diritto alla casa

Per diritto alla casa o all’abitazione si intende il fatto che ognuno di noi dovrebbe avere un alloggio e riparo adeguati. Molte Costituzioni lo riconoscono, mentre nella Costituzione Italiana è affermato solo indirettamente. Il problema è come far sì che questo sia garantito a tutti ed in concreto, anche grazie all’edilizia popolare. Nel diritto internazionale è riconosciuto in molte dichiarazioni e trattati, spesso in relazione al diritto alla riservatezza, oltre ai diritti economici, sociali e culturali di ciascuno di noi.

Il diritto alla casa a livello internazionale

Si parla per la prima volta di diritto alla casa nella Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo del 1948, dove si afferma che “ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio” e, tra le cose necessarie a garantirlo, una abitazione (art. 25); anche nel Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali del 1966 (in vigore dal 1976 per l’Italia) l’abitazione è considerato un elemento fondamentale per una vita dignitosa (art. 11).

Ad un certo punto si comincia a parlare di diritto alla casa in senso autonomo, chiamandolo housing right; in particolare, nel 1991 il Comitato ONU sui Diritti Economici Sociali e Culturali ne ha descritto i 7 elementi fondamentali, cercando di comprendere diversi aspetti legati all’abitazione, ribaditi recentemente col concetto più specifico di adequate housing right (rapporto Ufficio ONU dell’Alto Commissariato per i Diritti umani del 2009, General Comments nn. 4 e 7):

  1. Garanzia di godimento (Legal Security of Tenure), inclusa protezione in caso di sfratti, vessazioni e minacce; anche in caso di occupazione illegittima, è necessario che ci siano procedure dettate da ogni stato che diano almeno un po’ di preavviso e considerino la situazione contingente (come calamità naturali o emergenze), dopo aver considerato tutte le alternative e limitato al massimo la coercizione.
  2. Possibilità di accesso a servizi, materiali, agevolazioni ed infrastrutture (Availability of Services, Materials, Facilities and Infrastructures): chi ha l’abitazione dovrebbe avere anche accesso alle risorse naturali necessarie per i bisogni fondamentali (acqua, luce, gas, rifiuti…); manca però un obbligo concreto connesso al diritto di abitazione “adeguata”.
  3. Accessibilità economica (Affordability): il costo della casa deve permettere a chiunque di poter sostenere le spese fondamentali (cibo, vestiti, istruzione, salute…); per garantire questo diritto i singoli Stati aiutano economicamente le persone in difficoltà ed evitano aumenti eccessivi degli affitti.
  4. Abitabilità (Habitability): il luogo dove si vive deve garantire sicurezza fisica, essere di dimensioni minime, stabile e sicuro per la salute.
  5. Facilità di accesso (Accessibility): per tutti, con priorità alle persone più deboli o in difficoltà (anziani, bambini, disabili, malati terminali o HIV+, disabilità mentali, malattie croniche, vittime di disastri naturali, in zone di rischio…).
  6. Collocazione (Location): cioè ad ottenere una nuova abitazione a seguito della perdita della precedente (vuoi per sfratto o disastro naturale) il più vicino possibile alla comunità di origine.
  7. Adeguatezza culturale (Cultural Adeguacy): nel costruire abitazioni, scegliere i materiali e politiche gestionali si dovrebbe cercare di garantire l’espressione della dimensione culturale degli abitanti.

Gli obblighi degli Stati

Tutto bellissimo, a leggere le Convenzioni, le Dichiarazioni, i Patti ed i Trattati. Come si fa però in concreto a far sì che questi obblighi vengano rispettati? Qui entrano in gioco gli Stati.

Il problema è che tutti questi impegni internazionali ricordati non prevedono obblighi vincolanti per gli Stati che aderiscono, cioè non stabiliscono sanzioni se lo Stato non rispetta nel suo territorio tutti i diritti che vengono affermati. Pertanto, tutti i principi richiamati fino ad ora non sono altro che “obiettivi programmatici”: ogni Stato afferma che ‘si impegnerà come può’ con politiche ed interventi per realizzare tutto prima possibile considerando le risorse che ha.

Per garantire un minimo di controllo, ogni Stato si è preso almeno l’impegno di monitorare la situazione rispetto le categorie particolarmente vulnerabili (in pratica, periodicamente devono fare ricerche e pubblicare un documento o un report sulla situazione, vedendo se ci sono stati miglioramenti o peggioramenti).

La Carta Sociale Europea

Qualche obbligo in più per gli Stati aderenti viene sancito nella Carta Sociale Europea (trattato del Consiglio di Europa del 1961 ma ratificato in Italia solo nel 1999), dove si stabiliscono degli oneri per garantire un diritto effettivo all’abitazione. Si parla quindi (art. 31) di abitazione di livello sufficiente, fornire un alloggio gradualmente a tutti i senza tetto, oltre a rendere i costi dell’abitazione accessibili a tutti (art. 31).

Di nuovo, all’inizio non c’era alcuna sanzione per il mancato rispetto di tali obblighi: si pensava che ogni governo doveva essere libero di agire come voleva per i diritti sociali, considerati come una scelta politica e non correlati ai diritti umani fondamentali da garantire sempre. Dalla fine degli anni ‘90 del secolo scorso, il Comitato Europeo dei Diritti Sociali del Consiglio d’Europa ha iniziato un’operazione di riforma della Carta Sociale, con vari meccanismi di controllo e tutela: il Comitato stesso produce periodicamente indagini (country reports) dove inserisce raccomandazioni specifiche per ciascuno Stato; inoltre, gli enti che lavorano nel sociale e le ONG riconosciute possono denunciare le violazioni della Carta Sociale. Si creano così precedenti giurisprudenziali che possano rendere sempre più effettive le disposizioni della Carta Sociale, sul modello della CEDU: in pratica, il Comitato nei reclami può affermare che il singolo Stato inadempiente debba cercare di rispettare gli impegni presi in modo progressivo e misurabile entro una data precisa.

E in Italia? Come accennato, la Costituzione Italiana non afferma in via diretta ed esplicita un diritto alla casa di ognuno; l’articolo 47, però, sottolinea l’obbligo della Repubblica di favorire “l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione”. Dagli anni 80, la Corte Costituzionale ha cominciato ad affrontare l’argomento, parlandone solo in relazione a diritti collegati: si comincia con l’affermare che la casa è un “bene primario dell’individuo” (Sent. 252/1983), riconoscendo poco dopo che è un “diritto inviolabile” e che è “generale dovere della collettività” impedire che qualcuno resti senza abitazione (si vedano le sentenze nn. 49/1987, 217/1988 e 404/1988), citando agli artt. 2, 3 e 47 Cost.

Il problema resta che ad oggi non c’è una chiara definizione di quale sia il contenuto minimo essenziale del diritto di abitazione, rendendo così di fatto impossibile rivendicarlo in via diretta ed immediata nelle aule dei Tribunali. Di diritto alla abitazione se ne è quindi parlato come condizione necessaria a garantire il diritto alla salute (infatti, per avere accesso gratuito alla cure mediche è necessaria una residenza) o ad avere pari tutela nella convivenza fuori dal matrimonio rispetto a quella all’interno del matrimonio (Sent. 404/1988, in cui ci si riferisce proprio alla comune abitazione come elemento rilevante).

Ci sono poi altre norme a livello di legge che considerano abitazione e domicilio come qualcosa da tutelare o da cui nascano diritti. Come noto, il domicilio è inviolabile (art. 14 Cost.), ed il mancato rispetto è un reato (art. 614 c.p.): in questo modo si cerca di tutelare l’abitazione da aggressioni e intrusioni esterne ingiustificate.

Di diritto di abitazione si parla anche nel caso in cui muoia il coniuge che è titolare dell’immobile: il marito o la moglie superstiti hanno diritto di abitare (inteso come diritto reale, art. 540 c.c.) l’immobile che era la residenza familiare, anche se la proprietà passasse ad altri eredi. Sempre in tema di diritto di famiglia, il genitore a cui vengono affidati (in via esclusiva o prevalente) i figli a seguito di separazione o divorzio hanno il diritto di assegnazione della casa coniugale (art. 337 sexies c.c. e Cass. civ., sent. n. 32231/2018).

Ricordiamo inoltre che vige l’impignorabilità della prima casa (se è l’unico immobile, non di lusso e corrisponde alla residenza anagrafica, mentre se si hanno anche altri immobili il debito non deve superare i 120.000€). Questa regola vale solo per i debiti con lo Stato cioè l’agente della riscossione esattoriale e non nel caso di banche e finanziamenti (e privati in generale, art. 76 D.P.R. 602/1973, così come modificato dal d.l. 69/2013, cd. “decreto del fare”).

Sempre avendo in mente la tutela del soggetto che abita una casa, inteso come diritto meritevole di tutela, si inseriscono le norme introdotte con il d.l. 7/2007, convertito nella legge 40/2007, in cui si afferma la possibilità di estinzione anticipata del mutuo che sia stato fatto per l’acquisto o la ristrutturazione della propria casa di abitazione, senza dover pagare penali, e cercando così di venire incontro a potenziali esigenze dei cittadini.

    1. Normativa: il diritto alla casa in concreto in Italia

È utile vedere ora come lo Stato italiano cerchi di garantire a più persone possibili il diritto ad una casa e cosa si può fare in concreto perché questo diritto sia garantito. Questo avviene soprattutto attraverso due tipi di intervento: quelli di edilizia popolare pubblica e quelli a tutela degli inquilini in appartamenti dati in locazione da privati, con regole speciali che derogano alla normale disciplina dei contratti ed in parte con sconti fiscali. Vediamo ora in ordine i principali.

    1. Gli alloggi popolari e sostegno prima casa

La giurisprudenza costituzionale ha anche recentemente affermato che non esiste un vero e proprio diritto per i meno abbienti di chiedere (ed ottenere) finanziamenti statali o aiuti per l’acquisto o locazione di una prima casa di abitazione (sent. nn. 423/2004, 118/2006, 137/2007). Il diritto sorge semmai dopo che l’ente pubblico ha concluso la procedura di selezione e si risulta vincitori. Ancora una volta il diritto alla casa non appare come ‘immediato’, ma ottenibile e pretendibile solo indirettamente.

Ciononostante, lo Stato interviene attivamente per cercare di favorire il diritto di tutti ad avere una casa; entra qui in gioco l’edilizia residenziale pubblica (ERP), cioè l’intervento pubblico in materia di edilizia residenziale. Questo può avvenire in tre modalità diverse:

  • Edilizia sovvenzionata, cioè contributi diretti dello Stato per fare abitazioni da dare in locazione a persone in condizioni economiche disagiate, le cosiddette “case popolari” e dovrebbero essere una soluzione temporanea finché rimane la difficoltà economica;
  • Edilizia convenzionata, con cui l’obiettivo è far acquistare una casa ad alcune categorie di persone che necessitano di un sostegno economico visto il grande esborso che di solito richiede. Si può procedere tramite una locazione e successivo o acquisto diretto a prezzi calmierati secondo convenzioni coi comuni.
  • L’edilizia agevolata infine, che mira a costruire alloggi che saranno usati come prima casa. Edificano privati con finanziamenti pubblici a fondo perduto.

