fallimento

Il “Fallimento” è definito come quel processo esecutivo rivolto alla realizzazione coattiva del diritto dei creditori. Esso risulta frazionato in più fasi sempre comprese tra due atti: la sentenza dichiarativa di fallimento; il decreto di chiusura dello stesso. Tali fasi sono collegate l’una all’altra e sono finalizzate:
1. all’accertamento dei presupposti previsti dalla legge per la dichiarazione di fallimento;
2. all’acquisizione ed alla conservazione dei beni del fallito;
3. alla verifica del passivo;
4. alla verifica dell’attivo;
5. al riparto del ricavato tra i vari creditori.

eati della crisi d’impresa, disciplinati nel titolo IX del Codice della crisi d’impresa (rubricato “Disposizioni penali”), si pongono in linea di sostanziale continuità normativa con le fattispecie penali previste dalla legge fallimentare, salvo l’adattamento lessicale dovuto alla sostituzione dei termini “fallimento” e “fallito” rispettivamente con “liquidazione giudiziale” e “imprenditore in liquidazione giudiziale”.

La sostituzione del fallimento con la liquidazione giudiziale, per l’appunto solo nominativa perché la procedura mantiene le stesse caratteristiche di quella fallimentare, non ha comportato un’abrogazione delle previgenti disposizioni, che avrà luogo implicitamente con la definizione nel tempo delle procedure cui afferiscono le condotte di rilevanza penale.

Il 14 febbraio 2019 è stato pubblicato, in attuazione della Legge delega 19 ottobre 2017 n. 155 il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCI), approvato il 10 gennaio 2019 dal Consiglio dei Ministri e contenuto nel D. Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14.

Il Codice sarebbe dovuto entrare in vigore il 15 agosto 2020. Tale data è stata però posticipata al 1 settembre 2021 in conseguenza dell’emergenza pandemica da Covid-19.

PRESUPPOSTI PER LA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO
I presupposti per la dichiarazione di fallimento sono:
• la natura dell’imprenditore commerciale (così come da art. 1 L.F. – “PRESUPPOSTI SOGGETTIVI”), che prescinde dalla veste giuridica assunta e dall’iscrizione nel Registro delle Imprese, ma che resta per di più legata all’effettivo svolgimento di una attività commerciale;
• lo stato di insolvenza (“PRESUPPOSTI OGGETTIVI”).

PRESUPPOSTI SOGGETTIVI
Vengono tradizionalmente individuati tre elementi quali requisiti dell’imprenditorialità. 1) l’esercizio di una attività economica legata al principio dell’economicità della gestione, intesa come attitudine a ricavare un profitto dai fattori produttivi; 2) l’organizzazione dell’attività, intesa come sistematica aggregazione di mezzi materiali ed immateriali; 3) professionalità, intesa come non occasionalità dell’attività esercitata.

E’ importante inoltre prendere come riferimento l’art. 2195 cod. civ., il quale individua una serie di attività tipicamente commerciali che risulta utile ai fini di una elencazione esemplificativa, completa e circoscritta di attività rientranti in tale spettro.

Vengono inoltre individuati tre “requisiti soggettivi per la NON fallibilità”:
– Presupposto soggettivo patrimoniale: l’aver cioè avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro 300.000,00;
– Presupposto soggettivo economico: aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro 200.000;
– Presupposto soggettivo dell’indebitamento complessivo: avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro 500.000,00.
Sarà onere del soggetto nei confronti del quale è stata avanzata istanza di fallimento provare il rispetto del requisito soggettivo.

PRESUPPOSTI OGGETTIVI
Se a seguito di inadempimenti continui o di altri fattori esterni particolari (quali come menzionato dall’art. 7 della L.F. la fuga, l’irreperibilità o la latitanza dell’imprenditore, la chiusura dei locali dell’impresa, il trafugamento, la sostituzione o la diminuzione fraudolenta dell’attivo da parte dell’imprenditore), il debitore non riesce più a far fronte al regolare soddisfacimento delle proprie obbligazioni, quest’ultimo può essere dichiarato insolvente, e solo nel caso in cui si accerti l’avvenuta insolvenza si può dire di rispettare il requisito oggettivo di fallibilità.
L’insolvenza può risultare anche da segnalazione effettuata nel corso di un procedimento civile dal giudice o dal pubblico ministero nel corso di un procedimento penale.

