Residenza e immigrazione, La Gazzetta del Mezzogiorno ha intervistato Annamaria Cataldi, coordinatrice di Avvocato di strada Bari
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“Restrizioni beffa sul domicilio e i «regolari» diventano fantasmi”
Mousa rannicchia il volto smunto nel berretto logoro da baseball. Rimane tutto il tempo stipato dentro il berretto, scostato solo per asciugare le lacrime con le dita smunte. Non parla. E rimangono senza risposta le domande fatte per sapere di più della fuga dalla Costa d’Avorio, dei tre anni impossibili in Libia, dei brividi di morte sulle onde del Canale di Sicilia. La fortuna, che gli ha concesso i supplementari a Lampedusa e al «campo» di Palese, sembra avergli voltato le spalle a un passo dal sogno. Mousa piange perché non immaginava un fischio finale così assurdo: ha avuto il permesso di soggiorno per protezione umanitaria. Un anno. L’ha avuto lui come gran parte, ma non tutti, dell’«Emergenza Nord Africa». Il permesso di soggiorno è scaduto, così pure il tempo dell’accoglienza nel purgatorio inutile del Centro d’accoglienza per richiedenti asilo di Palese (Cara). Ma il fischio assurdo che lo ha ridotto a un fantasma sul baratro è arrivato pochi giorni fa. In questura si è visto negare il rinnovo del soggiorno. Motivo: non ha un tetto come si deve. Un tetto che tranquillizzi l’ansia di sicurezza alimentata dalla retorica politica: chi non ha casa è da considerarsi un delinquente potenziale. Come se le migliaia di africani sopravvissuti a torture, guerre, e sfruttamenti, fossero arrivati qui con le risorse per garantirsi un bed & breakfast.
I senza fissa dimora hanno possibilità di iscriversi al servizio anagrafico ottenendo una domiciliazione fittizia: via Città di Bari. Fu una conquista resa possibile, a livello comunale, dall’impegno dell’allora assessore Antonella Rinella, ora capo gabinetto dell’amministrazione Emiliano. La residenza fittizia non vale più. Per effetto di una circolare, sembra, emessa dall’ex ministro leghista Roberto Maroni. L’ossessione razzista antiimmigrati non è più al potere, ma la circolare-apartheid è rimasta in vigore. E il governo Monti non accenna a cassare quelle restrizioni da razzisti di Stato.
Non solo non vale il documento comunale, ma la Questura di Bari fa di più: non prende in considerazione né la domiciliazione presso la tendopoli gestita dalla Croce Rossa, dietro l’Arena della Vittoria e, udite udite, nemmeno il domicilio eletto presso lo studio legale al quale l’immigrato finisce sempre coll’affidarsi, pur di vincere le olimpiadi dei lacci burocratici. «Niente, nessuna delle tre vale», commenta Marco Cacciatore, uno dei legali dell’associazione Avvocato di strada.
La questione si trascina da anni e non riguarda soltanto Bari. Vero. Ma qui in città la situazione rischia di avere effetti dirompenti, spiega Annamaria Cataldi, referente dell’associazione Avvocato di strada (l’associazione ha una nuova sede in via Putignani, nella parrocchia San Rocco; infotel: 392 449 35 00). Dice la Cataldi: «A Bari la situazione è aggravata dal fatto che l’unico indirizzo che la Questura prende in considerazione è quello del Centro Andromeda, ma la lista d’attesa è lunghissima». Non c’è posto nemmeno per un quarto di chi ha chiesto un ricovero. Mousa è in lista d’attesa e ora deve fare i conti con il doppio rifiuto: niente tetto, niente soggiorno. Come lui, e cioè con un permesso di soggiorno scaduto, sono almeno in 150.
L’assessore all’Accoglienza, Fabio Losito dice di aver invitato il prefetto a intervenire: «Quanto meno si prenda per buono il domicilio eletto dall’avvocato». In fondo è un pubblico ufficiale e dunque dovrebbe dare garanzie in termini di ordine pubblico. Ma lo Stato che costruisce eccezioni securitarie ha restrizioni per tutti e non si preoccupa di certi effetti. Senza soggiorno è difficile trovare lavoro, senza lavoro è impossibile pagarsi un alloggio. Il risultato è che Mousa, sopravvissuto a persecuzioni e stenti in Africa, è un quasi-morto regolare, illuso per un anno.
di Gianluigi De Vito
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