caporalato

Con il Decreto Legge n. 138/2011, convertito in legge (l. n. 148/2011) e da ultimo con la l. 199/2016, è stato introdotto nel codice penale l’articolo 603 bis, che punisce il reato di “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”, meglio noto come “caporalato”.

La norma punisce la condotta di chi sfrutta l’attività lavorativa altrui con metodi illegali, come l’intermediazione illecita di manodopera o altre forme di sfruttamento.

Prima dell’entrata in vigore dell’art. 603 bis c.p., il caporalato era punito attraverso un’interpretazione estensiva di altre disposizioni più gravi, quali ad esempio il delitto di riduzione e mantenimento in schiavitù di cui all’art. 600 c.p., che, tuttavia, non fornivano una tutela penale adeguata alle vittime del fenomeno specifico.

Con la nuova fattispecie, invece, i soggetti agenti presi in considerazione sono proprio il “caporale”, cioè colui che fa da intermediatore tra datore di lavoro e i lavoratori, gestendone attività lavorative, orari e retribuzione, ma anche (la più importante delle novità introdotte dalla recente modifica al testo) il datore di lavoro stesso, come persona fisica o giuridica.

Procedendo con l’analisi della norma, può dirsi che, al co.1, contiene una clausola di riserva con cui fa salva l’applicazione di disposizioni più gravi, laddove ricorrano. Segue un immediato riferimento al trattamento sanzionatorio, fissato nella reclusione da uno a sei anni e nella multa da 500 a 1.000 euro per ogni lavoratore reclutato.

La norma contiene poi un tassativo elenco di condotte tipiche.

Nello specifico, commette il delitto in esame chi:

1. recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori;

2.  utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione di cui al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno.

La disposizione prevede, quindi, che sia proprio quest’attività di intermediazione ad essere oggetto di sanzione penale. Determinante ai fini della configurazione del reato è, inoltre, la condizione prevista di “stato di bisogno”.

La giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione (cfr. Cass. Pen. 25 gennaio 2007, n. 2841) ha definito tale stato come una «qualsiasi situazione di debolezza o di mancanza materiale o morale del soggetto passivo, adatta a condizionarne la volontà personale», tendendo a ricomprendere nella nozione anche condizioni economiche disagevoli che non si traducano in un vero e proprio stato di indigenza, ma che siano tali da dar luogo anche semplicemente ad una “permanente preoccupazione” per il soggetto riguardo alla propria sfera socio-economica.

Nei fatti, lo stato di bisogno della vittima spesso consiste nella totale dipendenza del lavoratore dal proprio caporale o datore di lavoro, per il fatto di necessitare di vitto, alloggio e beni di prima necessità, quali coperte e indumenti che il lavoratore non avrebbe modo di procurarsi altrimenti.

Solitamente tali prestazioni lavorative avvengono in contesti ben organizzati, in modo che il lavoratore mangi, dorma e venga trasportato da e verso il luogo di lavoro sotto costante vigilanza dei caporali, il tutto a proprie spese, da dedurre dal compenso giornaliero.

Segue, al. co.2, la fattispecie di caporalato aggravata, in quanto caratterizzata dall’utilizzo di violenza o minaccia.

La sanzione comminata è la reclusione da 5 a 8 anni e la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.

Procedendo, la fattispecie riporta un’elencazione degli indici sintomatici di sfruttamento dei lavoratori corrispondenti a:

1. la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;

2.  la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie;

3.  la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro;

4.  la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti.

In primo luogo, in merito alla nozione di “contratti territoriali”, giova rilevare che, allo stesso modo di quelli nazionali, sono stipulati dai sindacati nazionali maggiormente rappresentativi.

In secondo luogo, le violazioni in materia di retribuzioni e quelle relative ad orario di lavoro, riposi, aspettative e ferie devono essere reiterate (il testo fa riferimento a violazionisistematiche”).

