Particolare tenuità del fatto
Con il decreto legislativo n. 28 del 2015 è stato introdotto l’art. 131-bis c.p., rubricato “Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto”, mediante il quale è stata prevista una nuova causa di non punibilità per i casi in cui il reato commesso presenti profili di particolare tenuità. Si tratta di una causa di esclusione della punibilità di un reato che è perfetto nei suoi elementi, ivi compresa la offensività
Tale istituto è già noto al nostro sistema penale, trovando applicazione – secondo specifiche disposizioni – sia nel processo minorile (art. 27, D.P.R. 22 settembre 1988 n. 274), che nel processo penale di competenza del giudice di pace (art. 34, D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274).
La ratio dell’istituto presenta una duplice anima, poiché da un lato è espressione del principio di proporzionalità e meritevolezza della sanzione penale, da un lato presenta una finalità deflazionistica, volta ad evitare l’uso inutile e dispendioso del processo penale (cfr. Cass. Pen., SSUU, 6 aprile 2016 n. 13681). La definizione anticipata del procedimento per irrilevanza del fatto, infatti, oltre a soddisfare le esigenze di deflazione processuale, risulta essere in linea con il principio di proporzionalità del diritto penale, risultando altrimenti il dispendio di energie processuali sproporzionato sia per l’ordinamento che per l’autore, il quale si vedrebbe costretto a sopportare il peso anche psicologico di un processo a suo carico.
Secondo la dottrina prevalente, l’istituto ha natura sostanziale e presuppone un accertamento pieno di responsabilità, essendo la decisione equiparata a quella di condanna, quanto alle conseguenze diverse dall’applicazione della pena. Il pieno accertamento di responsabilità è previsto testualmente dall’art. 651-bis c.p.p., introdotto con la medesima novella legislativa, che riconosce l’efficacia di giudicato alla sentenza nell’ambito del successivo giudizio civile per il risarcimento del danno.
In particolare, l’art. 131-bis c.p. stabilisce che:
Co. 1. Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.
Co. 2. L’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona.
Co. 3. Il comportamento è abituale nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.
Co. 4. Ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest’ultimo caso ai fini dell’applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all’articolo 69.
Co. 5. La disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante
Come si evince dalla lettura del testo della norma, il legislatore si è preoccupato di selezionare i presupposti di operatività della particolare tenuità del fatto, individuando la cornice edittale di riferimento e fornendo precisazioni sul concetto di esiguità dell’offesa, nonché specificando il concetto di abitualità. Malgrado ci si trovi di fronte ad un reato perfetto in ogni suo aspetto – ossia sussistente nei suoi profili oggettivi e soggettivi – in applicazione di questo nuovo istituto il fatto risulta non punibile.
Quanto al profilo oggettivo, il primo comma dell’art. 131-bis c.p. dispone che la declaratoria di non punibilità può essere pronunciata quando per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133, comma 1, c.p. l’offesa è di particolare tenuità. In particolare, il comma in esame si riferisce all’offesa al bene giuridico protetto, e non al danno dall’oggetto materiale del reato. La norma, inoltre, ha tipizzato al secondo comma – a fini esemplificativi – alcune ipotesi in cui l’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, individuando dei criteri presuntivi che, per come formulati, non sono da ritenersi tassativi.
Le Sezioni Unite (cfr. Cass. Pen., SSUU, 6 aprile 2016 n. 13681) hanno inoltre chiarito che la particolare tenuità è applicabile a qualsiasi tipo di reato che rientri nell’ambito definito testualmente dalla disposizione, poiché per qualsiasi reato è possibile graduare la modalità di condotta.
Quanto al profilo soggettivo, il primo comma dell’art. 131-bis c.p. dispone che la declaratoria di non punibilità può essere pronunciata in caso di abitualità del comportamento dell’imputato. Più precisamente, la disposizione in esame tipizza le condizioni di delinquente abituale, professionale o per tendenza e la commissione di più reati della stessa indole. Lo scopo della norma, quindi, è quello di escludere le condotte illecite caratterizzate da serialità sotto il profilo sostanziale, senza che sia necessario l’accertamento definitivo delle precedenti condotte, escludendo, pertanto, l’applicazione formale dell’istituto della recidiva (cfr. Cass. Pen., SSUU, 6 aprile 2016 n. 13681).