Una volta individuato il tipo di soluzione preferibile, è necessario fare richiesta di un alloggio consultando i bandi attivi o verificando le formalità necessarie, che variano leggermente da comune a comune. Per le case popolari ad esempio, si procede con una domanda in cui vengono allegate una serie di condizioni soggettive (isee, età, figli, residenza nel posto, lavoro in loco…) ed oggettive (situazioni per cui l’attuale alloggio non è sostenibile: sovraffollamento, altri nuclei familiari residenti, barriere architettoniche…). Alla fine vengono assegnati dei punteggi complessivi e si redige una graduatoria, dove gli alloggi disponibili verranno assegnati in ordine di posizione. In genere i bandi hanno cadenza annuale.

Accanto l’edilizia pubblica ERP ci sono una serie di altre misure a sostegno della casa in generale, che spesso vengono riassunte nel concetto di politiche per la casa o politiche abitative. Ecco le principali:

  • Bonus giovani prima casa: col d.l. 73/2021 (Decreto Sostegni Bis) i giovani under 36 (al momento del rogito) possano inviare domanda fino al 30 giugno 2022 per ottenere la garanzia di Stato sull’80% mutuo prima casa (quota capitale): se il proprio ISEE è sotto 40mila euro (anche senza un contratto di lavoro indeterminato) e non si hanno altri immobili si può accedere ad un mutuo bancario prima casa per il quale garantisce lo Stato. Sono anche azzerate le imposte sulla compravendita (di registro, ipotecaria e catastale): per chi compra da un privato, l’agevolazione consiste nell’azzeramento delle imposte di registro, ipotecaria e catastale (restano da pagare l’imposta di bollo, le tasse ipotecarie e i tributi speciali catastali, per totali 320€), senza IVA. Se si compra da una ditta, resta dovuta solo IVA che si paga al venditore, ottenendo l’equivalente in credito d’imposta (non rimborsabile) con cui si può pagare imposte relative alla casa successive alla acquisizione del credito, IRPEF, ritenute d’acconto previdenziali o assistenziali o ancora premi per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e sulle malattie professionali.
  • Bonus prima casa: c’è una detrazione fiscale del 50% IRPEF, per un massimo rimborsabile di 96.000€ (e quindi per immobili fino a poco meno di 200.000€), oltre a riduzioni delle imposte di registro, catastale e ipotecaria (2% e 50 euro). L’immobile non deve essere di lusso e bisogna spostare lì la residenza entro 18 mesi.
  • Bonus ristrutturazioni: anche questo opera come bonus fiscale con detrazione IRPEF o IRES del 50%. In occasione della ristrutturazione è prevista una detrazione, sempre del 50%, anche per l’acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici di classe superiore alla A+ (B da marzo 2021 per la nuova catalogazione energetica), finalizzati all’arredo di abitazioni ristrutturate in ottica di risparmio energetico. Per il bonus condizionatori è invece prevista un’aliquota dal 50% al 110% a seconda degli interventi.
  • Ecobonus, cioè interventi di riqualificazione energetica che permettano di avere un risparmio energetico nella gestione quotidiana (riscaldamento, raffrescamento…). Qui lo sgravio fiscale che è del 65% o 50% (IRPEF/IRES) in base al tipo di intervento, spalmato in 10 anni e per massimo 100.000€.
  • Sismabonus: in questo caso, l’interesse è quello di favorire interventi che rendano gli immobili ed edifici più resistenti agli eventi sismici per zone sismiche ad alta pericolosità (zone 1 e 2) e nella zona 3 spetta una detrazione del 50%, da calcolare su un importo complessivo di 96.000 euro (max 5 anni). La detrazione sale al 70%, se si passa a una classe di rischio inferiore, all’80% se il miglioramento è di due classi, che aumenta ancora al 75% al 85% rispettivamente se si interviene su parti comuni degli edifici condominiali.
  • Bonus facciate: la finanziaria 2020 ha previsto delle detrazioni di imposta (spalmabili in massimo 10 anni) per ristrutturazione delle facciate di edifici (inclusi condomini e palazzi) fino a 200.000€, in ottica di interventi utili a garantire la tenuta strutturale degli edifici e migliorare l’estetica delle città.
  • Superbonus edilizio 110%: previsto per ultimo, riguarda solo massicci interventi di riqualificazione energetica per specifiche tipologie di immobili, come condomini o di varie unità abitative (da 2 a 4), che permettano un miglioramento sensibile della classe energetica. Si può intervenire con varie modalità (impianto fotovoltaico, climatizzatore o riscaldamento, ma anche isolamento termico, interventi antisismici, eliminazione barriere architettoniche, ricarica elettrica…). In questi casi serve anche il visto di conformità (richiedibile al CAF, ragionieri, commercialisti…) e l’asseverazione tecnica relativa agli interventi di efficienza energetica e di riduzione del rischio sismico. La detrazione è riconosciuta nella misura del 110%, divisa in 5 anni per il 2021 e 4 per il 2022.

Se la quota annua della detrazione supera l’imposta Irpef, l’importo eccedente non viene recuperato in alcun modo: cioè se si fa un intervento per cui l’IRPEF annuale detraibile è di 1.000€ ma l’imposta Irpef è di solo 700€, la differenza non può essere recuperata in nessun modo. Va ricordato infine che questi interventi sono di natura programmatica ed inseriti nelle leggi finanziarie; i programmi coprono spesso alcuni anni, ma ogni legge finanziaria interviene con leggere modifiche requisiti e entità o modalità di erogazione per l’anno successivo, per cui l’invito è nuovamente a rimanere aggiornati sulle ultime novità.

    1. Locazioni, sfratti e morosità

Prima di tutto, occorre specificare che nessun proprietario (inteso come privato cittadino) ha obbligo di concludere un contratto di locazione con chi ha una esigenza abitativa: per chi vuole dare in affitto una casa vige soltanto l’obbligo di non discriminazione (in particolare verso gli stranieri, ex articolo 43 T.U. Immigrazione, D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286), oltre ai generali doveri di buona fede e correttezza (che potremmo riassumere con un ‘comportarsi bene e fare la persona onesta’, che chiunque deve rispettare nei rapporti civilistici).

Ciononostante, nel corso degli anni il legislatore si è accorto che le locazioni abitative urbane (in pratica chi prende in affitto una casa in qualsiasi città per abitarci) non potevano essere lasciate alla totale discrezionalità e libertà contrattuale delle parti, perché inevitabilmente c’è una parte “forte” – il proprietario di casa che la mette in affitto – ed una “debole” – la persona che vorrebbe prendere l’appartamento e diventare inquilino.

Ecco quindi che, accanto alle regole generali sulle locazioni di immobili dettate dal codice civile (artt. 1571 c.c. e sgg.), si è intervenuti tramite varie leggi speciali che disciplinano tali tipi di contratti, fissando ulteriori regole e vincoli nel tentativo di riequilibrare i rapporti tra le parti e dare maggior tutela a chi prende in locazione una casa per abitarci. Ecco le principali norme di tali leggi a favore degli inquilini:

  1. Legge 392/1978 sulla locazione degli immobili urbani (legge equo canone):
    1. Articolo 5 della legge 392/78, inadempimento del conduttore: ci sono 20 giorni extra per l’inquilino per pagare una mensilità (canone) rispetto al termine stabilito: solo dopo questo periodo il locatore può richiedere la risoluzione del contratto; allo stesso modo, se manca il pagamento degli oneri accessori (utenze, spese condominiali…), la risoluzione contrattuale scatta solo se le spese non pagate sono pari ad almeno a 2 mesi di canone (si veda anche art. 9).
    2. L’art. 6 stabilisce la successione nel contratto in caso di morte del conduttore per i parenti stretti (coniuge, eredi, parenti, affini conviventi, conviventi stabili…), oltre alla successione dell’altro coniuge in caso di separazione o divorzio e accordo fra le parti, o se il giudice ha affermato il diritto di abitare nella casa familiare.
    3. L’articolo 7 fissa il divieto di scioglimento in caso di alienazione: se il proprietario decide di vendere l’immobile locato, il contratto di locazione continua fino alla scadenza con gli stessi conduttori ed il nuovo locatore, alle stesse condizioni di prima.
    4. Per limitare possibili abusi dei proprietari, l’articolo 8 impone di dividere a metà le spese di registrazione del contratto e l’articolo 11 afferma che il deposito cauzionale può essere di massimo 3 mensilità.
    5. Infine, ricordiamo l’articolo 55 che fissa importanti norme a tutela dell’inquilino in ritardo coi pagamenti: se si viene citati in giudizio, saldando il debito (mensilità e/o spese dovute, interessi e costi della procedura) entro o nel corso dell’udienza di convalida, si sana la morosità ed il contratto riprende come se nulla fosse accaduto: questo però può avvenire al massimo 3 volte in 4 anni. Se non si paga in tutto o in parte il dovuto, presentandosi in udienza (anche senza avvocato) si può chiedere il Termine di Grazia: spiegando al giudice le proprie difficoltà nel pagamento (perdita di lavoro, problemi di salute, ritardi nei pagamenti o altre situazioni che si sperano temporanee); questi può dare fino ad altri 90 giorni per pagare la morosità maturata e i canoni che scadranno i mesi successivi; anche qui, se si riesce a sanare la morosità si rimane nella casa e il contratto prosegue normalmente. Questo termine può salire fino a 120 giorni se sono dovute al massimo due mensilità e le condizioni di difficoltà sono sorte dopo la stipula del contratto (massimo di 4 volte in 4 anni).
  2. Legge n. 431/1998, sulle locazioni e rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo:
    1. l’articolo 1 al comma 4 introduce l’obbligo di forma scritta, di regola assoluta ed insanabile, se viene violata con abuso del locatore, è relativa e rilevabile solo dal conduttore (cfr. Cass. Civ. SS.UU., sent. n. 18214/2015).
    2. la registrazione all’Agenzia delle Entrate, dapprima solo facoltativa, è divenuta obbligatoria a pena di nullità ex articolo 1 comma 346 della legge 311/2004 (finanziaria 2005): quest’ultima, però, può essere sanata in qualsiasi momento durante la vigenza del contratto (Cass. Civ., Sent. n. 10498/2017).
    3. L’articolo 3 stabilisce limiti in caso di disdetta del locatore: alla scadenza del contratto (ad esempio 4+4 anni), la locazione si rinnova automaticamente, salvo disdetta di una delle parti; in particolare, il proprietario che non vuole rinnovare il contratto deve inviare (in genere tramite raccomandata a/r) entro 6 mesi dalla scadenza la comunicazione di non rinnovo; mentre per la comunicazione dell’inquilino sono sufficienti dei comprovati motivi, il proprietario locatore può farlo sono in casi specifici, legati al fatto che ha bisogno dell’immobile per sé o parenti, che siano necessarie ristrutturazioni, che sia danneggiato…
    4. L’articolo 4 bis parla dei tipi di contratto: per evitare che la contrattazione delle locazioni sia totalmente libera e senza regole, accanto alle locazioni a canone libero (modello 4+4) si è prevista la possibilità di contratti a canone concordato (o concertato): in questi casi si stabilisce che il corrispettivo con accordi territoriali stipulati tra organizzazioni degli inquilini e dei proprietari, spesso con cifre inferiori ai correnti prezzi di mercato, cercando di garantire un minimo di tutela dell’abitazione. Per rendere utile tale procedura sono stati stabiliti alcuni vantaggi fiscali (reddito Irpef, imposta di registro, Imu solo nei Comuni che hanno deliberato di favorire tale forma contrattuale…): in questo caso la durata è di 3+2 anni con rinnovo automatico. Accanto questi, sono stati poi previsti dei contratti di locazione per esigenze transitorie (da 1 a 36 mesi per studenti e rinnovabili, da 1 a 18 mesi negli altri casi), sempre a canone concordato (e calmierato).
    5. L’articolo 13, infine, sanziona con la nullità ogni accordo per un canone di locazione superiore (quasi sempre in nero) a quello risultante dal contratto scritto e registrato o per una durata diversa del contratto: entro sei mesi dal rilascio dell’immobile si può far causa per chiedere indietro le somme in più versate, mentre nel secondo caso si dovrà agire per accertare la nullità della durata e conversione alla durata stabilita per legge.

