Il settimanale L’Espresso dedica un inchiesta agli avvocati che fanno volontariato in favore delle persone senza dimora e intervista Antonio Mumolo, presidente dell’Associazione Avvocato di strada.

Quando l’avvocato è ‘buono’
di Ermanno Forte

Esistono giovani professionisti volontari del Foro, che da soli o riuniti in associazioni nate ad hoc hanno deciso di garantire un sostegno giuridico a chi non ha i mezzi per pagare gli onorari. Così aiutano migranti in difficoltà, poveri senza fissa dimora, o lavoratori vittime della crisi con consulenze legali gratuite. Ecco chi sono.

(26 novembre 2012)
L’avvocato che difende i diritti dei più deboli, degli emarginati. Che si impegna per “adempiere ai propri doveri professionali per i fini della Giustizia”, come recita la formula del giuramento sottoscritto dagli avvocati freschi di esame di Stato. Un’idea di ‘missione professionale’ che, per molti, rimane in potenza. C’è però chi, nel nostro Paese, ha deciso di garantire un sostegno legale gratuito a chi ne ha bisogno ma non ha i mezzi economici e ‘culturali’ per affrontare i piccoli e grandi problemi con la legge e per pagare gli onorari degli avvocati. Sono i ‘volontari del Foro’, professionisti spesso molto giovani che da soli o, come accade il più delle volte, nell’ambito di associazioni nate ad hoc, aiutano migranti senza permesso di soggiorno, poveri senza fissa dimora, stranieri discriminati da ordinanze comunali o lavoratori e imprenditori risucchiati dalla crisi ad ‘accedere alla giustizia’. Un fenomeno nato in piccole realtà locali dell’associazionismo, che negli ultimi anni ha preso forma e sostanza, in alcuni casi a livello nazionale.

Esempio significativo di questa ‘vocazione crescente’ è l’esperienza di Avvocato di strada, un progetto di volontariato che, nato nel 2000 a Bologna all’interno dell’associazione Amici di Piazza Grande, si è dato l’obiettivo di tutelare i diritti delle persone senza fissa dimora. Una categoria sociale che in Italia, negli ultimi anni di pesante crisi, si è allargata. «Fino a tre o quattro anni fa in strada o nei dormitori ci finiva soprattutto chi aveva problemi di alcool o droga, gli emarginati ‘classici’. Oggi, oltre ai migranti, ci sono tante persone che sono diventate povere nel giro di poco tempo: lavoratori licenziati dopo i cinquantanni, pensionati al minimo, imprenditori falliti» racconta Antonio Mumolo, presidente di Avvocato di strada «tutta gente che si trova ad affrontare contenziosi per il lavoro, per gestire separazioni, per far valere i propri diritti fondamentali, come il diritto alla casa e all’assistenza sanitaria.»

Una delle battaglie-chiave di Avvocato di strada è quella per il riconoscimento del diritto alla residenza, visto che, come spiega Mumolo, «è il prerequisito indispensabile per poter accedere alle cure negli ospedali, per ottenere un alloggio popolare, per trovare un lavoro», considerando pure che i Comuni spesso si oppongono alla concessione immediata della residenza ai senza fissa dimora. «Di fatto, chi non ha la residenza è come se non esistesse».

E negli anni i volontari hanno aiutato migliaia di persone a far valere i propri diritti: come Anna, una quarantenne di Taranto abbandonata dal marito, licenziata e finita a vivere in macchina a Bologna, che grazie al sostegno di avvocato di strada alla fine è riuscita a ottenere un alloggio popolare; o Mihai, un ragazzo rumeno di diciannove anni, senza permesso di soggiorno, che rischiava di pagare oltre 2600 euro per una prestazione sanitaria che poteva ricevere gratis.