Quanto agli aspetti procedurali, va rilevato che alla declaratoria di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, infatti, può procedersi sia nel corso delle indagini preliminari, sia dopo l’esercizio dell’azione penale.
La particolare tenuità del fatto, infatti, è idonea a giustificare una pluralità di provvedimenti, tra cui il provvedimento di archiviazione ex art. 411 c.p.p., la sentenza di non luogo a procedere ex art. 420 c.p.p., il proscioglimento predibattimentale ex art. 469 c.p.p., nonché la sentenza di assoluzione ex art. 530 c.p.p.
Laddove si versi ancora in fase di indagini preliminari, il giudice per le indagini preliminari (c.d. GIP) provvede con ordinanza o decreto di archiviazione su richiesta del pubblico ministero ai sensi dell’art. 411, commi 1 e 1-bis, c.p.p.
Laddove, invece, l’azione penale sia già stata esercitata, la declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del verrà dichiarata dal giudice con sentenza. In tale ultimo caso, infatti, il giudice avrà una duplice possibilità: da un lato, il giudice potrà emettere sentenza prima del dibattimento qualora ricorrano i presupposti di cui all’art. 469 c.p.p., dall’altro lato, il giudice potrà dichiarare la non punibilità all’esito dell’istruttoria dibattimentale, ai sensi dell’art. 651-bis c.p.p., secondo il quale, seppur l’imputato non meriti una sanzione in sede penale per l’irrisorietà del danno arrecato, rimane comunque dimostrata la fondatezza delle pretese della persona offesa, sicché le acquisizioni probatorie potranno essere utilizzate nei procedimenti per ottenere la riparazione ed il risarcimento del danno.
Differenza tra irrilevanza del fatto ex art. 131-bis c.p. e inoffensività del fatto ex art. 49 c.p.
La novella legislativa (D. Lgs. n. 28/2015) muove dal presupposto che la «irrilevanza del fatto» sia istituto diverso dalla c.d. «inoffensività del fatto».
L’inoffensività del fatto, infatti, come da lungo tempo recepito dalla giurisprudenza costituzionale e normativamente ricondotta all’art. 49, co. 2, c.p., attiene alla totale mancanza di offensività del fatto, che risulta pertanto privo di un suo elemento costitutivo e in definitiva atipico e insussistente come reato.
Diversamente, l’istituto in questione della irrilevanza per particolare tenuità del fatto presuppone un fatto tipico e pertanto costitutivo di reato, ma da ritenere non punibile in ragione dei principi generalissimi di proporzione e di economia processuale.
In giurisprudenza si è affermato, in proposito che l’art. 131-bis c.p. e il principio di offensività in concreto operano su due piani distinti, presupponendo il primo un reato perfezionato in tutti i suoi elementi, compresa l’offensività, benché di consistenza talmente minima da ritenersi “irrilevante” ai fini della punibilità, ed attenendo il secondo al caso in cui l’offesa manchi del tutto, escludendo la tipicità normativa e la stessa sussistenza del reato (Cass. Pen., sez. VI, 9 febbraio 2016 n. 5254).