Inoltre, a seguito o durante una procedura di sfratto per morosità, grazie alle politiche attive per la casa, è possibile accedere ad un Fondo per la morosità incolpevole presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (art. 6 d.l. 102/2013). Se la propria situazione di difficoltà è dipesa da cause esogene o non controllabili né imputabili alla persona (licenziamento ingiustificato, improvvisa malattia, licenziamento dovuto a motivi oggettivi…) è possibile accedere a forme di sostegno e aiuto economico volto a coprire parte della morosità pregressa o a dare una quota utile per il pagamento del deposito cauzionale nel nuovo immobile preso in locazione, grazie a finanziamenti pubblici a fondo perduto. Il fondo, su base nazionale, viene rifinanziato periodicamente in base ad accordi nella Conferenza Stato Regioni. In genere è richiesto essere già destinatari di una intimazione di sfratto (insomma, una citazione in tribunale per la morosità accumulata) ed essere residenti nell’immobile preso in locazione.

Tribunale di Chieti, ordinanza 18 gennaio 2024

È inammissibile il ricorso d’urgenza ai sensi dell’art. 700 c.p.c. promosso dal conduttore di un immobile a destinazione commerciale per ottenere la sospensione dell’efficacia esecutiva dell’ordinanza di rilascio emessa ai sensi dell’art. 665 c.p.c.. I provvedimenti di urgenza ex art. 700 cod. proc. civ. possono essere adottati soltanto nella specifica ipotesi (pericolo di pregiudizio imminente e irreparabile durante il tempo occorrente per fare valere il diritto in via ordinaria) e per la specifica finalità (assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito) contemplate in tale articolo; pertanto, detti provvedimenti non possono essere emessi per il conseguimento di finalità proprie di un istituto diverso, quale è quello della sospensione dell’esecuzione di un provvedimento del giudice (Cass. Sez. III, 11 giugno 1990, n. 5670; Cass. civ., Sez. VI – 3, Ordinanza, 05/03/2020, n. 6319; Cass. civ., Sez. VI – 3, Ordinanza, 06/06/2014, n. 12846; Cass. civ., Sez. III, 23/01/2006, n. 1223). 

Cass. civ., Sez. VI – 3, Ordinanza, 03/05/2022, n. 13956 (rv. 664649-01)

L’ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c. non è impugnabile, né è idonea al giudicato poiché non ha carattere irrevocabile e non statuisce in via definitiva sui diritti e sulle eccezioni delle parti, la cui risoluzione è riservata invece alla successiva fase di merito, in cui intimante ed intimato cristallizzano il “thema decidendum”; ne consegue che l’omessa pronuncia su domande o eccezioni sollevate nella fase sommaria o in quella di merito può essere fatta valere solo con l’impugnazione della sentenza che definisce il giudizio incardinato ai sensi dell’art. art. 667 c.p.c..

 

Corte Cost., sent. 17 luglio 2023, n. 145

Incostituzionale il requisito della Regione Marche di almeno cinque anni di residenza continuativa in un territorio per l’accesso alle graduatorie per l’assegnazione delle case popolari.

Conformemente ai precedenti giurisdizionali della Corte, è stato dichiarato incostituzionale l’art. 20-quater, comma 1, lett. a-bis) della legge della Regione Marche 16 dicembre 2005, n. 36 (Riordino del sistema regionale delle politiche abitative), la quale prevedeva il requisito della residenza nell’ambito territoriale regionale da almeno cinque anni consecutivi per l’accesso alle graduatorie di assegnazione degli alloggi popolari.

La pronuncia richiama i precedenti analoghi della Corte, aventi ad oggetto l’illegittimità costituzionale di norme regionali contenenti i medesimi requisiti discriminatori (sent. n. 44/2020 e sent. n. 77/2023).

La Corte, in ragione dell’assoluta sovrapponibilità della fattispecie normativa oggetto di un precedente giudizio (la sent. 44/2020), a quella oggetto di esame, richiama le stesse argomentazioni: il requisito della residenza (o dell’occupazione) ultraquinquennale nella Regione come condizione di accesso al beneficio dell’alloggio di edilizia residenziale pubblica, è in contrasto sia con i principi di eguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3, primo comma, Cost., perché produce un’irragionevole disparità di trattamento a danno di chi, cittadino o straniero, non ne sia in possesso, sia con il principio di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, secondo comma, Cost., perché tale requisito contraddice la funzione sociale dell’edilizia residenziale pubblica.

 

Corte cost., sent. 26 aprile 2023, n. 77

Incostituzionale il requisito della residenza quinquennale della Regione Liguria per l’accesso alle case popolari.

La Corte ha dichiarato incostituzionale l’art. 5, comma 1, lett. b) della legge della Regione Liguria 29 giugno 2004 n. 10, recante “Norme per l’assegnazione e la gestione del patrimonio di edilizia residenziale pubblica e modifiche alla legge regionale 12 marzo 1998, n. 9  (Nuovo ordinamento degli enti operanti nel settore dell’edilizia pubblica e riordino delle attività di servizio all’edilizia residenziale ed ai lavori pubblici), per contrasto con l’art. 3, comma 1 Cost., determinando un’irragionevole disparità di trattamento rispetto a tutti i soggetti, stranieri o italiani che siano, privi del suddetto requisite.

La disposizione censurata stabiliva che tra i requisiti del nucleo familiare per partecipare all’assegnazione degli alloggi popolari (ERP), vi fosse la residenza o l’attività lavorativa da almeno cinque anni nel bacino di utenza a cui appartiene il Comune che emana il bando, tenendo conto della decorrenza della stessa nell’ambito del territorio regionale. La Corte evidenzia come la suddetta disposizione risulti del tutto simile ad una disposizione legislativa della Regione Lombardia, dichiarata anch’essa costituzionalmente illegittima (sent. 44/2020), in quanto prevedeva tra i requisiti per l’assegnazione di un alloggio ERP, la «residenza anagrafica o [lo] svolgimento di attività lavorativa in Regione Lombardia per almeno cinque anni nel periodo immediatamente precedente la data di presentazione

Il motivo di illegittimità costituzionale è stato individuato nel contrasto del requisito della residenza (o occupazione) ultraquinquennale, come condizione di accesso all’ERP, «sia con i principi di eguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3, primo comma, Cost., perché produce una irragionevole disparità di trattamento a danno di chi, cittadino o straniero, non ne sia in possesso, sia con il principio di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, secondo comma, Cost., perché tale requisito contraddice la funzione sociale dell’edilizia residenziale pubblica della domanda».

 

Sentenza della Corte Edu (Terza Sezione), 11 aprile 2023, ric. n. 30782/16, Simonova c. Bulgaria

Mancanza di proporzionalità dell’ordine di demolizione per interferenza con il diritto al rispetto della propria abitazione e della vita privata e familiare.

La ricorrente, madre single di sette figli, cinque dei quali minorenni all’epoca dei fatti, nel 2009 aveva ottenuto il permesso di costruire, e successivamente realizzato, un immobile che, nel 2017, era stato abbattuto a seguito di corrispondente provvedimento dell’autorità amministrativa scaturito dalle denunce del proprietario di un lotto confinante.

All’esito del procedimento giudiziario originato dall’opposizione della ricorrente, il Tribunale amministrativo di Plovdiv aveva confermato l’ordinanza di demolizione, rilevando che l’immobile in questione, difformemente da quanto statuito nel  permesso di costruire, sorgeva quasi interamente sul terrendo adiacente, come in effetti sostenuto dal vicino.

Dopo aver inutilmente richiesto la riapertura del procedimento, la ricorrente si rivolgeva alla Corte di Strasburgo, lamentando di aver subito una violazione dell’art. 8 in quanto l’ordine di demolizione aveva interferito in modo sproporzionato con il suo diritto al rispetto della vita privata e familiare.

A suo avviso, nell’emettere e poi confermare il provvedimento in parola, le autorità amministrative e giurisdizionali non avevano adeguatamente considerato la sua condizione, né offerto a lei e ai figli minori un alloggio pubblico o comunque verificato la percorribilità di altre soluzioni alternative. Peraltro, la demolizione, inizialmente prevista durante l’estate, era stata eseguita nel tardo autunno, lasciando lei e i suoi figli senza riparo durante l’inverno.

In primo luogo, la Corte EDU rigetta l’eccezione governativa concernente l’inapplicabilità dell’art. 8 al caso di specie, sottolineando come, sia pure in assenza di informazioni certe circa la data dell’effettivo trasferimento della ricorrente e dei figli all’interno dell’immobile in questione, il periodo di quasi un anno trascorso tra la data a cui risalivano le prime prove dell’abitazione dell’edificio da parte della famiglia (marzo 2014) e l’emissione dell’ordine di demolizione  (marzo 2015) – senza contare il tempo ulteriormente trascorso prima della effettiva demolizione (avvenuta nel marzo 2017) – fosse stato sufficientemente lungo, sì da poter affermare che l’immobile fosse qualificabile come la sua “casa”.

La Corte, poi, rigetta altresì l’eccezione governativa relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne (§§35-37), sottolineando come la mancata opposizione della ricorrente al provvedimento di esecuzione dell’ordine di demolizione ai sensi dell’articolo 294 del codice di procedura amministrativa, che prevede un controllo giurisdizionale, non impugnabile, delle misure adottate per eseguire le decisioni amministrative, risultava giustificata da un duplice ordine di considerazioni. Difatti, il Tribunale di Plovdiv, che sarebbe stato investito dalla questione, aveva già in altra sede concluso che la demolizione non pregiudicava il diritto all’abitazione della ricorrente e, d’altronde, la medesima autorità giudiziaria aveva iniziato a valutare la proporzionalità di siffatte misure alla luce delle circostanze individuali delle persone interessate, nei procedimenti ex art. 294, soltanto a partire dal 2018: successivamente, quindi, alla demolizione dell’immobile in questione.

Nel merito, i giudici di Strasburgo sottolineano come la questione dirimente sia stabilire se la misura,  prevista dalla legge per uno scopo legittimo, sia anche «necessaria in una società democratica». A questo proposito, sono richiamati in sintesi i consolidati principi espressi nella pronuncia Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria, in base ai quali: (a) le persone che, come la ricorrente, rischiano di perdere la loro «unica abitazione» a causa di un procedimento teso alla demolizione dell’immobile devono, in tale contesto, poter richiedere e ottenere un esame adeguato della proporzionalità del provvedimento, alla luce delle circostanze del caso; per quanto (b) la sproporzione dell’ordine di demolizione possa essere riconosciuto solo in casi eccezionali.