Nel 2000 gli Avvocati di strada si contavano sulle dita di una mano, e operavano solo nella città di Bologna. Oggi i professionisti che collaborano col progetto sono oltre 700, e prestano servizio negli sportelli legali di 31 città italiane (da Bolzano a Siracusa, passando per Milano, Roma e Napoli). Nel solo 2011 l’associazione ha aperto più di 2300 pratiche in tutta Italia e garantito consulenze a centinaia di senza casa in ogni città. E la rete si sta espandendo: altri sportelli saranno aperti nei prossimi mesi, probabilmente a Torino, Firenze e Caserta. «I giovani professionisti sono i più interessati al progetto. La maggior parte dei volontari ha circa trent’anni» precisa Mumolo «e ci sono anche neolaureati e laureandi che ci danno una mano: fanno accoglienza, compilano i moduli, fanno le ricerche di giurisprudenza».

Altro apprezzato collettivo di ‘volontariato forense’ è Avvocati per niente, nato nel 2002 a Milano per volontà di un gruppo di avvocati che si sono conosciuti alla Caritas ambrosiana. Promosso da diverse associazioni milanesi, oggi il progetto è portato avanti da una cinquantina di avvocati che, sul territorio lombardo, seguono un centinaio di casi all’anno. «I nostri avvocati supportano i soggetti in difficoltà che chiedono aiuto. La maggior parte delle richieste arriva dagli stranieri e riguarda prestazioni assistenziali di base» spiega Alberto Guariso, presidente di Avvocati per niente «ma sono sempre di più le ‘vittime della crisi’ che precipitano in una spirale pericolosa: lavoratori licenziati, che poi magari si separano e vengono sfrattati. Noi li assistiamo. Gratis.»

E sono diverse le vittorie giudiziarie, alcune delle quali clamorose, ottenute dall’associazione, fin dagli esordi: dalla causa vinta contro il Comune di Milano, che una decina d’anni fa aveva previsto punteggi più alti agli italiani per l’assegnazione delle case popolari, fino al ricorso dell’anno scorso, accolto dal Tribunale di Milano, contro il bando del Servizio Civile Nazionale, che taglia fuori chi non ha la cittadinanza italiana.

Un aspetto fondamentale dell’accesso alla giustizia è il funzionamento del gratuito patrocinio, l’istituto che permette a chi ha un reddito inferiore a 10.700 euro annui di essere assistito legalmente a spese dello Stato. In questo ambito opera l’Anvag, l’Associazione nazionale volontari avvocati per il gratuito patrocinio e la difesa dei non abbienti. «Siamo impegnati in due direzioni: da un lato aiutiamo chi ha i requisiti ad accedere al patrocinio gratuito, dall’altro offriamo consulenze ai non abbienti» spiega Nicola Iacoviello, presidente Anvag.

Considerando solo la giustizia penale, in Italia sono più di 100 mila le persone che ogni anno beneficiano del gratuito patrocinio, per una spesa dello Stato di oltre 80 milioni di euro. Secondo Iacoviello, la spesa complessiva per finanziare l’istituto ammonterebbe a circa 300 milioni di euro.

Ma il sistema funziona? «Ci sono diversi problemi da risolvere: i fondi che il Ministero della Giustizia utilizza per l’istituto sono insufficienti e spesso gli avvocati vengono pagati dopo molto tempo, anche a distanza di anni dalla prestazione. Inoltre, la legge attuale sul gratuito patrocinio non viene incontro a chi, pur avendo un reddito superiore alla soglia prevista, è di fatto impossibilitato a pagarsi un avvocato. Basti pensare a chi ha sulle spalle un pesante mutuo, o a tutte le categorie di ‘nuovi poveri’: cassintegrati, famiglie monoreddito, free lance, lavoratori ‘atipici’ . L’Anvag ha proposto per queste persone l’introduzione dell’ istituto dell’ ‘aiuto parziale’: chi non ha i requisiti per accedere al gratuito patrocino e ha comunque bisogno di un’assistenza legale a prezzi contenuti, deve ricevere un contributo da parte dello Stato, in proporzione, secondo diverse fasce di reddito».

In attesa che lo Stato, su questo, batta un colpo, i ‘volontari del Foro’ rispondono presente. “Per i fini della Giustizia”. L’hanno giurato.

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