– Cass., Sez. VI, 13 luglio 2016, n. 29618
– Cass., Sez. III, 5 maggio 2016, n. 18680
– Cass., Sez. II, 15 marzo 2016, n. 12305
– Cass., Sezioni Unite, 25 febbraio 2016, n. 13682
– Cass., Sez. IV, 17 dicembre 2015, n. 49825
– Cass., Sez. III, 30 novembre 2015, n. 47256
– Cass., Sez. III, 8 ottobre 2015, n. 47039
– Cass., Sez. II, 30 settembre 2015, n. 41742
– Cass., Sez. II, 2 settembre 2015, n. 35901
– Cass., Sez. III, 8 aprile 2015, n. 15449
- Falcone, La non punibilità per particolare tenuità del fatto, La Tribuna, Piacenza, 2018
- Marandola, La particolare tenuità del fatto, 2. Ed., Pacini Giuridica, Pisa, 2021
- Carcano, Depenalizzazione e particolare tenuità del fatto. I reati abrogati, i nuovi illeciti amministrativi e i primi orientamenti della giurisprudenza, Milano, Giuffrè, 2017
- Schettino, I procedimenti speciali dopo la riforma Orlando (L. 103/2017), in Officina del Diritto, Milano, Giuffrè, 2017
- Carrillo, I nuovi epiloghi del procedimento penale per particolare tenuità del fatto, Torino, Giappichelli, 2015
- Gabrielli, L’archiviazione per particolare tenuità del fatto: analisi, rilievi critici e prospettive, Torino, Giappichelli, 2020
- Bove, Particolare tenuità del fatto, Milano, Giuffrè, 2019
- Sylos Labini, Nuove prospettive nelle alternative al processo penale: la messa alla prova e la particolare tenuità del fatto, Canterano, Aracne, 2017
- Trinci, Particolare tenuità del fatto: l’art. 131-bis c.p. nelle varie fasi del procedimento, nelle impugnazioni, in fase esecutiva e davanti al giudice di pace; la casistica della giurisprudenza; i rapporti con il giudizio civile e amministrativo; l’applicabilità ai reati tributari, societari, fallimentari, edilizi, in materia di lavoro, ambiente, circolazione stradale, armi e stupefacenti; i rapporti con i reati abituali, permanenti, di pericolo, plurioffensivi, con il reato continuato e con il concorso di reati, Milano, Giuffrè, 2017
- Piras, Il proscioglimento dell’imputato per particolare tenuità del fatto: art. 131 bis c.p., Vicalci, Edizioni Key, 2016
- Santoriello, La clausola di particolare tenuità del fatto: dimensione sostanziale e prospettive processuali, Roma, Dike Giuridica, 2015
- Amarelli, Le Sezioni Unite estendono l’ambito di operatività dell’art. 131 bis c.p. ai reati con soglie di punibilità, Nota a Cass. Pen., sez. un., 26/02/2016 n. 13681, in Diritto penale e processuale, 2016 n. 787
Approfondimento 1
Cornice edittale di applicazione dell’art. 131-bis c.p. Questioni di legittimità costituzionale.
Il limite generale di pena per l’applicazione dell’istituto è fissato, quanto alla sola pena detentiva, nella misura “non superiore nel massimo a cinque anni”, non essendovi invece limite per la pena pecuniaria. La disposizione dell’art. 131-bis c.p., infatti, utilizza comuni criteri di computo della pena, in quanto tiene conto della sanzione del reato base e delle sole circostanze che fissano una pena diversa o ad effetto speciale; quanto a queste ultime, esclude che si possa tenere conto del bilanciamento con le attenuanti.
Con sentenza n. 156 del 21 luglio 2020, la Corte Costituzionale ha ampliato l’ambito di applicabilità della disposizione ai reati per cui non sia previsto un limite edittale di pena detentiva.
Chiamata, infatti, a pronunciarsi nuovamente sulla legittimità costituzionale dei limiti edittali dell’art. 131-bis c.p., la Corte ha concretizzato le perplessità già manifestate nel recente passato quando, con un più tradizionale atteggiamento conservativo, aveva rigettato – con sentenza n. 207/2017 – analoga questione, sia pure declinata in maniera parzialmente diversa, per non invadere gli spazi di discrezionalità del Parlamento. Se, in quella occasione, aveva rivolto un monito al legislatore affinché sanasse il vulnus costituzionale intervenendo, nell’esercizio delle sue prerogative, a prevedere un minimo edittale in presenza del quale garantire in ogni caso l’applicabilità dell’art. 131-bis c.p., nella sentenza in epigrafe la Corte costituzionale ha adottato una linea maggiormente interventista ritenendo di non poter attendere oltre, alla luce dell’inerzia del legislatore. Nell’ambito di tale atteggiamento interventistico, pertanto, la Corte costituzionale si è premurata di evidenziare le ragioni che hanno giustificato, a legislazione invariata e ad appena tre anni di distanza dalla decisione n. 207, l’approdo ad una soluzione opposta della questione di legittimità sottopostale.
