzazione degli immobili e degli alloggi di edilizia residenziale pubblica di proprietà dei Comuni e degli Istituti autonomi per le case popolari e degli enti di edilizia residenziale pubblica aventi le stesse finalità degli Istituti (articolo 4 d.l. 47/2014, convertito con modifiche nella l. 80/14). La legge di stabilità 2017 (l. 232/2016, art. 1, comma 140) ha istituito un Fondo per il finanziamento di interventi tra cui l’edilizia pubblica; sono quindi state attribuite al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti nuove risorse da destinare alla prosecuzione del predetto Programma di recupero di alloggi di edilizia residenziale pubblica (d.p.c.m del 21 luglio 2017).

    Le singole Regioni hanno quindi provveduto, una volta ricevuti i fondi dal ministero, a bandire delle procedure volte proprio al recupero e razionalizzazione degli immobili e degli alloggi di edilizia residenziale pubblica mediante interventi di ripristino di alloggi di risulta e di manutenzione straordinaria fino al 2029. Per avere maggiori informazioni, invitiamo a consultare le sezioni politiche per l’abitazione o similari di ciascun sito ufficiale delle Regioni.

      1. La pandemia Covid-19 e le locazioni: in Italia e nel mondo

    Un breve cenno non può che essere fatto anche alla situazione straordinaria derivante dall’emergenza covid-19; in questo caso, il legislatore è intervenuto tramite una serie di decreti legge dettando norme anche per le locazioni. Considerato l’alto rischio di trovarsi in una situazione di estrema precarietà abitativa a seguito di uno sfratto e le rigide misure di contenimento della pandemia nel frattempo adottate (si pensi soltanto alle limitazioni di libertà di spostamento) è stato previsto un congelamento delle procedure di sfratto.

    Nel marzo 2020 è stata prevista la sospensione processuale Covid-19 dal 9 marzo all’11 maggio 2020 (Art. 83 del d.l. 18/20, fino al 15 aprile, poi prorogato all’11 maggio 2020 con l’articolo 36 del d.l 23/2020): in questi 2 mesi circa sono stati sospesi tutte le attività processuali civili e penali, ivi incluse le procedure di sfratto, ad eccezione dei procedimenti indifferibili e urgenti (ad es. ex art. 700 c.p.c. o decisioni su provvisoria esecuzione dei decreti ingiuntivi).

    Considerata però anche la necessità di contenere l’emergenza sanitaria da COVID-19 al tessuto economico-sociale, si è sospesa“l’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, fino al 30 giugno 2020” (art. 103, co 6, d.l. 18/20), il cosiddetto blocco degli sfratti.

    Il decreto legge è poi stato convertito con modificazioni dalla legge n. 27/2020: visto che la situazione epidemiologica a suo tempo era pressoché immutata, permaneva la necessità di dare ancora una tutela rafforzata alle esigenze economiche e di salute dei cittadini. Si decise quindi una prima proroga del blocco, al 1° settembre 2020 e si aggiungeva al contempo , (art. 54-ter) la sospensione di “ogni procedura esecutiva per il pignoramento immobiliare” se in atto sulla “abitazione principale del debitore”, per 6 mesi dall’entrata in vigore e cioè sino al 30 ottobre 2020.

    Non mutata sensibilmente la situazione nell’autunno 2020, la proroga è stata a sua volta prorogata al 31 dicembre 2020 (art. 17 bis d.l 34/20, convertito con legge 27/21) e nuovamente a fine 2020: l’ennesimo decreto legge questa volta è il n° 183/2020 (convertito senza modifiche con la legge 21/21) con cui il governo ha rinviato al 30 giugno 2021l’esecuzione dello sfratto per morosità” oltre a quelli per ritardato pagamento, le ingiunzioni al rilascio per gli immobili venduti a seguito di esecuzione immobiliare e tutte le esecuzioni sulla abitazione principale del debitore escusso (art. 13, paragrafo 13).

    Il blocco generalizzato degli sfratti si è interrotto il 30 giugno 2021, non essendoci state ulteriori proroghe. Preso atto però che la situazione emergenziale non è del tutto rientrata, si è nuovamente intervenuti con decreto legge (n. 41/21, convertito con legge 69/21) in cui sono state inserite due proroghe parziali, in base al momento in cui è stato adottato il provvedimento di rilascio (art. 40 quater) ferenziandole in base alla data del provvedimento di rilascio: fino al 30 settembre 2021 per quelli dal 28 febbraio 2020 al 30 settembre 2020, mentre è fino al 31 dicembre 2021 per i rilasci adottati tra inizio ottobre 2020 e fine giugno 2021.