In terzo luogo, si precisa che le violazioni riguardano anche i periodi di riposo intesi oltre al riposo settimanale.

Ancora, quanto alla violazione delle norme sulla sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, viene soppresso il riferimento alla necessità che la violazione esponga il lavoratore a pericolo per la salute, la sicurezza o l’incolumità personale.

Riguardo la sottoposizione dei lavoratori a condizioni di lavoro, metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative particolarmente degradanti, rispetto alla disposizione precedente, è soppresso l’avverbio “particolarmente”, da cui deriva un ampliamento dei casi in cui si può realizzare tale condizione-indice.

In chiusura, la norma prevede tre diverse condizioni che costituiscono aggravanti specifiche, aumentando la pena da un terzo alla metà, quali: l’età dei lavoratori, il numero di persone vittime dello stesso reo e il fatto di esporre i lavoratori a grave pericolo con riferimento al tipo di prestazione lavorativa.

Legge 29/10/2016 n. 199 recante “Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo” (G.U. n. 257 del 3-11-2016)

Art. 603 bis c.p. “Intermediazione illecita e sfruttamento lavorativo”:

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato, chiunque:

1) recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori;

2) utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione di cui al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno.

Se i fatti sono commessi mediante violenza o minaccia, si applica la pena della reclusione da cinque a otto anni e la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.

Ai fini del presente articolo, costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle seguenti condizioni:

1) la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;

2) la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie;

3) la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro;

4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti.

Costituiscono aggravante specifica e comportano l’aumento della pena da un terzo alla metà:

1) il fatto che il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre;

2) il fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa;

3) l’aver commesso il fatto esponendo i lavoratori sfruttati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro.”

Corte di Cassazione, Sentenza 02 febbraio 2021, n. 6905.

La Corte di cassazione ha sancito che non sia necessario, ai fini dell’integrazione del reato di caporalato, che sussistano contemporaneamente tutti gli elementi indiziari di cui all’art. 603 bis, c. 2, c.p.

Infatti, «…costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle seguenti condizioni: – la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato; – la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale; – la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro; – la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti».

In merito alla contestata ripetizione della condotta consistente nella non congrua retribuzione, inferiore a quella prevista dalla contrattazione collettiva, dei lavoratori, la Cassazione ha stabilito che tale elemento «...viene implicitamente dedotto dal quadro indiziario evidenziato e, cioè, dall’episodio oggetto di specifico accertamento».

Per far scattare il reato, quindi, non occorre che dalle indagini investigative si desuma il tipico quadro dello sfruttamento, dagli alloggi degradanti ai metodi di sorveglianza, che ledono inesorabilmente la dignità personale e professionale del “dipendente”.

Basta, invece, una retribuzione inferiore a quella prevista dai singoli contratti collettivi, anche se limitata nel tempo, o, comunque, sproporzionata in rapporto agli assetti qualitativi e quantitativi del lavoro effettivamente svolto.

Corte di cassazione, Sez. IV penale, sentenza 06 ottobre 2020, n. 27582.

La Suprema corte era già giunta a simili conclusioni in una precedente sentenza, in cui aveva disposto che per integrare il reato di cui all’art. 603 bis c.p. sia necessario che lo sfruttamento si perpetri nei confronti di lavoratori in condizione di eclatante pregiudizio e di rilevante soggezione, “resa manifesta da profili contrattuali retributivi o da profili normativi del rapporto di lavoro, o da violazione delle norme in materia di sicurezza o di igiene sul lavoro, o da sottoposizione a umilianti o degradanti condizioni di lavoro e di alloggio”.