SOGGETTI SOTTRATTI AL FALLIMENTO

E’ stata inoltre prevista una “non-failure zone” dove viene operata una esclusioone quantitativa (per gli imprenditori commerciali al di sotto delle soglie di fattibilità, con riferimento ai parametri di attivo patrimoniale, ricavi ed indebitamento) e più esclusioni quantitative di soggetti espressamente sottratti al fallimento, ovvero:
• enti pubblici economici (art. 2093 cod. civ.) aventi ad oggetto l’esecizioni di una attività commerciale (dai quali però vanno però tenute distinte le società a partecipazione pubblica, anche totalitaria, che restano, invece fallibili);
• le imprese soggette per legge solo a liquidazione coatta amministrativa (es. imprese di assicurazione, gli istituti per le case popolari ecc.);
• gli imprenditori agricoli (così come da riferimenti indicati all’art. 2135 cod. civ.).

PROCEDIMENTO PER LA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO

L’istanza di fallimento può essere presentata:
• dal debitore;
• dai creditori;
• dal pubblico ministero.

Dal 2006 il Tribunale non può più dichiarare il fallimento d’ufficio. Tale soppressione risulta però bilanciata dall’affidamento al Pubblico Ministero del potere di richiesta di fallimento su segnalazione qualificata proveniente dal Giudice che abbia rilevato l’insolvenza dell’imprenditore nel corso di un qualsiasi procedimento civile.

Il procedimento per la dichiarazione di fallimento si svolge dinanzi al Tribunale che si riunisce per tale occasione in composizione collegiale in camera di consiglio.

Il debitore e i creditori istanti verranno convocati dal Tribunale competente (ossia quello dove l’imprenditore ha “la sede principale dell’impresa, ex art. 9 L.F.) e ad essi sarà notificato il ricorso e il decreto di convocazione, tramite posta elettronica certificata (PEC). In casi particolari, l’atto verrà consegnato di persona presso la sede risultante dal Registro delle Imprese o con deposito dell’atto presso la casa comunale della sede risultante dal Registro delle Imprese.
L’udienza di trattazione del ricorso sarà fissata non oltre 45 giorni dal deposito dello stesso. Tra la data della comunicazione o notificazione e quella dell’udienza deve intercorrere un termine non inferiore a 15 giorni.

Ai sensi dell’art. 15 L.F., il termine per la presentazione di memorie, di deposito di documenti e relazioni tecniche deve essere deve essere superiore a 7 giorni prima della data fissata per l’udienza.

Sempre ai sensi dell’art. 15 L.F. non verrà pronunciata la dichiarazione di fallimento se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dall’istruttoria pre-fallimentare è complessivamente inferiore ad euro 30.000,00. Vi è da dire che questa è la soglia attualmente considerata come congrua, ma, la soglia di indebitamento non si qualifica come un “fatto impeditivo” ex art. 2697 cod. civ., ma come una condizione obiettiva di prevedibilità, che deve essere oggetto di rilevazione del Tribunale in ogni caso, in base agli atti acquisiti per l’accertamento dei presupposti ex artt. 1 e 5 L.F.
Tale soglia minima può essere aggiornata ogni 3 anni con decreto del Ministro della Giustizia sulla base delle variazioni medie degli indici ISTAT.

Nel decreto di convocazione il Tribunale dispone che i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, una situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata e altre informazioni rilevanti vengano depositati dall’imprenditore.

RIGETTO DELLA DOMANDA

Ove il Tribunale ritenga insussistenti i presupposti richiesti dalla legge , può rigettare l’istanza per la dichiarazione di fallimento con decreto motivato, che verrà comunicato a cura del cancelliere alle parti. La reiezione del fallimento dovrebbe comportare dell’istante creditore alla refusione delle spese di lite, salvo che il Tribunale non reputi giusta la compensazione.