    Tutti gli altri casi, come ad esempio lo sfratto per finita locazione, sloggio di immobili occupati, rilascio di quelli venduti a seguito di espropriazione immobiliare ante 28 febbraio 2020, hanno visto il blocco interrompersi a fine giugno 2021: dal 1 luglio 2021 sono riprese le esecuzioni e le procedure tramite gli ufficiali giudiziari.

    Oltre a tutte queste norme, si è anche intervenuti dando una normativa di massima per gestire in generale i rapporti tra proprietari ed inquilini in aggiunta alle proroghe appena esaminate: si fa riferimento ad “un percorso regolato di condivisione dell’impatto economico derivante dall’emergenza epidemiologica da COVID-19“. Infatti, “locatario e locatore sono tenuti a collaborare tra di loro per rideterminare il canone di locazione” (l’art. 6 novies legge 69/21). La norma, insomma, obbliga le parti a cercare ulteriormente una soluzione alternativa allo scioglimento del contratto e la liberazione dell’immobile, sempre che le difficoltà economiche dipendano da ragioni esclusivamente legate all’impatto della crisi epidemiologica, che abbia comportato una rapida e sensibile perdita di capacità reddituale di chi deve pagare il canone di locazione ogni mese.

    Questi interventi, seppur necessari e dettati dall’emergenza sanitaria in corso, hanno creato seri problemi al sistema delle leggi speciali sulle locazioni – che mirano a dare a tutti un alloggio in affitto a condizioni accettabili – e le classiche regole del mercato: la sospensione di tutti gli sgomberi e sfratti per circa un anno e mezzo ha di fatto squilibrato il già precario rapporto tra la domanda, aumentata dal fatto che inevitabilmente con l’allentamento delle misure di contenimento ci sono nuovi soggetti che cercano locazioni (e qui basti pensare a nuovi lavoratori che si trasferiscono da altre città) e l’offerta, che si trova invece ad essere stabile o ridotta dalla sostanziale stabilità degli immobili abitabili nei comuni ad alta densità abitativa in uno con le già ricordate procedure di sfratto sospese e rinviate, queste ultime tra l’altro fortemente incrementate dalla crisi economica scaturita da quella sanitaria.

    L’emergenza abitativa non è solo italiana: a livello globale i problemi sono ancor più drastici e su larga scala, specie se si considera l’aumento costante della popolazione mondiale e la riduzione dello spazio edificabile (anche a causa dei cambiamenti climatici).

    Recentemente, Leilani Farha, Relatrice delle Nazioni Unite per il diritto alla casa, ha affermato pubblicamente che la gravità della questione abitativa è globale e senza precedenti: quasi 2 miliardi di persone non hanno ad oggi alloggi adeguati. I privati però dettano le regole, e gli Stati fanno troppo poco. Sono state redatte sedici Linee guida per l’implementazione del diritto a un alloggio adeguato. Queste sono nate da una serie di conversazioni con i vari portatori d’interessi, Ong di tutto il mondo, le amministrazioni cittadine e i rappresentanti di governi nazionali. La prima bozza è stata condivisa con gli stakeholder, messa online e chiesto feedback da chiunque volesse rispondere: istituzioni nazionali di diritti umani, il sindacato internazionale degli inquilini, molti Stati e Ong ed è stata visionata anche all’interno del sistema dei diritti umani delle Nazioni Unite (Alto Commissariato dei diritti umani).

    Il fenomeno dei Senza tetto è in aumento in tutta Europa (tranne che un Finlandia, dove da qualche anno sono in atto massicce politiche di diritto alla casa per tutti) e nei prossimi anni la situazione sarà sempre più grave: il tentativo ONU è quello di responsabilizzare gli Stati e far capire che vendere o dare in affitto una casa non è solo una questione di profitto ma anche di interessi pubblici.

      1. Una possibile soluzione: l’edilizia sociale

    Quali soluzioni possono essere quindi immaginate? Che si può fare per dare nel più breve tempo possibile alloggi per tutti e a prezzi ragionevoli? Negli ultimi anni qualcosa si sta muovendo.

