Dal greco á-poros (senza risorse o povero) e fóbos (paura), il termine “aporofobia” nomina l’odio, la paura, la repulsione o l’ostilità di fronte al povero. Il neologismo di origine spagnola, coniato dalla professoressa Adela Cortina Orts nel 1995, definisce così uno specifico tipo di paura – quella verso le persone in condizione di povertà – andando oltre le più generiche definizioni di “xenofobia” e “razzismo”.

Come si evince dal report relativo al 2023 del Barcelona Discrimination Observatory, tale atteggiamento si indirizza principalmente verso persone senza dimora. Si tratta di un fenomeno che è sempre più presente in molti contesti delle società democratiche occidentali, spesso proprio nei luoghi che dovrebbero essere più sicuri.

Emblematico il caso di una donna senza dimora che, in evidente condizione di subalternità – immigrata, sex worker e con una diagnosi medica relativa a problemi di salute mentale –, era stata accompagnata da un’infermiera al pronto soccorso in Spagna. Qui, dopo un esame tossicologico risultato positivo, le era stato rifiutato il ricovero. Nonostante le istanze dell’infermiera sulle possibili discriminazioni subite dalla donna, come si legge nel report, il medico si era rivelato irremovibile e, rivolgendosi direttamente alla paziente, aveva sentenziato: “Siamo in Spagna e qui non esiste violenza istituzionale. La violenza c’è, invece, nel paese dal quale vieni, dove le donne vengono violentate e costrette a indossare il burqa. Se vieni qui tutta strafatta di coca, io non ti ammetto all’ospedale; e anche se dovessi disintossicarti, non so se sarai capace di mantenere un lavoro normale. Credo che nessuna donna voglia prostituirsi e, se lo fa, dubito che possa fare qualsiasi altro lavoro” (trad. dialogo p. 84 del report).

Questo episodio è però uno dei pochissimi casi noti tra gli innumerevoli – ma ancora sconosciuti – che sistematicamente abitano le nostre città, con numeri sempre maggiori. Di fatto, secondo i dati raccolti dall’OND (Office for Non-Discrimination) nel 2022 il 68.3% di casi di aporofobia è avvenuto in pubblico, in particolare nelle strade, nei parchi, nelle spiagge e nelle piazze (41.5%). Numeri preoccupanti anche quelli che riguardano le strutture pubbliche dove, tra ospedali e servizi pubblici, si registra il 25.6% delle discriminazioni, con un incremento di circa 10 punti percentuali rispetto al 2021. Allo stesso modo, negli ambienti privati si registrano il 30.5% delle discriminazioni: 22% nelle cosiddette “strutture private con accesso pubblico” – come negozi e ristoranti – e 8.5% nelle strutture private ad accesso vincolato (è il caso di case, scuole e ospedali a gestione privata).

L’aporofobia genera una “sistematica violazione dei diritti umani” nei confronti di individui che vivono in una condizione di perenne discriminazione ed estrema povertà, vittime ideali contro cui indirizzare discorsi d’odio. Così, come sottolinea HATENTO – osservatorio per crimini d’odio nei confronti di persone senza dimora –, queste persone, non più considerate come tali ma private del “diritto di replica” e trattate alla stregua di un “oggetto da disprezzare”, vengono umiliate, svalutate e disprezzate.

In società contraddistinte da perenni crisi economiche e umanitarie come quelle contemporanee, questa intolleranza nei confronti di persone “private della propria dignità” diventa la testimone di quel dirompente sentimento di “de-umanizzazione” che negli ultimi decenni ha invaso i differenti Stati europei, in una netta contrapposizione tra un “noi” e un “loro” che obbliga a rimettere in discussione le basi stesse delle nostre democrazie.

Grazia Enerina Pisano

Grazia Enerina Pisano

Volontaria Avvocato di strada Bologna