In questa prospettiva, la Corte osserva come, nella vicenda de qua, né l’autorità amministrativa nel procedimento di adozione dell’ordine di demolizione, né quella giurisdizionale nell’esame del provvedimento opposto dalla ricorrente, abbiano valutato la sua specifica condizione familiare e abitativa. Invero, il Tribunale amministrativo di Plovdiv si è limitato a rilevare che i servizi sociali erano stati informati della situazione, senza, però, tenere in adeguata considerazione i fattori in grado di incidere sul giudizio di proporzionalità dell’ingerenza – quali quelli indicati, a titolo soltanto esemplificativo nella citata Ivanova e Cherkezov (spec.  § 53, es.: la natura dell’interesse che si intende tutelare con la demolizione ovvero la disponibilità di un’adeguata sistemazione alternativa per le persone colpite dalla demolizione) – né tentare di bilanciare l’interesse della ricorrente di continuare ad abitare l’immobile con i figli con le esigenze sottese all’abbattimento dello stesso. Invero, la Corte sottolinea come il Tribunale non abbia ricevuto né cercato di chiarire informazioni complete al riguardo.

Inoltre, secondo la Corte, l’assenza di un adeguato ed esauriente esame delle circostanze del caso da parte dell’autorità amministrativa, prima, e di quella giurisdizionale, poi, non sarebbe comunque stata compensata dalle modalità con cui l’autorità medesima aveva condotto l’esecuzione dell’ordine di demolizione. In disparte del fatto che i tentativi di trovare una soluzione al problema abitativo della ricorrente non avevano avuto luogo nell’ambito di una «procedura formale che comportasse un esame completo della proporzionalità dell’ingerenza alla luce delle sue circostanze individuali»; l’unica soluzione effettivamente proposta alla era stata quella – del tutto inappropriata – di collocare temporaneamente i figli della ricorrente in un alloggio gestito dai servizi sociali, separandoli dalla madre. Per di più, il ritardo nell’esecuzione del provvedimento, pur avendo offerto alla ricorrente una certa tregua, non aveva portato di per sé ad alcuna soluzione adeguata al problema che si trovava ad affrontare.

La Corte conclude, quindi, affermando che vi è stata una violazione dell’art. 8 Cedu.
(Da Questione Giustizia)

 

Cass. civ. Sez. II, Ord., ud. 13/10/2022 n. 36907

L’immobile destinato a edilizia popolare non può essere usucapito

Confermata la giurisprudenza della Corte relativamente ai beni del patrimonio indisponibile di un ente pubblico non territoriale, i quali possono essere sottratti alla pubblica destinazione soltanto nei modi stabiliti dalla legge, e dunque non per effetto di usucapione da parte di terzi, non essendo usucapibili diritti reali incompatibili con la destinazione del bene dell’ente al soddisfacimento del bisogno primario di una casa di abitazione per cittadini non abbienti.

 

Cass. Penale sez. II, sent. n. 46054, ud. 23/11/2021

Riconoscimento dello status di necessità come scriminante della condotta di occupazione abusiva conseguente al pericolo di danno grave alla persona.

La Suprema Corte di Cassazione, nella fattispecie relativa al mancato riconoscimento dello “stato di necessità”, rinvenibile nell’impellente bisogno dei ricorrenti di garantire l’abitazione ai propri figli minori dopo uno sfratto per morosità e l’impossibilità di attendere il compimento della procedura di assegnazione degli alloggi popolari, ha affermato che l’abusiva occupazione di bene immobile è scriminata (ex art. 53 c.p.) dallo status di necessità conseguente al pericolo di danno grave alla persona, che ben può consistere anche nella compressione del diritto di abitazione, ovvero di altri diritti fondamentali della persona riconosciuti e garantiti dall’art. 2 Cost., sempre che ricorrano, per tutto il tempo dell’illecita occupazione, gli altri elementi costitutivi della scriminante, quali l’assoluta necessità di condotta e l’inevitabilità del pericolo.

Dunque, ne consegue che la suddetta scriminante possa essere invocata solo in relazione ad un pericolo attuale e transitorio, e non invece per sopperire alla necessità di reperire un alloggio al fine di risolvere definitivamente la propria esigenza abitativa.

Cass. Penale sez. III, 04/06/2021, n. 34607

L’attuazione dell’ordine di demolizione di un’abitazione deve tenere conto del diritto all’abitazione considerando anche i tempi a disposizione per conseguire la sanatoria.

Il giudice, nel dare attuazione all’ordine di demolizione di un immobile abusivo adibito ad abituale abitazione di una persona, è tenuto a rispettare il principio di proporzionalità come elaborato dalla giurisprudenza della Corte EDU, considerando l’esigenza di garantire il rispetto della vita privata e familiare e del domicilio, di cui all’art. 8 CEDU, e valutando, nel contempo, la eventuale consapevolezza della violazione della legge da parte dell’interessato, per non incoraggiare azioni illegali in contrasto con la protezione dell’ambiente, nonché i tempi a disposizione del medesimo, dopo l’irrevocabilità della sentenza di condanna, per conseguire, se possibile, la sanatoria dell’immobile ovvero per risolvere le proprie esigenze abitative.

 

Corte cost., sent. 28 maggio 2021 n. 112

Incostituzionale il trattamento differenziato nell’accesso ai canoni di locazione più bassi sol perché il reddito posseduto deriva da lavoro autonomo anziché da pensione, lavoro dipendente o assimilato

Illegittimità costituzionale dell’art. 31, comma 3, ultimo capoverso, e comma 4, lett. a), della legge reg. Lombardia n. 27 del 2009, limitatamente alla parte della disposizione che non consente di inquadrare nell’area di protezione per la determinazione dei canoni di locazione “sopportabili” i nuclei familiari con redditi da lavoro autonomo con ISEE-ERP di valore corrispondente a tale area. Per la Corte, in mancanza di una ragionevole giustificazione, è discriminatorio estromettere i lavoratori autonomi dall’ambito di applicazione dei canoni di locazione più bassi riservati alle famiglie che versano in condizioni di notevole fragilità economica. L’accesso ai canoni di locazione “sopportabili” nell’edilizia residenziale pubblica non può essere riconosciuta ai nuclei familiari che dipendono da redditi da pensione, da lavoro dipendente o assimilato, e non a quelli sostenuti da redditi da lavoro autonomo.

 

Corte cost., sent. 29 gennaio 2021 n. 9

Incostituzionale la priorità data ai residenti in Abruzzo da più di 10 anni per l’assegnazione di alloggi ERP

È stato dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 4, comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 34 del 2019, il quale, in tema di graduatoria per l’assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, dava rilievo all’anzianità di residenza nei Comuni abruzzesi, prevedendo l’attribuzione di 1 punto «per ogni anno di residenza a partire dal decimo anno di residenza». Il peso esorbitante attribuito ad un “requisito aggiuntivo regionale” che incide sulla valutazione dei punteggi per l’assegnazione degli alloggi, è discriminatorio non soltanto nei confronti dei cittadini italiani che risiedono nella Regione Abruzzo da meno di dieci anni, ma anche dei cittadini degli altri Stati membri dell’U.E. e dei cittadini extracomunitari che versano nella medesima situazione, ai quali è attribuita la parità di trattamento.

 

Cass. penale sez. III, 14/12/2020, n. 423

Il giudice che attua l’ordine di demolizione di immobile abusivo adibito ad abituale abitazione deve rispettare il principio di proporzionalità.

In tema di reati edilizi, il giudice, nel dare attuazione all’ordine di demolizione di un immobile abusivo adibito ad abituale abitazione di una persona è tenuto a rispettare il principio di proporzionalità come elaborato dalla giurisprudenza convenzionale nelle sentenze Corte EDU, sez. V, 21 aprile 2016, n. 46577/15, e Corte EDU, sez. II, 4 agosto 2020, n. 44817/18, considerando l’esigenza di garantire il rispetto della vita privata e familiare e del domicilio, di cui all’art. 8 Cedu, e valutando, nel contempo, la eventuale consapevolezza della violazione della legge da parte dell’interessato, per non incoraggiare azioni illegali in contrasto con la protezione dell’ambiente, nonché i tempi a disposizione del medesimo, dopo l’irrevocabilità della sentenza di condanna, per conseguire, se possibile, la sanatoria dell’immobile ovvero per risolvere le proprie esigenze abitative.

In applicazione del principio la Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza di rigetto dell’istanza di revoca dell’ordine di demolizione, avendo il giudice omesso di valutare la documentazione prodotta in ordine alle condizioni socio-economiche e di salute del ricorrente.

 

Corte cost., sent. 9 marzo 2020 n. 44

Incostituzionale il requisito della residenza anagrafica o dello svolgimento di attività lavorativa in Regione Lombardia per almeno cinque anni nel periodo immediatamente precedente la data di presentazione della domanda

La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del requisito ultraquinquennale della residenza o dell’occupazione lavorativa in Regione Lombardia, antecedenti alla domanda di accesso al beneficio dell’alloggio residenziale pubblico, per come previsto all’art. 22 comma 1, lettera b) della Legge Regione Lombardia n. 16/2016. L’articolo in questione, inconciliabile con i principi costituzionali di eguaglianza e ragionevolezza, demoliva il valore sociale dell’edilizia residenziale pubblica e determinava un’ingiustificata diversità di trattamento per i cittadini o gli stranieri incapaci di soddisfare tale requisito.

 

Cass. penale sez. III, 11/09/2019, n. 48021

L’ordine di demolizione dell’immobile deve sempre rivelarsi proporzionato rispetto alla normativa edilizia che si intende perseguire.

Il diritto all’abitazione, riconducibile agli artt. 2 e 3 Cost. e all’art. 8 Cedu, non è tutelato in termini assoluti, ma è contemperato con altri valori di pari rango costituzionale, come l’ordinato sviluppo del territorio e la salvaguardia dell’ambiente, che giustificano, secondo i criteri della necessità, sufficienza e proporzionalità, l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo, sempre che tale provvedimento si riveli proporzionato rispetto allo scopo che la normativa edilizia intende perseguire, rappresentato dal ripristino dello status preesistente del territorio.

 

Corte cost., sent. 20 luglio 2018 n. 166

Incostituzionale il requisito, per i soli stranieri immigrati, del possesso del certificato storico di residenza da almeno dieci anni nel territorio nazionale ovvero da almeno cinque anni nella medesima Regione, per beneficiare dei contributi integrativi

Costituzionalmente illegittimo l’art. 11, comma 13, del d.l. n. 112 del 2008, conv., con modif., nella legge n. 133 del 2008. La norma, richiedendo per l’erogazione del contributo integrativo per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione, l’ulteriore requisito del possesso del certificato storico di residenza da almeno dieci anni nel territorio nazionale ovvero da almeno cinque anni nella medesima regione ai soli immigrati, introduce una irragionevole discriminazione tra stranieri immigrati e cittadini italiani e comunitari non conforme agli obblighi europei in materia e all’esigenze di parità di trattamento tra i cittadini italiani ed europei e i soggiornanti di lungo periodo.

 

Corte cost., sent. 25 maggio 2018, n. 107

Incostituzionale l’attribuzione di precedenza, per l’ammissione al servizio di asilo nido, ai figli di genitori residenti o lavoratori in Veneto da almeno 15 anni

Costituzionalmente illegittimo l’art. 1, comma 1, della legge della Regione Veneto n. 6 del 2017, il quale configura la residenza o la prestazione di attività lavorativa in Veneto protratta per quindici anni come titolo di precedenza per l’accesso agli asili nido, anche per le famiglie economicamente deboli. La disposizione adotta un criterio che contraddice lo scopo dei servizi sociali di garantire pari opportunità e di evitare discriminazioni; essa altresì, privilegiando chi è radicato in Veneto da lungo tempo, produce una compressione ingiustificata della libertà di circolazione e soggiorno dei cittadini UE e della libertà di circolazione tra le Regioni.