    Accanto al modello di edilizia residenziale pubblica (cd. public housing), se ne è affiancato un altro, detto Social Housing cioè Edilizia Sociale. In concreto, l’obiettivo è dare la possibilità a tutti di accedere ad alloggi vivibili e a canone calmierato, che incida al massimo su un terzo dello stipendio di chi ci vive. Rientrando spesso in progetti di riqualificazione e progettazione urbanistica più ampia, questi alloggi sono pensati anche per aumentare il senso di comunità e favorire l’integrazione tra i suoi abitanti: si risponde così all’emergenza abitativa con alloggi che siano sostenibili a livello ambientale e che favoriscano una socialità consapevole, che permetta le interazioni e l’arricchimento interpersonale all’interno del quartiere.

    Come si fa? Essendo a metà tra l’edilizia pubblica e una locazione a canone concordato, occorre da una parte l’intervento pubblico tramite sovvenzioni, dall’altro requisiti reddituali (che variano da regione a regione, in genere sui 15.000€ di ISEE fino ad un massimo di 30.000€). Si ci rivolge soprattutto a persone che percepiscono un reddito ma non possono affrontare tutte le spese ai prezzi del mercato, come nuclei familiari a basso reddito, anziani con pensioni basse, giovani coppie o studenti e studenti lavoratori fuori sede.

    Oltre all’edilizia da zero è possibile anche acquistare da privati immobili per destinarli all’edilizia sociale: si farà un normale atto di acquisto notarile in cui si indichino i vincoli imposti per l’uso della casa e gli enti locali che regolano l’attività di Social Housing.

    In Italia di Social Housing si è cominciato a parlare solo ultimamente, nonostante un terzo degli inquilini che hanno affitti a prezzi di mercato sono sovraccaricati dai costi delle abitazioni rispetto al loro stipendio, e il tasso di grave deprivazione abitativa supera ampiamente il 10% (l’11,1%, il doppio della media UE del 5,6%). Ci sarebbero poi 1,7 milioni di famiglie che vivono quotidianamente in una situazione di disagio economico per non riuscire a sostenere tutti i costi legati alla casa (dati Nomisma). Il Report 2019 de the State of Housing ha affermato che solo il 4% della popolazione italiana ha un alloggio con un affitto agevolato, ma fortunatamente il fenomeno è in espansione. L’EIRE (Expo Italia Real Estate) ha individuato ben 157 progetti di social housing sul suolo italiano, localizzati in Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Liguria, Marche, Molise, Campania, Piemonte, Toscana, Trentino Alto Adige, Abruzzo e Veneto. Quasi un terzo di tutti i progetti è in Lombardia, seguita dall’Umbria (17,7%) e Piemonte (11,4%). Il modello vincente di social housing al momento è Milano (le altre grandi metropoli non reggono il confronto). Il costo medio di costruzione di una social housing ammonta intorno ai 600 euro a mq. Nel caso in cui ci siano dettagli particolari nelle abitazioni (finezze estetiche quali ampi balconi, servizi) il costo sale ai 1000 euro circa per mq.

    Gli esempi più virtuosi e meglio riusciti sono nel milanese: qui è nato il primo fondo immobiliare etico e nel 2004 è nata la Fondazione Housing Sociale, oltre a collaborare con l’edilizia residenziale pubblica classica, nell’ottica di riqualificare alloggi abbandonati o sfitti con un occhio alla sostenibilità e alla socialità; recentemente è stato anche lanciato un programma per fornire alloggi a costo zero ai residenti anziani con più di 70 anni in difficoltà economiche.

    A Bologna il Comune ha investito oltre 60 milioni di euro per fornire mille unità abitative nel 2019-2020 in collaborazione con ACER; ci sono progetti anche ad Udine, a livello regionale in Calabria e nel fiorentino a Scandicci in via di realizzazione, spesso partendo dall’acquisizione e riqualificazione di alloggi sfitti, malridotti o gestiti dalla malavita: l’obiettivo in questi casi è farli diventare nuovamente luoghi di vita, in cui si formino delle community che possano portare avanti progetti ed attività e rivitalizzare intere porzioni di città.

    • Mi è arrivata una citazione in tribunale per uno sfratto. Cosa devo fare?