Il decreto di rigetto è impugnabile, nel termine di 30gg, dal creditore ricorrente, o dal P.M. Richiedente, con procedimento dinanzi la Corte d’Appello territorialmente competente che, sentite le parti provvederà a sua volta con decreto motivato. Se la Corte accoglie il reclamo, gli atti sono rimessi nuovamente al Tribunale che deve dichiarare il fallimento.

Il provvedimento della Corte d’Appello, sia se accolga, sia se respinga, non è però impugnabile in Cassazione. (Su quest’ultimo tema, si veda Cassazione n. 25818/2010)

ACCOGLIMENTO DELLA DOMANDA

Qualora invece il Tribunale riscontri l’esistenza dei presupposti previsti dalla legge, dichiara il fallimento con sentenza resa in camera di consiglio (art. 16 L.F.). La sentenza dichiarativa del fallimento nomina i principali organi della procedura (cioè giudice delegato e curatore) ed inoltre:
• ordina al fallito il deposito dei bilanci e delle scritture contabili e fiscali obbligatorie, nonché dell’elenco dei creditori, entro 3gg, se non è stato ancora eseguito a norma dell’art. 14;
• stabilisce il giorno, l’ora ed il luogo dell’adunanza in cui si procederà all’esame dello stato del passivo (max 120gg dalla sentenza, salvo termine straordinario di 180);
• assegna ai creditori ed ai terzi, che vantano diritti reali o personali su cose in possesso del fallito, il termine perentorio di 30gg prima dell’adunanza, per la presentazione in cancelleria delle domande di insinuazione.

EFFICACIA, COMUNICAZIONE E PUBBLICAZIONE DELLA SENTENZA

Gli effetti della dichiarazione di fallimento decorreranno dalla data di pubblicazione mediante apposito deposito in cancelleria della sentenza stessa. Essa dovrà inoltre essere integralmente notificata al debitore ed al P.M.

Con riguardo ai terzi, essa sorbirà i suoi effetti dalla data di iscrizione nella stessa presso l’ufficio del Registro delle Imprese.

 

La normativa di riferimento essenziale è la Legge Fallimentare (Regio decreto 16 Marzo 1942 N° 267) contenente la “Disciplina del Fallimento, del Concordato Preventivo, [Dell’Amministrazione Controllata] e della Liquidazione Coatta Amministrativa”.

E’ necessario precisare però che tale normativa ha subito, come meglio spiegato sopra, profonde modifiche normative negli ultimi 2 anni.

In seguito al D.L. n. 118/2021, pubblicato il 24 agosto scorso, è stato definito il calendario di entrata in vigore delle varie parti del Codice della crisi mentre alcune disposizioni estrapolate dal Codice della crisi e innestate nell’attuale legge fallimentare sono immediatamente entrate in vigore.

Il D.L. n. 118 del 24 agosto 2021 ha introdotto il nuovo istituto della “composizione negoziata della crisi” che sarà in vigore dal 15 novembre prossimo e ha previsto l’immediata entrata in vigore di alcuni istituti contenuti nel Codice, inseriti nel corpo della legge fallimentare. Inoltre ha nuovamente rinviato il Codice della crisi al 16 maggio 2022, disponendo un differimento ancora maggiore al 31 dicembre 2023 dell’entrata in vigore della disciplina delle misure d’allerta.

Ecco di seguito la “tabella di marcia” dell’entrata in vigore delle varie parti del Codice della crisi.