 

Corte cost., sent. 24 maggio 2018, n. 106

Incostituzionale il requisito, per cittadini di paesi extracomunitari, dei 10 anni di residenza per accedere agli alloggi ERP

È costituzionalmente illegittimo l’art. 4, comma 1, della legge reg. Liguria n. 13 del 2017, che, in contrasto con il requisito temporale di residenza di 5 anni previsto dalla legislazione nazionale e comunitaria, introduce il requisito della regolare residenza da almeno dieci anni consecutivi nel territorio nazionale per l’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica a cittadini di paesi extracomunitari.

 

Corte cost., sent. 16 dicembre 2016 n. 273

Incostituzionale la destinazione diversa dei proventi che derivano dalla vendita degli alloggi di ERP

Costituzionalmente illegittimi i commi 3 e 5 dell’art. 5, della legge reg. Abruzzo n. 10 del 2015. Il comma 3, riconosceva alle ATER abruzzesi (aziende territoriali per l’edilizia residenziale) la possibilità di rimediare al disavanzo finanziario impiegando il 20% dei ricavi delle vendite degli alloggi di edilizia residenziale pubblica; il comma 5 consentiva ai Comuni con meno di 30mila abitanti di servirsi del 20% dei proventi per la realizzazione di opere di urbanizzazione nei quartieri dove sono situati immobili di edilizia residenziale pubblica. La normativa contrastava con la legge n. 80 del 2014 la quale impone di destinare i proventi delle alienazioni immobiliari esclusivamente a un programma straordinario di realizzazione o acquisto di nuovi alloggi e di manutenzione straordinaria del patrimonio esistente. Tale vincolo di destinazione esprime una scelta di politica economica nazionale mira ad ottimizzare e riorganizzare il patrimonio di edilizia residenziale pubblica.

 

Cass. civile sez. III, 29/11/2016, n. 24177

Le assegnazioni di alloggi di edilizia residenziale pubblica sono volte a garantire il godimento del diritto fondamentale all’abitazione

In tema di edilizia residenziale pubblica, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 3 della l.r. della Liguria n. 10 del 2004, nella parte in cui prevede che, anche in caso di ampliamento stabile del nucleo familiare dell’assegnatario, alla morte di questi, acquisiscano il diritto al subentro I soli familiari conviventi al momento dell’assegnazione dell’alloggio – sia con riguardo agli artt. 3 e 29 Cost., attesa la diversità di situazione tra i familiari che hanno abitato nell’immobile sin dal momento dell’assegnazione e quelli che, residenti altrove, abbiano beneficiato dell’autorizzazione comunale all’ampliamento, sia rispetto agli artt. 2 e 47 Cost., in quanto le norme che disciplinano le assegnazioni di alloggi di edilizia residenziale pubblica sono volte a garantire il godimento del diritto fondamentale all’abitazione secondo criteri che graduano le esigenze dei vari soggetti tenendo conto dell’urgenza del bisogno abitativo degli stessi.

 

Corte cost., sent. 25 febbraio 2016 n. 38

Impossibilità, per gli enti gestori di edilizia residenziale che non versano in stato di dissesto finanziario, di destinare diversamente i proventi ricavati dall’alienazione degli immobili di ERP

La Corte ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 1, co. 1, lett. c) della L. Reg. Puglia n. 48/2014, che dava la possibilità agli enti gestori di edilizia residenziale (non in stato di dissesto finanziario) di impiegare una quota dei proventi delle vendite degli alloggi, al pagamento delle imposte sugli immobili. La Corte sottolinea il vincolo delle somme ricavate dalle alienazioni degli immobili al rilancio dell’offerta abitativa. L’illegittimità della norma regionale è stata ravvisata per il contrasto con l’art. 3, comma 1, lett. a), del d.l. n. 47 del 2014, e nello specifico con il principio fondamentale in materia di coordinamento della finanza pubblica, che impone la destinazione esclusiva dei proventi delle alienazioni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica a un programma straordinario di realizzazione o di acquisto di nuovi alloggi e di manutenzione straordinaria del patrimonio esistente.

 

Corte Cost., sent. 11 giugno 2014, n. 168

Incostituzionale il requisito della residenza nella Regione per almeno 8 anni per l’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica in Valle d’Aosta

La Corte dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, comma 1, lett. b), della legge della Regione autonoma Valle d’Aosta 13 febbraio 2013, n. 3, nella parte in cui include, nei presupposti necessari per accesso all’edilizia residenziale pubblica, quello della “residenza nella Regione da almeno otto anni, maturati anche non consecutivamente”. Arbitraria e irragionevole è la previsione di tale requisito che comporta una forte discriminazione sia nei confronti dei cittadini UE, ai quali deve essere assicurata la parità di trattamento rispetto ai cittadini degli Stati membri, sia nei confronti dei soggiornanti di lungo periodo appartenenti a Paesi terzi, i quali beneficiano dello stesso trattamento dei cittadini nazionali per l’accesso alla procedura di ottenimento di un alloggio.

 

Cass. Civile, sent. n. 10498 del 28/04/2017

La nullità per mancata registrazione del contratto di locazione immobiliare è sanabile con efficacia ex tunc.

In tema di locazione immobiliare (nella specie per uso non abitativo), la mancata registrazione del contratto determina, ai sensi dell’art. 1, comma 346, della l. n. 311 del 2004, una nullità per violazione di norme imperative ex art. 1418 c.c., la quale, in ragione della sua atipicità, desumibile dal complessivo impianto normativo in materia ed in particolare dalla espressa previsione di forme di sanatoria nella legislazione succedutasi nel tempo e dall’istituto del ravvedimento operoso, risulta sanata con effetti “ex tunc” dalla tardiva registrazione del contratto stesso, implicitamente ammessa dalla normativa tributaria, coerentemente con l’esigenza di contrastare l’evasione fiscale e, nel contempo, di mantenere stabili gli effetti negoziali voluti dalle parti, nonché con il superamento del tradizionale principio di non interferenza della normativa tributaria con gli effetti civilistici del contratto, progressivamente affermatosi a partire dal 1998.

 

Cass. Civile SS.UU., sent. n. 18214 del 2015

Il contratto di locazione ad uso abitativo stipulato senza la forma scritta richiesta dall’art. 1, comma 4, L. n. 431 del 1998 è affetto da nullità assoluta.

Il contratto di locazione ad uso abitativo stipulato senza la forma scritta richiesta dall’art. 1, comma 4, L. n. 431 del 1998 è affetto da nullità assoluta (quindi non sanabile), rilevabile da entrambe le parti, oltre che d’ufficio ex art. 1421 c.c., salvo l’ipotesi in cui la forma verbale sia stata imposta dal locatore, nel qual caso l’invalidità è una nullità di protezione del conduttore, solo da lui denunciabile.

L’assenza della forma scritta è sanabile nei modi, forme e termini riportati all’art. 13 legge n. 431/1998. In ragione di ciò, compito del giudice sarà quello di accertare l’assenza di forma scritta, accertare che tale mancanza sia riconducibile alla volontà esclusiva del locatore, determinare il canone dovuto e, ove occorra, condannare il locatore alla restituzione del canone eventualmente incamerato in eccedenza. Requisito necessario è l’accertamento della posizione predominante del locatore che deve consistere in una inaccettabile pressione finalizzata a costringere il conduttore ad un contratto in forma verbale. Invece, se l’assenza di forma è riconducibile a volontà esclusiva o concorrente del conduttore il locatore potrà agire per ottenere la restituzione dell’immobile occupato senza titolo.

 

Cass. Penale sez. II, sent. n. 19147 del 2013

L’illecita occupazione di immobile è scriminata dallo stato di necessità conseguente al danno grave alla persona.

L’illecita occupazione di un bene immobile è scriminata dallo stato di necessità conseguente al danno grave alla persona, che ben può consistere anche nella compromissione del diritto di abitazione, sempre che ricorrano, per tutto il tempo dell’illecita occupazione, gli altri elementi costitutivi della scriminante, quali l’assoluta necessità della condotta e l’inevitabilità del pericolo.

Nella specie, in cui gli imputati avevano stabilmente occupato un immobile trasformandolo nella propria residenza abituale, la Corte ha affermato che lo stato di necessità, nella specifica e limitata ipotesi dell’occupazione di beni altrui, può essere invocato solo per un pericolo attuale e transitorio e non per sopperire alla necessità di trovare un alloggio al fine di risolvere, in via definitiva, la propria esigenza abitativa.

 

Corte Cost., sent. n. 118 del 24/03/2006

Incostituzionalità dell’art. 1 l. n. 311/2004, nella parte in cui prevede la destinazione di fondi speciali allo scopo di sostegno finanziario all’acquisto di unità immobiliari da adibire ad abitazione principale in regime di edilizia convenzionata da cooperative edilizie, aziende territoriali di edilizia residenziale pubbliche ed imprese private.

E’ costituzionalmente illegittimo – con riferimento all’art. 5, numeri 6 e 18, dello statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia, agli articoli 117, quarto e sesto comma, 118 e 119 della Costituzione, in relazione all’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, nonché del principio di leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni – l’art. 1, comma 111, della legge n. 311 del 2004, il quale prevede che «allo scopo di favorire l’accesso delle giovani coppie alla prima casa di abitazione, è istituito, per l’anno 2005, presso il Ministero dell’economia e delle finanze, un fondo per il sostegno finanziario all’acquisto di unità immobiliari da adibire ad abitazione principale in regime di edilizia convenzionata da cooperative edilizie, aziende territoriali di edilizia residenziale pubbliche ed imprese private» (…) «con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze di concerto con i Ministri delle infrastrutture e dei trasporti e per le pari opportunità, sono fissati i criteri per l’accesso al fondo e i limiti di fruizione dei benefici di cui al presente comma». Orbene, nella specie, con la citata previsione vengono introdotte disposizioni che non trovano la loro fonte legittimatrice in alcuna delle materie di competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, della Costituzione. Consegue che la disposizione impugnata è lesiva dell’autonomia finanziaria e amministrativa delle Regioni, alle quali la quota parte del fondo così istituito, a ciascuna spettante, dovrà essere assegnata genericamente per finalità sociali senza il suindicato vincolo di destinazione specifica.

 

Corte Cost., sent. n. 404 del 07/04/1988

Incostituzionale l’art. 6, comma 1, l. 27 luglio 1978 n. 392, nella parte in cui non prevede, tra i successibili nella titolarità del contratto di locazione, in caso di morte del conduttore, il convivente “more uxorio”.