    Per prima cosa: leggere bene e cercare di capire il contenuto dell’atto. In ogni caso, vedere quali mensilità o spese di quali mesi il proprietario dice che non sono state pagate e se è vero. Alla fine della lettera arrivata c’è anche il giorno e l’ora (in genere dalle 9) in cui si è chiamati in tribunale.

    Ricorda che puoi andare in udienza anche di persona: in quel caso il giudice ti aiuterà a capire la situazione e cercherà di spiegarti il più semplicemente le tue possibilità. Conviene sempre andare a spiegare le proprie ragioni, anche se fossero soltanto “non ho abbastanza soldi per pagare”. Può succedere a tutti e non c’è nulla di cui vergognarsi.

    Puoi quindi presentarti in udienza e chiedere al proprietario di rifare i conti: non si è accorto che certi mesi li avevi pagati, certe spese non erano dovute perché degli anni precedenti… insomma, cose evidenti su cui anche il proprietario di casa (ed il suo avvocato) possono convenire e modificare la cifra richiesta. A questo punto però devi pagare la somma (ridotta) che ne è venuta fuori.

    Ancora, nel caso in cui il proprietario abbia ragione puoi:

    • Non opporti alla convalida: sei d’accordo ad andartene via a breve e chiedi solo poco tempo per lasciare la casa (un paio di mesi). Dovrai così pagare solo gli arretrati, quanto tempo resti e le spese del procedimento (che variano in base al debito, e attento che possono arrivare anche a un migliaio di euro).

    • Chiedere il termine di grazia. Se sei convinto che la tua situazione sia temporanea e che a breve troverai i soldi necessari, puoi chiedere al giudice ulteriori fino a 90 giorni per saldare il debito (mensilità, interessi, spese procedimento e avvocato del proprietario), oltre ai tre mesi che verranno a scadere nel mentre. Dopo i 90 giorni si fissa una nuova udienza per vedere se si è pagato tutto, altrimenti viene convalidato lo sfratto (e il giudice ti darà altri 15 giorni circa prima che venga l’ufficiale giudiziario per lo sloggio).

    • Opporti. Se non hai pagato perché la casa aveva grossi problemi che la rendevano invivibile, o se avevi degli accordi verbali con il proprietario di pagare una somma ridotta per via dei difetti della casa, puoi proporre opposizione. A questo punto il giudice potrà mutare il rito e passare a un normale processo civile, sul modello del processo del lavoro, in cui non puoi più difenderti di persona ma serve per forza un avvocato. Valuta attentamente questa possibilità perché, anche se ti potrebbe permettere di rimanere nell’alloggio più tempo, alla fine in caso di soccombenza farebbe lievitare tanto le spese da pagare.

    Se hai qualche possibilità economica di cominciare a dare qualcosa, o fare una proposta potresti metterti in contatto con l’avvocato del proprietario e cominciare una trattativa stragiudiziale (cioè prima o fuori dalle aule dei tribunali) in cui, a fronte di un impegno serio a pagare una buona parte del dovuto, potresti ottenere qualche riduzione e/o rateazione. Ricorda però che qui l’ultima parola la ha il proprietario di casa e non il giudice, e un ruolo fondamentale riveste la fiducia che ha lui nei tuoi confronti come “buon pagatore”.

    Se non ti presenti all’udienza, il giudice deve solo verificare che ci sia un contratto di locazione firmato e registrato e che l’avvocato abbia correttamente inviato la notifica a casa tua. Se è tutto corretto, in assenza di qualcuno che dica altro il giudice non può far altro che convalidare lo sfratti e dare 30 giorni prima che l’ufficiale giudiziario possa cominciare con gli accessi. Se il proprietario lo chiede può anche ottenere una tua condanna al pagamento delle somme che gli spettano, tramite decreto ingiuntivo, oltre ai costi delle procedure e dell’avvocato. Ancora una volta, andare a spiegare le proprie difficoltà evita dei costi inutili.

    • Il mio proprietario mi ha proposto un contratto a canone concordato ma vuole farlo durare un periodo diverso rispetto a quello che c’è scritto. Cosa posso fare?