Corte di cassazione, Sez. IV penale, sentenza 06 ottobre 2020, n. 27582

Vengono considerati dimostrativi dello sfruttamento dei lavoratori da parte del caporale e, conseguentemente, del datore di lavoro che se ne avvale, non solo l’irregolare durata temporale della prestazione, la retribuzione inferiore ai minimi tabellari previsti dalla legge, o l’incresciosa e drammatica situazione abitativa degli operai, «ma anche la decurtazione “obbligatoria” di parte non irrilevante del compenso quale corrispettivo per l’accompagnamento in auto da parte del caporale, la mancanza di dotazioni di sicurezza, il previo mancato svolgimento di corsi di formazione, la mancata fruizione di un giorno di riposo settimanale…».

  • “Volevamo braccia, sono arrivati uomini. Sfruttamento lavorativo dei braccianti agricoli migranti in Italia”, Amnesty International Italia, Rapporto 2012.
  • “Lavoro sfruttato, due anni dopo”, Amnesty International Italia, rapporto 2014.
  • LEOGRANDE A., Uomini e Caporali. Viaggio tra i nuovi schiavi nelle campagne del sud, Mondadori, Milano
  • GUARINIELLO, Nota a sentenza Cass. Pen. Sez. V, 18-12-15 n. 16737, IN Dir. e Pratica Lav., 2016, 20, 1241
  • FIORE S.,La nuova disciplina penale della intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, tra innovazioni e insuperabili limiti, in Dir. Agr., n. 2/2017
  • PIRRELLI F.R.,Contrasto al lavoro sfruttato. Strumenti processuali e tecniche investigative, in Crit. Dir., n. 2/2018
  • TORRE V.,Lo sfruttamento del lavoro. La tipicità dell’art. 603-bis cp tra diritto sostanziale e prassi giurisprudenziale, in Questione Giustizia, Trimestrale promosso da Magistratura Democratica, 2019, www.questionegiustizia.it

Come approfondimento in materia di reato di caporalato segnaliamo che, in conseguenza del reato di ingresso e soggiorno illegale, in via di abrogazione, ma tuttora vigente, il lavoratore migrante, vittima di caporalato, non denuncia il proprio datore di lavoro perché, trovandosi egli stesso in posizione di irregolarità quanto alla propria presenza in territorio italiano, sarebbe soggetto a denuncia da parte delle autorità.

Tale situazione rende problematica la denuncia del datore di lavoro da parte di un lavoratore irregolarmente presente sul territorio, che inoltre -come spesso avviene nei fatti- non riesce a fornire dati precisi con riferimento alle generalità di datore di lavoro o caporale né un indirizzo preciso del luogo di lavoro o di residenza di questi ultimi.

Inoltre, evidente è il rischio corso da chi prova a denunciare i propri sfruttatori: le vittime non hanno alcun incentivo a farlo, sapendo di poter essere essi stessi indagati per ingresso e soggiorno irregolare.

Volendo fornire un quadro generale della norma 199 bis del 2016, si segnalano le ulteriori previsioni del testo di legge: sono inseriti nel codice penale gli articoli 603-bis.1 e 603-bis.2, relativi ad ipotesi di confisca obbligatoria del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non possa giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità, a qualsiasi titolo, in valore sproporzionato al proprio reddito (dichiarato ai fini delle imposte sul reddito) o alla propria attività economica.

Come misura cautelare reale è previsto l’eventuale controllo giudiziario dell’azienda nel corso del procedimento penale per il reato di caporalato; con il decreto che dispone la misura, il giudice nomina uno o più amministratori giudiziari esperti in gestione aziendale, scegliendoli tra gli iscritti all’albo degli amministratori giudiziari.

Sotto un profilo processuale, è stato previsto l’inserimento del delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro commesso con violenza e minacce tra il catalogo dei reati per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza. Per quanto riguarda la tutela delle vittime, il provvedimento prevede l’assegnazione al Fondo anti-tratta dei proventi delle confische ordinate a seguito di sentenza di condanna o di patteggiamento per il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro di cui all’art. 603-bis del codice penale.

Pagina in continuo aggiornamento a cura di

Silvia Squarciotta e Roberto Nappi

dott.ssa Miriam Pastoressa, sede di Foggia

Share This