Nel contesto della legge n. 392 del 1978, l’art. 6 specifica un regime di successione nel contratto di locazione, che supera quello previgente, in quanto destinato a non privare dell’abitazione, immediatamente dopo la morte del conduttore, il più esteso numero di figure soggettive, anche al di fuori della cerchia della famiglia legittima, purché con quello abitualmente conviventi (e dunque, oltre al coniuge, gli eredi estranei, i parenti senza limiti di grado e finanche gli affini); in ciò esprimendosi il dovere di solidarietà sociale, che connota, da un canto, la forma costituzionale dello Stato sociale e, dall’altro, riconosce un diritto sociale all’abitazione collocabile fra i diritti inviolabili dell’uomo (art. 2 Cost., ma anche artt. 25 Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, 11 Patto internazionale dei diritti economici sociali e culturali). E’, di conseguenza, irragionevole e viziata da contraddittorietà logica la previsione di legge che, pur tutelando l’abituale convivenza, non include, tuttavia, tra i successibili nel contratto di locazione, chi era già legato ‘more uxorio’ al titolare originario del contratto; risultando, in pari tempo, leso il diritto fondamentale all’abitazione. Pertanto, per violazione degli artt. 2 e 3 Cost., e’ costituzionalmente illegittimo l’art. 6, primo comma, della Legge 27 luglio 1978, n. 392, nella parte in cui non prevede tra i successibili nella titolarità del contratto di locazione, in caso di morte del conduttore, il convivente “more uxorio”.

 

Corte Cost., sent. n. 217 del 25/02/1988

Infondata la q.l.c. della l. 891/1986 in riferimento agli art. 8 e 16 dello Statuto Trentino Alto Adige e le norme di attuazione, sollevata dalle Province autonome di Trento e Bolzano

Le Province ricorrenti prospettano il dubbio che la c.d. legge sulla prima casa (legge 18 dicembre 1986, n. 891, intitolata “Disposizioni per l’acquisto da parte dei lavoratori dipendenti della prima casa di abitazione nelle aree ad alta tensione abitativa”) lede le competenze provinciali in materia di “edilizia comunque sovvenzionata”.

La Corte afferma che nell’ambito dell’edilizia pubblica e, in particolare, nell’ambito della specifica competenza di cui godono le province ricorrenti deve considerarsi compresa anche la sub-materia relativa al reperimento (o al recupero) e all’assegnazione degli alloggi e che quest’ultima non può restare circoscritta alle abitazioni costruite con fondi pubblici o, comunque, con il concorso degli stessi, ma deve includere anche le abitazioni altrimenti costruite e tuttavia acquisibili da parte degli interessati con l’assistenza di mutui agevolati, il cui onere sia posto a carico, totale o parziale, delle finanze pubbliche.

La Corte sostiene si tratta di un interesse di primaria importanza per la realizzazione della forma di Stato su cui si regge il nostro sistema costituzionale, affermando che “il “diritto all’abitazione” rientra, infatti, fra i requisiti essenziali caratterizzanti la socialità cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione e vi rientra – quel che è più significativo – nella specifica forma garantita dalla legge oggetto del presente ricorso”. L’art. 47 co. II, Cost., nel disporre che la Repubblica “favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione”, individua nelle misure volte ad agevolare e, quindi, a render effettivo il diritto delle persone più bisognose ad avere un alloggio in proprietà una forma di garanzia privilegiata dell’interesse primario ad avere un’abitazione. E, inoltre, nell’addossare il compito di predisporre tale garanzia alla Repubblica, precisa che la soddisfazione di un interesse così imperativo come quello in questione non può adeguatamente realizzarsi senza un concorrente impegno del complesso dei poteri pubblici (Stato, regioni o province autonome, enti locali) facenti parte della Repubblica.

 

Corte Cost., sent. n. 49 del 17/02/1987

Giudizio su conflitto di attribuzione tra le Province autonome di Trento e di Bolzano in materia di edilizia sovvenzionata.

Le due Province di Treno e Bolzano sono insorte con quattro ricorsi per conflitto di attribuzioni avverso altrettanti provvedimenti governativi.

Gli atti normativi riguardavano la situazione in cui si erano venute a trovare in comuni ad alta tensione abitativa i locatari di immobili ad uso di abitazione, nei confronti dei quali era stato giudizialmente disposto il rilascio degli immobili stessi: di conseguenza prevedevano eccezionali misure di varia natura, tra cui finanziamenti straordinari, per il reperimento (costruzione, acquisto, ecc.) di abitazioni da assegnare ai conduttori suindicati, che non erano in condizioni economiche di provvedervi autonomamente, ma avevano bisogno di particolari agevolazioni.

La Corte sostiene che sia “indubbiamente doveroso da parte della collettività intera impedire che delle persone possano rimanere prive di abitazione. Da tale esigenza, che rifiuta qualsiasi frazionamento territoriale, discende la legittimità dell’intervento statale, chiaramente riconducibile all’esercizio della funzione di indirizzo e di coordinamento”. Questa però non è senza limiti, ma consente la sostituzione degli organi statali alle regioni (o province) solo nei limiti imposti dall’interesse nazionale.

Afferma inoltre che “è doveroso da parte della collettività intera impedire che delle persone possano rimanere prive di abitazione”. Tuttavia non avallò la scelta di ritenere il diritto all’abitazione presupposto dei diritti inviolabili in quanto estraneo all’ordinamento positivo affermando che “se, invero, i diritti inviolabili sono, per giurisprudenza costante, quei diritti che formano il patrimonio irretrattabile della personalità umana, non é logicamente possibile ammetterne altre figure.

Spetta dunque allo Stato, relativamente al territorio delle province autonome di Trento e Bolzano, di provvedere in ordine alla quota di finanziamento di cui alla l. 25 marzo 1982 n. 94, in materia di edilizia abitativa.

Corte Cost., sent. n. 252 del 28/07/1983

Infondata la q.l.c. relativa agli art. 657 ss. in tema di locazione di immobili ad uso abitativo

L’abitazione costituisce, un bene primario, tutelato dalla legge e la disciplina dell’equo canone era correlata, per il suo buon funzionamento, all’indispensabile sviluppo dell’edilizia pubblica e privata di cui al piano decennale per l’edilizia (L. 5 agosto 1978 n. 457), che, per varie ragioni, non ha avuto la necessaria attuazione. Tuttavia non si può considerare l’abitazione come l’indispensabile presupposto dei diritti inviolabili previsti dal cit. art. 2, prima parte, Cost., non essendo configurabile nel nostro ordinamento, l’esistenza di “presupposti” siffatti, forniti di una “maggiore”, quanto imprecisata tutela. Nè giova richiamare, a proposito del c.d. diritto all’abitazione, i doveri inderogabili di solidarietà sociale, di cui all’art. 2 Cost. la cui individuazione e la cui disciplina restano proprie della discrezionalità legislativa. Neppure è ravvisabile la violazione del principio di eguaglianza perché la normativa impugnata trascurerebbe la tutela del conduttore dell’immobile ad uso abitativo il quale fruirebbe di trattamento deteriore rispetto al conduttore di immobili ad uso diverso. Si muove al riguardo da una inesatta parificazione delle situazioni da raffrontare, estrapolando l’elemento durata dal complesso della disciplina e trascurando le circostanze della sottoposizione delle sole locazioni abitative all’equo canone, e dei forti investimenti richiesti per la utilizzazione dell’immobile a fini commerciali ed industriali. Non appare invocato a proposito l’art. 31 Cost. che riguarda soltanto le situazioni che si pongono in rapporto di stretta consequenzialità` con la formazione della famiglia; il che è da escludere rispetto alla materia delle locazioni. Nemmeno risulta pertinente il richiamo all’art. 41 Cost. rispetto al godimento di un bene non produttivo, quale la casa destinata all’abitazione. Secondo i giudici a quibus, dovendo adempiere il diritto di proprietà ad una funzione sociale, non sarebbe consentita la cessazione del rapporto di locazione per il mero spirare del termine, postulandosene il proseguimento a tempo indeterminato sino al sopraggiungere di una “giusta causa di risoluzione” donde la violazione dell’art. 42 Cost. interpretato diversamente da come lo intende la Corte costituzionale. La Costituzione non ha trasformato la proprietà privata in una funzione pubblica, ma la considera come un diritto soggettivo, limitato per assicurarne la funzione sociale, secondo l’indirizzo generale della futura legislazione. Del resto, attesa la coerenza sistematica e globale della legge dell’equo canone (sia sul piano giuridico, sia, e più, su quello economico), non è possibile incidere su una singola disposizione trascurando i riflessi, e le necessarie conseguenze sull’intera disciplina; non potendosi richiedere alla Corte la rielaborazione della materia (nè vale riferirsi a riguardo alle legislazioni della Francia o della Repubblica Federale Tedesca, in considerazione dell’ampio spazio ivi riservato alla discrezionalità del legislatore). Nè infine dall’art. 47 Cost. può dedursi la esistenza di un diritto alla abitazione garantito a tutti; comunque tale “diritto” dovrebbe essere disciplinato dal legislatore; quest’ultima norma costituzionale si riferisce infatti alla proprietà della casa di abitazione e non mira solo a rendere la proprietà accessibile a tutti (come già riconosciuto dall’art. 42, secondo comma, Cost.), ma specificamente intende accogliere e soddisfare l’aspirazione alla proprietà della casa di abitazione (quale condizione di tranquillità e di sicurezza). Secondo la ordinanza di rinvio la durata illimitata del rapporto locatizio ridurrebbe il numero delle persone che possono divenire proprietarie dell’immobile da adibire a loro abitazione. Vero è, invece, che la configurazione della locazione come contratto a tempo indeterminato, disincentivando dalla costruzione di immobili a destinazione abitativa ridurrebbe il numero delle persone che possono divenire proprietarie. (Non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, 3, 58 e 65 L. 27 luglio 1978 n. 392, nella parte in cui consentono al locatore di immobile adibito ad uso abitativo di far cessare la locazione alla scadenza contrattuale senza bisogno di alcun motivo di giustificazione, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 31, 41, 42 e 47 Cost.).

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    1. Esempi di edilizia residenziale pubblica e piani locali di sostegno

Nel nostro ordinamento, a causa della già ricordata competenza esclusiva regionale in materia, c’è una forte disomogeneità nell’attuazione in ciascuna regione. Con il DPCM 16 luglio 2009 è stato approvato un Piano Nazionale di Edilizia Abitativa, con un budget di circa 800 milioni di euro annui, proprio per cercare di ridurre il disagio abitativo, incrementando l’offerta, garantendo canoni stabili e puntando sulla sostenibilità ambientale ed energetica, il tutto attraverso la partecipazione attiva dei soggetti pubblici e privati coinvolti. Si cercava così di riprogrammare l’edilizia pubblica (anche attraverso l’intervento di nuovi finanziatori tra cui banche, fondazioni e privati) a livello centrale e locale, grazie al coordinamento tra Regioni, Enti locali e Ministero delle Infrastrutture. In questo modo, si sarebbero potuti individuare i programmi di intervento più specifici possibile e porre rimedio ai disagi abitativi.

Gli strumenti attuativi sono diversi e da scegliere in base alle singole esigenze: dall’affidamento ai fondi immobiliari alla concessione di costruzione e gestione. Per gli alloggi in affitto, si cerca di soddisfare in modo eguale tutte le richieste di differente natura meritevoli di priorità, come famiglie a basso reddito, giovani coppie a basso reddito, anziani in condizioni svantaggiate, studenti, sfrattati… La regola generale è che il contributo statale per l’acquisto o l’affitto va graduato in base alle condizioni di bisogno degli inquilini. Come è tristemente noto però, la scarsità di risorse rende sempre più difficoltoso per gli enti locali impegnare in modo proficuo i finanziamenti previsti, con la conseguente esclusione di un ingente numero di richieste pur meritevoli di sostegno.