    In questo caso c’è la nullità automatica con conversione alla durata legale del modello di contratto che hai firmato (sia 4+4, 3+2, transitorio di alcuni mesi…). Di solito la durata corretta si scrive sul contratto, quella diversa te la dice a voce il proprietario. In questi casi, carta canta: se non ti sta bene, puoi restare per tutto il periodo del contratto ed al massimo il proprietario può mandarti una disdetta motivata alla fine per non rinnovarlo.

    Se stai avendo dei problemi, puoi fare causa (con avvocato) per far riconoscere la vera durata oppure comportarti come se la durata fosse quella prevista dalla legge: semplicemente, in questo secondo caso il proprietario può solo farti causa, ma sa benissimo anche lui che non ha possibilità di avere ragione.

    • Il mio contratto dice che pago una somma di affitto mensile, ma il mio proprietario di casa vuole che gli paghi una cifra maggiore e non mi sta bene. Posso riavere i soldi indietro?

    Sì, ma con delle attenzioni. La Cassazione ha affermato che è nullo il patto con cui si vuole pattuire un canone superiore a quello contrattuale da pagare in nero. Il problema è che devi dimostrarlo. Hai tempo 6 mesi da quando “riconsegni” la casa al proprietario (te ne vai definitivamente, gli dai le chiavi…), in genere quando finisce il contratto.

    Sarà molto facile se hai delle prove chiarissime della cosa, come ad esempio delle ricevute che ti ha dato il proprietario quando lo hai pagato, ho ancora se l’hai sempre pagato con bonifico e nella descrizione è scritto puntualmente che cosa stavi pagando. Altrimenti sarà la sua parola contro quello del proprietario, dovete ricorrere a testimonianze (magari vicini ed altre persone che abbiano visto il momento del pagamento o sappiano della cosa) e la questione diventa molto più complicata, per cui intentare una causa civile potrebbe essere un inutile spreco di tempo e di denaro.

    • Sono improvvisamente in difficoltà economica e non riesco a pagare l’affitto della casa in cui vivo. Come faccio a non trovarmi per strada?

    Va sempre ricordato che il proprietario non può cacciarti di casa se non paghi qualche mese d’affitto di sua sponte, ma deve sempre passare attraverso un giudice.

    In ogni caso, è sempre meglio informare il proprietario: dopotutto anche lui è un essere umano e capisce le difficoltà che possono capitare a tutti nella vita. Sparire e non dire nulla potrebbe invece dargli l’impressione che non vogliate pagare per dispetto o per capriccio, e rischia di rendere i rapporti tesi. Quindi, può sempre essere utile un primo contatto per ottenere qualche mese di dilazione/rateazione temporanea o riduzione del canone (meglio sempre metterla per iscritto).

    Se da quel punto di vista non riuscite ad ottenere particolari aiuti, se non vi bastano o se la situazione dura più tempo del previsto, è opportuno fare un tentativo con i servizi comunali (di solito ufficio per le politiche abitative); in genere serve anche una intimazione di sfratto già ricevuta, oltre che a requisiti di reddito abbastanza basso e aver una situazione di difficoltà comprovata (licenziamento, cassa integrazione, malattia grave…): se avete perso oltre 30% del vostro reddito per il Covid-19 tra marzo e maggio 2020, non serve che ci sia già la procedura di sfratto in corso ma basta una autocertificazione della cosa.

    • Non ho più una casa da un po’ di tempo e guadagno molto poco o non ho nessuna entrata. Come faccio ad averne una che posso permettermi?

    Se le soluzioni di affitto (locazione) condivisa non pensi che facciano al caso tuo, ci sono due alternative: gli alloggi popolari e gli alloggi sociali (edilizia residenziale pubblica e edilizia sociale). Dato che come ricordato le cose variano da regione a regione, è utile informarsi sui rispettivi siti dei progetti e bandi in atto, o chiedere agli sportelli informazioni dei comuni. Se hai un basso reddito potresti provare con l’edilizia sociale, altrimenti con le case popolari. I bandi non hanno cadenze precise, ma vengono fatti in base ai progetti e programmi che cambiano di comune in comune e di regione in regione; in ogni caso, sono in genere a cadenza annuale e hanno dei periodi particolari (detti in gergo ‘finestre’) in cui si può presentare domanda. Lo sportello informazioni sul diritto alla casa del tuo Comune potrà sicuramente informarti sulle procedure in corso lì.

     

    Pagina in continuo aggiornamento a cura di 

    dott. Luca Sassi, sede di Padova

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