Il presidente dell’Associazione Avvocato di strada Onlus Antonio Mumolo è stato intervistato dal quotidiano on line “L’Avanti”

Mumolo: “Chi finisce per strada senza residenza viene privato di ogni diritto”

Pubblicato il 24-01-2013

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«Una grande nazione deve essere attenta ai vulnerabili e proteggere i propri cittadini dagli incidenti e dalle disgrazie della vita». Sembrano parole legate ad altri tempi e a paesi lontani dalle logiche democratiche e dello Stato sociale, invece sono affermazioni che assumono una rilevanza preoccupante se a pronunciarle è il presidente degli Stati Uniti, in occasione del suo “speech” inaugurale per il secondo mandato. Se il grado di civiltà di uno Stato si misura sulla sua capacità di aiutare i più deboli, in Italia c’è poco di cui andare fieri. Il caso del clochard trovato morto a Napoli, nei pressi de Teatro San Carlo, è solo l’ultimo di una lunga scia di vergogna. Non è un coincidenza che l’Europa abbia recentemente condannato il nostro Paese per la violazione della Carta sociale europea che sancisce l’impegno a garantire  l’effettivo esercizio del diritto all’abitazione, attraverso “misure destinate a prevenire e ridurre lo status di ‘senza tetto’ in vista di eliminarlo gradualmente”. Lettera morta visto che, gli ultimi studi, parlano di un fenomeno sempre in crescita. Ma soprattutto, come afferma all’Avanti! l’avvocato Antonio Mumolo, presidente di “Avvocato di strada”, associazione di volontariato che offre tutela legale ai senza fissa dimora, «La cosa più grave che abbiamo riscontrato con il nostro lavoro è il cambiamento della tipologia delle persone che finiscono in strada». Per dirla in breve, ognuno  di noi da domani mattina potrebbe trovarsi al posto di un senzatetto.

Mumolo, da più di 20 anni in prima linea nell’assistenza ai senza fissa dimora, racconta di uno senario inquietante, di una realtà in cui è facile scivolare, ritrovandosi improvvisamente intrappolati in uno stigma, in un incubo dal quale, soprattutto per le lacune legislative, è facile entrare, ma sembra impossibile uscire.

Sono più di vent’anni che si occupa di senza fissa dimora. Come si finisce in strada in tempi di crisi?

La cosa più grave che abbiamo riscontrato con il nostro lavoro è il cambiamento della tipologia delle persone che finiscono per strada, in particolare negli ultimi 4 anni: sempre più sono i lavoratori licenziati a 48-50 anni, cioè in quella fascia di età in cui è difficile rientrare nel mercato del lavoro. Un tempo il profilo tipico delle persone senza fissa dimora includeva, oltre alla povertà, soprattutto problemi di natura psichica, dipendenze da alcool e da sostanze. Negli ultimi anni, invece, ci troviamo di fronte a tanti casi di povertà pura, a gente che è diventata povera: pensionati al minimo che non sono più riusciti a pagare le bollette e l’affitto fino a quando è arrivato lo sfratto.

Cosa accade una volta che si finisce in strada?

Una volta finiti in strada il problema più grosso diventa, paradossalmente, di carattere normativo. La nostra associazione si occupa di diritti e quindi da noi arrivano perché hanno bisogno di tutela. Quando una persona finisce in strada entra in circolo vizioso da cui non riesce più ad uscire. Chi finisce per strada è perché ha lasciato il proprio appartamento: conseguentemente perde la residenza perché la sua casa viene occupata da altre persone e viene cancellato dalle liste anagrafiche. Il problema è che la legge lega la residenza ad una serie di diritti fondamentali, dunque senza residenza si perdono i diritti fondamentali, primo tra tutti il diritto alla salute. La legge 833 del ‘78 istitutiva del SSN stabilisce, infatti, che la prestazione è legata alla residenza. Il senza fissa dimora ha diritto dunque solo a prestazioni da pronto soccorso, ma se ha una malattia che necessita cure continuative, tipo epatite o diabete, non viene trattato.

Come reagiscono i nuovi poveri che si tramutano in “senzatetto”?

Parliamo di persone che non avrebbero mai pensato di finire sulla strada, persone che vendono tutto, resistono un paio di anni e poi, se non hanno una famiglia alle spalle a sorreggerli, finiscono per strada. Questi sono i nuovi poveri. Inoltre, alla situazione di difficoltà si somma un profondo senso di vergogna, di fallimento. Questo rende difficoltoso non solo chiedere aiuto, ma anche farsi aiutare. Chi finisce in povertà è portato a sentirsi in colpa come se la povertà fosse una peccato e non uno status in cui ognuno può ritrovarsi per una serie di circostanze. Una colpa vissuta sia internamente che esternamente a causa dello stigma che gli altri ti attaccano addosso.

Gente anche della classe media, insomma.

Il vero problema è che, questa tipologia di persone che non avrebbe mai immaginato di finire per strada è difficile che chiedano aiuto: sono persone non “corazzate” per questo tipo di realtà, hanno una sorta di pudore e soprattutto di vergogna. Ho visto pensionati dormire su una panchina che, davanti all’offerta di aiuto da parte delle organizzazioni con cui lavoriamo, hanno negato di essere senza fissa dimora. Questa tipologia di persone è difficile da aiutare sia per chi fa intervento sul territorio che per noi che ci occupiamo di diritti.

Ritornando poi al diritto alla salute: è possibile che il nostro sistema assistenziale lasci solo completamente tutti coloro che sono sprovvisti di residenza?

La situazione è molto più grave perché, senza residenza, non viene rilasciata la carta d’identità e, di conseguenza, si perde anche il diritto al lavoro: non si può nemmeno aprire una partita Iva. Inoltre, una cosa gravissima è che si perde qualunque tipo di prestazione previdenziale: anche una persona che ha lavorato per 40 anni e ha pagato i contributi, perde la pensione. Senza considerare che non si può neanche esercitare il diritto al voto.

Quella della residenza, dunque, è un problema centrale per i senza fissa dimora.

Le posso dire che siamo riusciti far uscire tante persone dalla strada solo facendo applicare la legge che prescrive che una residenza debba essere assegnata a tutti per legge. La normativa, infatti, prescrive di assegnare d’ufficio una residenza a chi l’ha persa. Purtroppo la normativa in molti casi non viene applicata e siamo costretti a fare causa ai comuni per chiedere il rispetto della legge. In teoria, ogni comune dovrebbe dotarsi di una via inesistente  chiamandola con un nome di fantasia per assegnare la residenza a chi non ce l’ha.

Negli ultimi anni finivano per strada soprattutto i migranti. Avete notato un cambiamento di tendenza rispetto alla provenienza dei senza fissa dimora?

Dal nostro osservatorio abbiamo notato che c’è incremento di italiani negli ultimi anni: negli ultimi 3 anni, nei nostri sportelli, abbiamo raddoppiato le richieste da parte di italiani. Tenendo presente che, secondo l’ultimo censimento della Caritas, in strada ci sarebbero tra le 50 e le 60mila persone, una stima, secondo me, da considerare in difetto, si deve considerare che la metà, circa 30mila, sono italiani. Se queste persone fossero assistite a dovere, non ci sarebbe neanche un problema di costi perché, solo dal punto di vista sanitario, rispetto ai 56 milioni di italiani che usufruiscono del Ssn, i senza fissa dimora rappresentano una percentuale minima.

Roberto Capocelli

FONTE
Leggi l’intervista sul sito dell’Avanti

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