Tra le prime e più rilevanti iniziative a livello regionale per agevolare l’edilizia pubblica e sostenere gli inquilini in difficoltà economiche ne ricordiamo due:

  1. La Regione Lazio (l.r. n. 55/1998) ha previsto un meccanismo per individuare gli immobili inutilizzati o in evidente stato di degrado di proprietà di enti pubblici o soggetti privati. Regione, province, comuni, istituti autonomi per le case popolari e delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza possono indicare gli immobili, dando priorità a quelli nei centri storici; questi vengono poi assegnati, tramite bando di concorso, a cooperative di autorecupero e/o autocostruzione che li ristrutturano per poterli poi usare per la residenzialità pubblica.
  2. La Regione Emilia Romagna ha siglato il 30.12.2012 un largo protocollo d’intesa, sottoscritto anche dalla prefettura di Bologna, la Provincia, Comuni bolognesi, l’Ordine degli Avvocati di Bologna, sindacati e associazioni a tutela di proprietari e inquilini, oltre ad istituti di credito e fondazioni bancarie. Per cercare di ridurre gli sfratti di morosità, si è creata una cassa con cui sostenere a fondo perduto gli inquilini in difficoltà nei pagamenti, provvedendo al saldo del canone di affitto arretrato al fine di evitare la convalida di sfratto o, in caso di convalida di sfratto non ancora eseguita, per il pagare i 2/3 della caparra di un nuovo alloggio.

Successivamente, a livello nazionale e proprio sulla scorta dell’intervento della Regione Lazio, si è stilato un Programma di recupero e razionalizzazione degli immobili e degli alloggi di edilizia residenziale pubblica di proprietà dei Comuni e degli Istituti autonomi per le case popolari e degli enti di edilizia residenziale pubblica aventi le stesse finalità degli Istituti (articolo 4 d.l. 47/2014, convertito con modifiche nella l. 80/14). La legge di stabilità 2017 (l. 232/2016, art. 1, comma 140) ha istituito un Fondo per il finanziamento di interventi tra cui l’edilizia pubblica; sono quindi state attribuite al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti nuove risorse da destinare alla prosecuzione del predetto Programma di recupero di alloggi di edilizia residenziale pubblica (d.p.c.m del 21 luglio 2017).

Le singole Regioni hanno quindi provveduto, una volta ricevuti i fondi dal ministero, a bandire delle procedure volte proprio al recupero e razionalizzazione degli immobili e degli alloggi di edilizia residenziale pubblica mediante interventi di ripristino di alloggi di risulta e di manutenzione straordinaria fino al 2029. Per avere maggiori informazioni, invitiamo a consultare le sezioni politiche per l’abitazione o similari di ciascun sito ufficiale delle Regioni.

    1. La pandemia Covid-19 e le locazioni: in Italia e nel mondo

Un breve cenno non può che essere fatto anche alla situazione straordinaria derivante dall’emergenza covid-19; in questo caso, il legislatore è intervenuto tramite una serie di decreti legge dettando norme anche per le locazioni. Considerato l’alto rischio di trovarsi in una situazione di estrema precarietà abitativa a seguito di uno sfratto e le rigide misure di contenimento della pandemia nel frattempo adottate (si pensi soltanto alle limitazioni di libertà di spostamento) è stato previsto un congelamento delle procedure di sfratto.

Nel marzo 2020 è stata prevista la sospensione processuale Covid-19 dal 9 marzo all’11 maggio 2020 (Art. 83 del d.l. 18/20, fino al 15 aprile, poi prorogato all’11 maggio 2020 con l’articolo 36 del d.l 23/2020): in questi 2 mesi circa sono stati sospesi tutte le attività processuali civili e penali, ivi incluse le procedure di sfratto, ad eccezione dei procedimenti indifferibili e urgenti (ad es. ex art. 700 c.p.c. o decisioni su provvisoria esecuzione dei decreti ingiuntivi).

Considerata però anche la necessità di contenere l’emergenza sanitaria da COVID-19 al tessuto economico-sociale, si è sospesa“l’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, fino al 30 giugno 2020” (art. 103, co 6, d.l. 18/20), il cosiddetto blocco degli sfratti.

Il decreto legge è poi stato convertito con modificazioni dalla legge n. 27/2020: visto che la situazione epidemiologica a suo tempo era pressoché immutata, permaneva la necessità di dare ancora una tutela rafforzata alle esigenze economiche e di salute dei cittadini. Si decise quindi una prima proroga del blocco, al 1° settembre 2020 e si aggiungeva al contempo , (art. 54-ter) la sospensione di “ogni procedura esecutiva per il pignoramento immobiliare” se in atto sulla “abitazione principale del debitore”, per 6 mesi dall’entrata in vigore e cioè sino al 30 ottobre 2020.

Non mutata sensibilmente la situazione nell’autunno 2020, la proroga è stata a sua volta prorogata al 31 dicembre 2020 (art. 17 bis d.l 34/20, convertito con legge 27/21) e nuovamente a fine 2020: l’ennesimo decreto legge questa volta è il n° 183/2020 (convertito senza modifiche con la legge 21/21) con cui il governo ha rinviato al 30 giugno 2021l’esecuzione dello sfratto per morosità” oltre a quelli per ritardato pagamento, le ingiunzioni al rilascio per gli immobili venduti a seguito di esecuzione immobiliare e tutte le esecuzioni sulla abitazione principale del debitore escusso (art. 13, paragrafo 13).

Il blocco generalizzato degli sfratti si è interrotto il 30 giugno 2021, non essendoci state ulteriori proroghe. Preso atto però che la situazione emergenziale non è del tutto rientrata, si è nuovamente intervenuti con decreto legge (n. 41/21, convertito con legge 69/21) in cui sono state inserite due proroghe parziali, in base al momento in cui è stato adottato il provvedimento di rilascio (art. 40 quater) ferenziandole in base alla data del provvedimento di rilascio: fino al 30 settembre 2021 per quelli dal 28 febbraio 2020 al 30 settembre 2020, mentre è fino al 31 dicembre 2021 per i rilasci adottati tra inizio ottobre 2020 e fine giugno 2021.

Tutti gli altri casi, come ad esempio lo sfratto per finita locazione, sloggio di immobili occupati, rilascio di quelli venduti a seguito di espropriazione immobiliare ante 28 febbraio 2020, hanno visto il blocco interrompersi a fine giugno 2021: dal 1 luglio 2021 sono riprese le esecuzioni e le procedure tramite gli ufficiali giudiziari.

Oltre a tutte queste norme, si è anche intervenuti dando una normativa di massima per gestire in generale i rapporti tra proprietari ed inquilini in aggiunta alle proroghe appena esaminate: si fa riferimento ad “un percorso regolato di condivisione dell’impatto economico derivante dall’emergenza epidemiologica da COVID-19“. Infatti, “locatario e locatore sono tenuti a collaborare tra di loro per rideterminare il canone di locazione” (l’art. 6 novies legge 69/21). La norma, insomma, obbliga le parti a cercare ulteriormente una soluzione alternativa allo scioglimento del contratto e la liberazione dell’immobile, sempre che le difficoltà economiche dipendano da ragioni esclusivamente legate all’impatto della crisi epidemiologica, che abbia comportato una rapida e sensibile perdita di capacità reddituale di chi deve pagare il canone di locazione ogni mese.

Questi interventi, seppur necessari e dettati dall’emergenza sanitaria in corso, hanno creato seri problemi al sistema delle leggi speciali sulle locazioni – che mirano a dare a tutti un alloggio in affitto a condizioni accettabili – e le classiche regole del mercato: la sospensione di tutti gli sgomberi e sfratti per circa un anno e mezzo ha di fatto squilibrato il già precario rapporto tra la domanda, aumentata dal fatto che inevitabilmente con l’allentamento delle misure di contenimento ci sono nuovi soggetti che cercano locazioni (e qui basti pensare a nuovi lavoratori che si trasferiscono da altre città) e l’offerta, che si trova invece ad essere stabile o ridotta dalla sostanziale stabilità degli immobili abitabili nei comuni ad alta densità abitativa in uno con le già ricordate procedure di sfratto sospese e rinviate, queste ultime tra l’altro fortemente incrementate dalla crisi economica scaturita da quella sanitaria.

L’emergenza abitativa non è solo italiana: a livello globale i problemi sono ancor più drastici e su larga scala, specie se si considera l’aumento costante della popolazione mondiale e la riduzione dello spazio edificabile (anche a causa dei cambiamenti climatici).

Recentemente, Leilani Farha, Relatrice delle Nazioni Unite per il diritto alla casa, ha affermato pubblicamente che la gravità della questione abitativa è globale e senza precedenti: quasi 2 miliardi di persone non hanno ad oggi alloggi adeguati. I privati però dettano le regole, e gli Stati fanno troppo poco. Sono state redatte sedici Linee guida per l’implementazione del diritto a un alloggio adeguato. Queste sono nate da una serie di conversazioni con i vari portatori d’interessi, Ong di tutto il mondo, le amministrazioni cittadine e i rappresentanti di governi nazionali. La prima bozza è stata condivisa con gli stakeholder, messa online e chiesto feedback da chiunque volesse rispondere: istituzioni nazionali di diritti umani, il sindacato internazionale degli inquilini, molti Stati e Ong ed è stata visionata anche all’interno del sistema dei diritti umani delle Nazioni Unite (Alto Commissariato dei diritti umani).

Il fenomeno dei Senza tetto è in aumento in tutta Europa (tranne che un Finlandia, dove da qualche anno sono in atto massicce politiche di diritto alla casa per tutti) e nei prossimi anni la situazione sarà sempre più grave: il tentativo ONU è quello di responsabilizzare gli Stati e far capire che vendere o dare in affitto una casa non è solo una questione di profitto ma anche di interessi pubblici.

    1. Una possibile soluzione: l’edilizia sociale

Quali soluzioni possono essere quindi immaginate? Che si può fare per dare nel più breve tempo possibile alloggi per tutti e a prezzi ragionevoli? Negli ultimi anni qualcosa si sta muovendo.

Accanto al modello di edilizia residenziale pubblica (cd. public housing), se ne è affiancato un altro, detto Social Housing cioè Edilizia Sociale. In concreto, l’obiettivo è dare la possibilità a tutti di accedere ad alloggi vivibili e a canone calmierato, che incida al massimo su un terzo dello stipendio di chi ci vive. Rientrando spesso in progetti di riqualificazione e progettazione urbanistica più ampia, questi alloggi sono pensati anche per aumentare il senso di comunità e favorire l’integrazione tra i suoi abitanti: si risponde così all’emergenza abitativa con alloggi che siano sostenibili a livello ambientale e che favoriscano una socialità consapevole, che permetta le interazioni e l’arricchimento interpersonale all’interno del quartiere.

Come si fa? Essendo a metà tra l’edilizia pubblica e una locazione a canone concordato, occorre da una parte l’intervento pubblico tramite sovvenzioni, dall’altro requisiti reddituali (che variano da regione a regione, in genere sui 15.000€ di ISEE fino ad un massimo di 30.000€). Si ci rivolge soprattutto a persone che percepiscono un reddito ma non possono affrontare tutte le spese ai prezzi del mercato, come nuclei familiari a basso reddito, anziani con pensioni basse, giovani coppie o studenti e studenti lavoratori fuori sede.