Cosa è entrato in vigore il 25 agosto 2021
Modifica dei seguenti articoli della legge fallimentare:
· 180, comma 4 (omologa del concordato anche in mancanza di adesione dell’amministrazione finanziaria);
·182-bis, comma 4 (l’eventuale adesione dell’amministrazione finanziaria all’accordo di ristrutturazione deve intervenire entro novanta giorni dal deposito della proposta);
·182-bis, comma 8(rinnovo dell’attestazione e delle manifestazioni di consenso in ipotesi di modifiche sostanziali al piano oggetto dell’accordo di ristrutturazione);
·182-quinquies, comma 5 (Il tribunale può autorizzare il pagamento delle retribuzioni dovute per le mensilità antecedenti al deposito del ricorso ai lavoratori addetti all’attività di cui è prevista la continuazione);
· 182-quinquies, comma 6(Quando è prevista la continuazione dell’attività aziendale, la disciplina di cui al quinto comma si applica al rimborso, alla scadenza convenuta, delle rate a scadere del contratto di mutuo con garanzia reale gravante su beni strumentali all’esercizio dell’impresa);
· 182-septies (accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa);
·182 octies (convenzione di moratoria);
· 182-novies (accordi di ristrutturazione agevolati);
· 182-decies (coobbligati e soci illimitatamente responsabili con riferimento agli accordi di ristrutturazione);
· 186-bis, comma 2 (nel concordato con continuità il piano può prevedere una moratoria fino a due anni dall’omologazione per il pagamento dei creditori privilegiati);
· 236, comma 3 (in caso di accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa o di convenzione di moratoria si applicano i reati di bancarotta fraudolenta e semplice)

A seguire delle pronunce giurisprudenziali sul tema:

Cassazione civile sez. VI, 29/09/2021, n.26407 – Sulla possibilità per il pubblico Ministero di richiedere il fallimento di un soggetto anche in base ad un procedimento iscritto nel registro degli atti non costituenti reato

Cassazione civile sez. I, 13/09/2021, n.24633 – Sulla possibilità di estensione del fallimento al socio occulto; (Si inserisce abstract per una migliore comprensione del tema “Al fine dell’applicazione della L. Fall., art. 147, è sufficiente il riscontro, oltre che della situazione normale di una società che esista nella realtà e come tale operi nei rapporti con i terzi, anche delle situazioni anomale costituite dalla società meramente apparente nei confronti dei terzi, pure se inesistente nei rapporti interni, e dalla società occulta, cioè realmente esistente, ma non esteriorizzata. Queste due ultime situazioni, peraltro, in relazione alla diversità di presupposti, si pongono su un piano alternativo. Ne consegue che l’estensione del fallimento di un imprenditore individuale ad altro soggetto, previo riscontro di una società di fatto, non può essere contraddittoriamente giustificata in base al contemporaneo accertamento, in detto soggetto, della qualità di socio apparente e di socio occulto”)

Cassazione civile sez. I, 10/09/2021, n.24509 – Sulla possibilità per il fallito di essere ammesso al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti

Cassazione civile sez. I, 11/08/2021, n.22666 – Formazione dello stato passivo – – ammissione al passivo

Cassazione civile sez. VI, 15/06/2021, n.16944 – Ammissione allo stato passivo del fallimento e termine per l’adunanza dei creditori

Tribunale Pescara, 21/05/2021, n.1401 – Mancata tenuta dei documenti contabili e bancarotta fraudolenta: elemento soggettivo

Cassazione civile n.4530 del 2016 – Con riferimento al “non essere più in grado di soddisfare” le proprie obbligazione, la giurisprudenza è ormai ferma nel considerare che ”lo stato d’insolvenza dell’imprenditore, rilevante agli effetti dell’art.5 L.F., si realizza con uno stato di impotenza funzionale non transitoria a soddisfare le obbligazioni inerenti all’impresa e si manifesta, secondo una tipicità desumibile dai dati dell’esperienza economica, nell’incapacità di produrre beni con margine di redditività da destinare alla copertura delle esigenze di impresa (prima fra tutte l’estinzione dei debiti), nonché nell’impossibilità di ricorrere al credito a condizioni normali, senza rovinose decurtazioni del patrimonio”

Cassazione civile n.3111 del 2015 – Lo Stato di insolvenza, presupposto per la dichiarazione di fallimento, è definito all’art.5 comma 2 L-F- come quella situazione in cui “il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”. Tale stato, secondo la giurisprudenza, deve sussistere non al momento del ricorso ma a quello della pronuncia della sentenza di fallimento (Cass. n.19790 del 2015). La giurisprudenza ha peraltro precisato che “la molteplicità di posizioni creditorie non è sub-requisito dello stato di insolvenza, essendo sufficiente, per la dichiarazione di fallimento, anche un solo debito cui l’imprenditore non sia in grado di far fronte con mezzi normali di pagamento”

Con l’emanazione del Decreto legge 24 agosto 2021, n. 118, il nostro legislatore ha ritenuto necessario introdurre nuove misure di supporto alle imprese per consentire loro di contenere e superare gli effetti negativi derivanti dall’emergenza epidemiologica da SARS-CoV2.
È stata infatti avvertita l’urgenza non solo di prevedere strumenti che incentivino le imprese ad individuare alternative percorribili ai fini della ristrutturazione o del risanamento aziendale, ma anche di intervenire sugli istituti di soluzione concordata della crisi per agevolare l’accesso alle procedure alternative rispetto al fallimento.

