L. lavora come bracciante in un’azienda agricola ed è uno di quei personaggi invisibili che fanno arrivare i pomodori sulle tavole di tutta Italia. Vive in un casolare in campagna e ogni giorno va al Ghetto di Rignano, un luogo nella provincia di Foggia dove si concentrano da anni sfruttamento del lavoro nero e gravi problematiche sociali, per essere accompagnato sul posto di lavoro di giornata.
L. Ha le mani callose e la sua divisa è una vecchia e consumata tuta da lavoro: la indossava anche ieri nel giorno in cui i nostri volontari hanno chiuso vittoriosamente una conciliazione per lui.
Per tre anni L. aveva lavorato per tre anni per la stessa persona. Quando era stato lasciato a casa si era reso conto che non il datore di lavoro non gli aveva versato tutto il dovuto. Molto spesso le persone che lavorano in nero non sanno che il diritto del lavoro tutela anche loro. Pensano di non avere diritti, che un’eventuale denuncia è impossibile o addirittura controproducente, i caporali del lavoro nero approfittano di queste paure per risparmiare soldi: sanno che difficilmente le persone da loro sfruttate si rivolgeranno ad un legale e sono quasi certi di rimanere impuniti.
Ma le cose per fortuna non vanno sempre così. L. ha preso il coraggio a due mani e si è rivolto ai nostri avvocati volontari. Lo abbiamo accompagnato all’Ispettorato del lavoro e lo abbiamo seguito nel contenzioso. Al termine della vicenda gli è stato riconosciuto tutto quello che gli spettava: alcune centinaia di euro e, soprattutto, la propria dignità di lavoratore.
#NonEsistonoCausePerse
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