In primis, la Corte ha riconosciuto efficacia dirimente proprio alla staticità del dato normativo e, conseguentemente, al mancato intervento del Parlamento, La stessa Consulta, infatti, non ha mancato di rimarcare la peculiare inerzia selettiva di cui sembra aver sofferto il legislatore, che è intervenuto sull’art. 131-bis c.p. con il d.l. 14 giugno 2019, n. 53, cd. decreto sicurezza-bis, ma ha dimenticato, in quella occasione, di dare seguito al monito formulato dalla Corte, limitandosi ad aggiungere – al capoverso dell’art. 131-bis c.p. – una preclusione applicativa ove si proceda per delitti puniti con una pena superiore nel massimo a due anni e sei mesi di reclusione, commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive, ovvero nei casi di cui agli artt. 336, 337 e 341-bis c.p., quando il reato è commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni.
La decisione ha valorizzato, poi, la differente impostazione offerta dal giudice rimettente del 2019, il quale ha imperniato l’ordinanza di rimessione non tanto sul massimo edittale comminato per il reato di ricettazione, bensì sul minimo edittale ex art. 648 c.p., consentendo alla Corte di indirizzarsi verso una diversa soluzione della questione di legittimità costituzionale.
La mancata comminazione di uno degli estremi del compasso sanzionatorio, ha affermato infatti la Consulta, «richiama per necessità logica l’eventualità applicativa dell’esimente di particolare tenuità del fatto» e ha già rappresentato «il punto di caduta di fattispecie delittuose talora espressive di una modesta offensività».
Il ruolo di supplenza affidato alla regola generale stabilita dall’art. 23 c.p., che fissa il minimo assoluto di pena detentiva in 15 giorni di reclusione, testimonia che il legislatore ha considerato certamente sussumibili nella fattispecie tipizzata al capoverso dell’art. 648 c.p. fatti scarsamente offensivi, di talché ne risulta manifestamente irragionevole l’aprioristica esclusione dall’ambito operativo della causa di non punibilità per speciale tenuità del fatto a causa del requisito applicativo di carattere oggettivo del massimo edittale superiore ai cinque anni di reclusione.
Addivenuta alla conclusione di non poter consentire oltre la permanenza nell’ordinamento di una norma manifestamente irragionevole, la Corte si trova di fronte all’ostacolo già affrontato nella pronuncia del 2017, ovvero. l’impossibilità di rinvenire una soluzione costituzionalmente obbligata, «un ordine di grandezza che possa essere assunto a minimo edittale di pena detentiva sotto il quale l’esimente stessa potrebbe applicarsi comunque, a prescindere cioè dal massimo edittale».
Ecco, allora, che la Consulta, contemperando le esigenze in gioco – espungere una previsione lesiva dell’art. 3 Cost., nonostante l’inerzia del legislatore, e preservare gli spazi di discrezionalità di esclusiva pertinenza di quest’ultimo –, ha optato per l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale fornendo al contempo alcune equilibrate rassicurazioni. In primis, ribadisce che il Parlamento può, nell’esercizio delle sue prerogative costituzionali, stabilire un diverso limite edittale al di sotto del quale l’operatività della speciale tenuità del fatto non possa comunque essere impedita dalla pena massima prevista. Resta salva, poi, la possibilità di attivare in concreto il rimedio ex art. 131-bis c.p., anche per i fatti da ultimo rientrati nel suo perimetro applicativo a mezzo dell’intervento manipolativo della Corte, solo ed esclusivamente in presenza di tutti i requisiti, di carattere oggettivo e soggettivo, descritti dalla norma.