Oltre all’edilizia da zero è possibile anche acquistare da privati immobili per destinarli all’edilizia sociale: si farà un normale atto di acquisto notarile in cui si indichino i vincoli imposti per l’uso della casa e gli enti locali che regolano l’attività di Social Housing.

In Italia di Social Housing si è cominciato a parlare solo ultimamente, nonostante un terzo degli inquilini che hanno affitti a prezzi di mercato sono sovraccaricati dai costi delle abitazioni rispetto al loro stipendio, e il tasso di grave deprivazione abitativa supera ampiamente il 10% (l’11,1%, il doppio della media UE del 5,6%). Ci sarebbero poi 1,7 milioni di famiglie che vivono quotidianamente in una situazione di disagio economico per non riuscire a sostenere tutti i costi legati alla casa (dati Nomisma). Il Report 2019 de the State of Housing ha affermato che solo il 4% della popolazione italiana ha un alloggio con un affitto agevolato, ma fortunatamente il fenomeno è in espansione. L’EIRE (Expo Italia Real Estate) ha individuato ben 157 progetti di social housing sul suolo italiano, localizzati in Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Liguria, Marche, Molise, Campania, Piemonte, Toscana, Trentino Alto Adige, Abruzzo e Veneto. Quasi un terzo di tutti i progetti è in Lombardia, seguita dall’Umbria (17,7%) e Piemonte (11,4%). Il modello vincente di social housing al momento è Milano (le altre grandi metropoli non reggono il confronto). Il costo medio di costruzione di una social housing ammonta intorno ai 600 euro a mq. Nel caso in cui ci siano dettagli particolari nelle abitazioni (finezze estetiche quali ampi balconi, servizi) il costo sale ai 1000 euro circa per mq.

Gli esempi più virtuosi e meglio riusciti sono nel milanese: qui è nato il primo fondo immobiliare etico e nel 2004 è nata la Fondazione Housing Sociale, oltre a collaborare con l’edilizia residenziale pubblica classica, nell’ottica di riqualificare alloggi abbandonati o sfitti con un occhio alla sostenibilità e alla socialità; recentemente è stato anche lanciato un programma per fornire alloggi a costo zero ai residenti anziani con più di 70 anni in difficoltà economiche.

A Bologna il Comune ha investito oltre 60 milioni di euro per fornire mille unità abitative nel 2019-2020 in collaborazione con ACER; ci sono progetti anche ad Udine, a livello regionale in Calabria e nel fiorentino a Scandicci in via di realizzazione, spesso partendo dall’acquisizione e riqualificazione di alloggi sfitti, malridotti o gestiti dalla malavita: l’obiettivo in questi casi è farli diventare nuovamente luoghi di vita, in cui si formino delle community che possano portare avanti progetti ed attività e rivitalizzare intere porzioni di città.

  • Mi è arrivata una citazione in tribunale per uno sfratto. Cosa devo fare?

Per prima cosa: leggere bene e cercare di capire il contenuto dell’atto. In ogni caso, vedere quali mensilità o spese di quali mesi il proprietario dice che non sono state pagate e se è vero. Alla fine della lettera arrivata c’è anche il giorno e l’ora (in genere dalle 9) in cui si è chiamati in tribunale.

Ricorda che puoi andare in udienza anche di persona: in quel caso il giudice ti aiuterà a capire la situazione e cercherà di spiegarti il più semplicemente le tue possibilità. Conviene sempre andare a spiegare le proprie ragioni, anche se fossero soltanto “non ho abbastanza soldi per pagare”. Può succedere a tutti e non c’è nulla di cui vergognarsi.

Puoi quindi presentarti in udienza e chiedere al proprietario di rifare i conti: non si è accorto che certi mesi li avevi pagati, certe spese non erano dovute perché degli anni precedenti… insomma, cose evidenti su cui anche il proprietario di casa (ed il suo avvocato) possono convenire e modificare la cifra richiesta. A questo punto però devi pagare la somma (ridotta) che ne è venuta fuori.

Ancora, nel caso in cui il proprietario abbia ragione puoi:

  • Non opporti alla convalida: sei d’accordo ad andartene via a breve e chiedi solo poco tempo per lasciare la casa (un paio di mesi). Dovrai così pagare solo gli arretrati, quanto tempo resti e le spese del procedimento (che variano in base al debito, e attento che possono arrivare anche a un migliaio di euro).

  • Chiedere il termine di grazia. Se sei convinto che la tua situazione sia temporanea e che a breve troverai i soldi necessari, puoi chiedere al giudice ulteriori fino a 90 giorni per saldare il debito (mensilità, interessi, spese procedimento e avvocato del proprietario), oltre ai tre mesi che verranno a scadere nel mentre. Dopo i 90 giorni si fissa una nuova udienza per vedere se si è pagato tutto, altrimenti viene convalidato lo sfratto (e il giudice ti darà altri 15 giorni circa prima che venga l’ufficiale giudiziario per lo sloggio).

  • Opporti. Se non hai pagato perché la casa aveva grossi problemi che la rendevano invivibile, o se avevi degli accordi verbali con il proprietario di pagare una somma ridotta per via dei difetti della casa, puoi proporre opposizione. A questo punto il giudice potrà mutare il rito e passare a un normale processo civile, sul modello del processo del lavoro, in cui non puoi più difenderti di persona ma serve per forza un avvocato. Valuta attentamente questa possibilità perché, anche se ti potrebbe permettere di rimanere nell’alloggio più tempo, alla fine in caso di soccombenza farebbe lievitare tanto le spese da pagare.

Se hai qualche possibilità economica di cominciare a dare qualcosa, o fare una proposta potresti metterti in contatto con l’avvocato del proprietario e cominciare una trattativa stragiudiziale (cioè prima o fuori dalle aule dei tribunali) in cui, a fronte di un impegno serio a pagare una buona parte del dovuto, potresti ottenere qualche riduzione e/o rateazione. Ricorda però che qui l’ultima parola la ha il proprietario di casa e non il giudice, e un ruolo fondamentale riveste la fiducia che ha lui nei tuoi confronti come “buon pagatore”.

Se non ti presenti all’udienza, il giudice deve solo verificare che ci sia un contratto di locazione firmato e registrato e che l’avvocato abbia correttamente inviato la notifica a casa tua. Se è tutto corretto, in assenza di qualcuno che dica altro il giudice non può far altro che convalidare lo sfratti e dare 30 giorni prima che l’ufficiale giudiziario possa cominciare con gli accessi. Se il proprietario lo chiede può anche ottenere una tua condanna al pagamento delle somme che gli spettano, tramite decreto ingiuntivo, oltre ai costi delle procedure e dell’avvocato. Ancora una volta, andare a spiegare le proprie difficoltà evita dei costi inutili.

  • Il mio proprietario mi ha proposto un contratto a canone concordato ma vuole farlo durare un periodo diverso rispetto a quello che c’è scritto. Cosa posso fare?

In questo caso c’è la nullità automatica con conversione alla durata legale del modello di contratto che hai firmato (sia 4+4, 3+2, transitorio di alcuni mesi…). Di solito la durata corretta si scrive sul contratto, quella diversa te la dice a voce il proprietario. In questi casi, carta canta: se non ti sta bene, puoi restare per tutto il periodo del contratto ed al massimo il proprietario può mandarti una disdetta motivata alla fine per non rinnovarlo.

Se stai avendo dei problemi, puoi fare causa (con avvocato) per far riconoscere la vera durata oppure comportarti come se la durata fosse quella prevista dalla legge: semplicemente, in questo secondo caso il proprietario può solo farti causa, ma sa benissimo anche lui che non ha possibilità di avere ragione.

  • Il mio contratto dice che pago una somma di affitto mensile, ma il mio proprietario di casa vuole che gli paghi una cifra maggiore e non mi sta bene. Posso riavere i soldi indietro?

Sì, ma con delle attenzioni. La Cassazione ha affermato che è nullo il patto con cui si vuole pattuire un canone superiore a quello contrattuale da pagare in nero. Il problema è che devi dimostrarlo. Hai tempo 6 mesi da quando “riconsegni” la casa al proprietario (te ne vai definitivamente, gli dai le chiavi…), in genere quando finisce il contratto.

Sarà molto facile se hai delle prove chiarissime della cosa, come ad esempio delle ricevute che ti ha dato il proprietario quando lo hai pagato, ho ancora se l’hai sempre pagato con bonifico e nella descrizione è scritto puntualmente che cosa stavi pagando. Altrimenti sarà la sua parola contro quello del proprietario, dovete ricorrere a testimonianze (magari vicini ed altre persone che abbiano visto il momento del pagamento o sappiano della cosa) e la questione diventa molto più complicata, per cui intentare una causa civile potrebbe essere un inutile spreco di tempo e di denaro.

  • Sono improvvisamente in difficoltà economica e non riesco a pagare l’affitto della casa in cui vivo. Come faccio a non trovarmi per strada?

Va sempre ricordato che il proprietario non può cacciarti di casa se non paghi qualche mese d’affitto di sua sponte, ma deve sempre passare attraverso un giudice.

In ogni caso, è sempre meglio informare il proprietario: dopotutto anche lui è un essere umano e capisce le difficoltà che possono capitare a tutti nella vita. Sparire e non dire nulla potrebbe invece dargli l’impressione che non vogliate pagare per dispetto o per capriccio, e rischia di rendere i rapporti tesi. Quindi, può sempre essere utile un primo contatto per ottenere qualche mese di dilazione/rateazione temporanea o riduzione del canone (meglio sempre metterla per iscritto).

Se da quel punto di vista non riuscite ad ottenere particolari aiuti, se non vi bastano o se la situazione dura più tempo del previsto, è opportuno fare un tentativo con i servizi comunali (di solito ufficio per le politiche abitative); in genere serve anche una intimazione di sfratto già ricevuta, oltre che a requisiti di reddito abbastanza basso e aver una situazione di difficoltà comprovata (licenziamento, cassa integrazione, malattia grave…): se avete perso oltre 30% del vostro reddito per il Covid-19 tra marzo e maggio 2020, non serve che ci sia già la procedura di sfratto in corso ma basta una autocertificazione della cosa.

  • Non ho più una casa da un po’ di tempo e guadagno molto poco o non ho nessuna entrata. Come faccio ad averne una che posso permettermi?

Se le soluzioni di affitto (locazione) condivisa non pensi che facciano al caso tuo, ci sono due alternative: gli alloggi popolari e gli alloggi sociali (edilizia residenziale pubblica e edilizia sociale). Dato che come ricordato le cose variano da regione a regione, è utile informarsi sui rispettivi siti dei progetti e bandi in atto, o chiedere agli sportelli informazioni dei comuni. Se hai un basso reddito potresti provare con l’edilizia sociale, altrimenti con le case popolari. I bandi non hanno cadenze precise, ma vengono fatti in base ai progetti e programmi che cambiano di comune in comune e di regione in regione; in ogni caso, sono in genere a cadenza annuale e hanno dei periodi particolari (detti in gergo ‘finestre’) in cui si può presentare domanda. Lo sportello informazioni sul diritto alla casa del tuo Comune potrà sicuramente informarti sulle procedure in corso lì.

 

Pagina in continuo aggiornamento a cura di 

Dott. Luca Sassi - sede di Padova

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Eleonora Dell'Orto -  sede di Milano

Eleonora Dell'Orto - sede di Milano