Gli interventi hanno in particolare riguardato il differimento e l’entrata in vigore delle disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 14/2019 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), nonché l’introduzione della procedura negoziata per la soluzione della crisi d’impresa.

Approfondimento 1 – Differimento dell’entrata in vigore del Codice della Crisi d’impresa

L’art. 1 del D.L. n. 118/2021 ha modificato l’ art. 389 del D.lgs. n. 14/2019, essendo stato disposto l’ennesimo differimento dell’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa che è stata spostata al 16 maggio 2022.

È stata addirittura rinviata al 31 dicembre 2023 l’applicazione del Titolo II, Parte Prima contenente la disciplina delle procedure di allerta e di composizione assistita della crisi nell’attesa degli altri interventi per l’adeguamento del Codice della crisi rispetto alla Direttiva UE 2019/1023, le cui disposizioni dovranno essere oggetto di recepimento entro il 17 luglio 2022.

Nonostante i rinvii, si evidenzia tuttavia che il legislatore ha ritenuto di introdurre nel tessuto normativo dell’attuale legge fallimentare alcune disposizioni contenute nel Codice della crisi d’impresa che sono pertanto divenute di immediata applicazione.

La novella ha in particolare riguardato:
• gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa;
• la convenzione in moratoria;
• gli accordi di ristrutturazione agevolati.

Si assiste infatti all’inserimento del nuovo art. 182 septies L.F. relativo agli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa che trova ora applicazione a tutte le categorie dei creditori, essendo stata eliminata la limitazione ai soli creditori intermediari finanziari.

È stato poi introdotto l’art. 182 octies L.F. avente ad oggetto la convenzione in moratoria, la cui disciplina era precedentemente contenuta nell’art. 182 septies L.F. ed il cui ambito di applicazione è stato anche in questo caso esteso a tutte le tipologie di creditori.

Entrano a far parte della legge fallimentare gli accordi di ristrutturazione agevolati, essendo stato inserito l’art. 182 novies L.F. in forza del quale la percentuale dei creditori aderenti necessaria per la conclusione di un accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’ art. 182 bis L.F. è ridotta della metà, (30% anziché il 60%), quando il debitore:
a) ha rinunciato alla moratoria ex art. 182 bis, comma 1, lett. a) e b), L.F.; ovvero quando
b) non ha presentato il ricorso previsto dall’art. 161, comma 6, L.F. e non ha richiesto la sospensione di cui all’art. 182 bis, comma 6, L.F. relativa al divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari od esecutive nel corso delle trattative.

È stato altresì introdotto l’art. 182 decies L.F. riguardante la posizione dei coobbligati e soci illimitatamente responsabili. La norma prevede l’applicazione dell’ art. 1239 cod. civ. sugli effetti della remissione nei confronti dei fideiussori rispetto ai creditori che hanno concluso gli accordi di ristrutturazione. Nel caso in cui l’efficacia degli accordi sia estesa ai creditori non aderenti, costoro conservano, impregiudicati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso. La disposizione prescrive infine che, salvo patto contrario, gli accordi di ristrutturazione hanno efficacia nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, i quali continuano a rispondere per tale diverso titolo, salvo il caso in cui non sia diversamente previsto, allorquando hanno prestato garanzia.

Approfondimento 2 – La nuova procedura negoziata
La novità più significativa e corposa è sicuramente rappresentata dall’introduzione del nuovo istituto della “composizione negoziata per la soluzione della crisi di impresa” che rappresenta un nuovo strumento finalizzato a sostenere le imprese in crisi ai fini del risanamento aziendale.