La Corte costituzionale, dunque, alla luce delle argomentazioni esposte e ritenute assorbite le obiezioni circa la possibile frustrazione della funzione rieducativa della pena, dichiara illegittimo l’art. 131-bis c.p., nella parte in cui non consente l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ai reati per i quali non è previsto un minimo edittale di pena detentiva, così ampliandone l’ambito applicativo, in perfetta consonanza con alcune recenti pronunce di merito (cfr. Trib. Napoli, 11/06/2020 Giud. Bove) e di legittimità (cfr. Cass. SSUU 6 aprile 2016, n. 13681), che hanno assicurato una sempre più ampia applicazione dell’istituto.
Approfondimento 2
Soglie di punibilità
La recente sentenza n. 13682 del 2016 della Corte di Cassazione, resa a Sezioni Unite, ha stabilito che la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto è compatibile con i reati caratterizzati dalla presenza di soglie di punibilità all’interno della fattispecie tipica.
La Corte, in particolare, ha ritenuto che l’art. 131-bis c.p. vada applicato tenendo in considerazione sia il dato tecnico accertato, sia le modalità della condotta, l’esiguità del danno o del pericolo, nonché il grado di colpevolezza.
Non vi è, infatti, motivo di escludere a priori l’applicabilità dell’istituto a quei reati caratterizzati da parametri scientificamente predeterminati o di comune esperienza, capaci di ledere o mettere in pericolo il bene tutelato dalla norma. Spesso, peraltro, si tratta di reati di pericolo presunto per i quali non è necessaria una vera e propria indagine, bensì solo un accertamento tecnico per verificare che il valore soglia non sia stato superato.
Accertato il superamento della soglia, il reato è formalmente configurato, ma – nell’ottica della valutazione del fatto concreto – non si può prescindere da considerazioni inerenti il contesto e le circostanze in cui il reato è stato commesso.
Nel caso di specie, la questione riguardava l’applicabilità dell’istituto al reato di guida in stato di ebbrezza, caratterizzato dalla presenza di soglie di punibilità rapportate ai valori di tassi alcolemici rilevati.
La questione era controversa perché parte della giurisprudenza riteneva che nei casi in cui il legislatore ancori la progressione dell’entità della sanzione a prestabiliti dati tecnici (es. al tasso alcolemico accertato) non ci sia spazio per le valutazioni discrezionali del Giudice, al quale non è consentito disporre di altri parametri per effettuare il giudizio di tenuità.
Le Sezioni Unite, al contrario, condividono l’orientamento secondo cui non è possibile esaminare la questione in astratto, poiché, ad avviso della Corte, non esiste un’offesa tenue o grave in chiave archetipica, ma è la concreta manifestazione del danno che ne segna il disvalore.
Occorre, dunque, come per tutti i reati, accertare la tenuità del fatto ex art. 133 c.p., ossia attraverso tre elementi di valutazione: modalità della condotta, esiguità del danno o del pericolo, grado di colpevolezza.
Secondo il principio di offensività, inoltre, l’interprete ha l’obbligo di adattare le norme penali alla Costituzione in via ermeneutica, rendendole applicabili solo ai fatti concretamente offensivi. Con l’introduzione dell’art. 131-bis c.p., la scelta del legislatore è stata quella di espungere dal circuito penale fatti che non appaiono meritevoli di sanzione, rimarcando quell’atavico principio secondo cui l’applicazione della legge penale debba avvenire quando ciò non sia evitabile ossia come extrema ratio.
Dal testo dell’art. 131-bis c.p. appare evidente l’adesione ad un tale indirizzo interpretativo, dacché ciò che viene richiesta è una valutazione concreta del fatto che fa riferimento alle modalità della condotta e all’esiguità del danno.
Inoltre, l’art. 131-bis, comma 5, c.p., consente l’applicazione del nuovo istituto anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante.
PAGINA A CURA DI:
Dott.ssa Lorenza Giordani
Avvocato di strada - Milano
Avv. Veronica Caprino
Avvocato di strada - Genova