A partire dal 15 novembre 2021, gli imprenditori commerciali ed agricoli iscritti nel registro delle imprese che si trovano in condizioni di squilibrio patrimoniale od economico – finanziario tanto da rendere probabile la crisi o l’insolvenza – potranno difatti avvalersi della nuova procedura prevista dagli artt. 2 e seguenti del D.L. n. 118/2021.

Gli imprenditori possono dunque richiedere al segretario generale della Camera di commercio nel cui ambito territoriale si trova la sede legale dell’impresa la nomina di un esperto indipendente quando risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa.

L’esperto ha infatti il compito di agevolare le trattative tra l’imprenditore, i creditori e gli eventuali altri soggetti interessati, al fine di individuare una soluzione per il superamento dello stato di crisi anche attraverso il ricorso al trasferimento dell’azienda o di rami di essa.

Si evidenzia che, per quanto concerne le società, la sussistenza dei presupposti per la presentazione dell’istanza deve essere segnalata, per iscritto, all’organo amministrativo da parte dell’organo di controllo societario ai sensi di quanto disposto dall’art. 15 del D.L. n. 118/2021 (la segnalazione deve essere motivata e deve contenere la fissazione di un congruo termine, comunque non superiore a 30 giorni, entro il quale l’organo amministrativo è tenuto a riferire in merito alle iniziative intraprese; rimane in ogni caso fermo il dovere di vigilanza previsto dall’art. 2403 c.c. in pendenza delle trattative).

Approfondimento 3 – Beni esclusi

La legge fallimentare ha espressamente escluso dal fallimento una serie di beni e diritti (si veda art.46 l.f.).

Sono in particolare esclusi ai sensi della legge fallimentare:
1) I beni ed i diritti di natura strettamente personale. Tradizionalmente vengono inclusi in tale categoria:
– l’esercizio delle azioni relative al diritto di famiglia, agli status personali e a tutela del nome, dell’immagine, dell’onore, della reputazione;
– il diritto al risarcimento dei danni alla persona se si verte in tema di danno biologico e morale, dove in caso di danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa il risarcimento rientra parzialmente nel fallimento ai sensi dell’art.46 n.2 l.f. (Cass. n.15493 del 2005);
– le opere frutto dell’ingegno (ad esclusione del proventi derivati dalle stesse);
– il diritto di accettare o rifiutare una donazione e il diritto di revocarla (i proventi entrano però nel fallimento in caso di esercizio dell’accettazione o revoca);
– il contratto di fornitura della luce, del gas e dell’acqua nonché di fruizione di una linea telefonica.

2) Gli assegni aventi carattere alimentare, gli stipendi, pensioni, salari e ciò che il fallito guadagna con la sua attività entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia. L’art.46 l.f. specifica poi ulteriormente che tali limiti sono fissati con decreto motivato del giudice delegato che deve tener conto della condizione personale del fallito e di quella della sua famiglia (sulla natura dichiarativa del decreto si veda Cass. n.6999 del 2015). Si può ritenere che ai sensi di tale previsione sia consentito al fallito di esercitare una nuova impresa, in quanto egli non perde la capacità di agire, e la giurisprudenza ha inoltre in passato stabilito che qualora il fallito, dopo la data dell’apertura della procedura concorsuale, intraprenda una nuova attività d’impresa, o – nonostante la mancanza di autorizzazione – prosegua quella già svolta, la curatela fallimentare, ha facoltà, ai sensi dell’art.42, comma 2, l.f., di appropriarsi dei risultati positivi della suddetta attività, al netto delle spese incontrate per la loro realizzazione, non potendo essere acquisiti anche i ricavi che sono stati reinvestiti nell’esercizio dell’impresa (Cass. n.5738 del 1998);

3) I frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi, salvo quanto è disposto dall’art.170 cod. civ.;

4) le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge: tale norma si riferisce in particolare ai beni assolutamente impignorabili ai sensi dell’art.514 c.p.c.

 

PAGINA A CURA DI

Avv. Domenico Trimboli, sede di Genova
Avv. Davide Bertolini