Il diritto alla salute, garantito dall’art. 32 della Costituzione, è un diritto fondamentale dell’individuo, riconosciuto a tutti coloro che si trovano sul territorio nazionale, a prescindere da qualsiasi valutazione sulla cittadinanza o sulla regolarità del soggiorno di una persona straniera. 

Anche ai cittadini di Paesi terzi, pertanto, sono garantiti i livelli essenziali di cura, ma non tutti i soggetti che dimorano nel territorio hanno diritto ad un’assistenza sanitaria a tutto tondo: i servizi cui posso accedere infatti cambiano a seconda che io abbia un valido titolo di soggiorno per vivere in Italia o sia iscritto o meno all’anagrafe.

Regolarità del soggiorno e residenza risultano, infatti, un presupposto per poter accedere ad importanti servizi territoriali che garantiscono una presa in carico continuativa delle problematiche relative al benessere psicofisico della persona. 

Il diritto alla salute per i cittadini irregolari

Che succede allora a persone che si trovano in situazione di irregolarità sul territorio italiano con gravi problemi di salute? Il Testo Unico Immigrazione all’art. 19, comma 2, lett. d-bis prevede la possibilità per lo straniero che versi in gravi condizioni psico-fisiche derivanti da gravi patologie di poter richiedere un permesso di soggiorno per cure mediche.

La richiesta dev’essere supportata da idonea documentazione e può essere accolta solamente laddove il rientro nel Paese di origine o provenienza possa determinare un grave pregiudizio alla persona.   

Ottenendo il rilascio di questo permesso di soggiorno, la persona è regolare sul territorio: può richiedere l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale e l’iscrizione anagrafica, con la possibilità di usufruire a pieno di ogni tipo di prestazione e assistenza sanitaria.

Il caso arrivato al nostro sportello: il diritto alla salute nella realtà

In una sede della nostra associazione, arriva la segnalazione di un’assistente sociale del Comune che ci chiede supporto per un cittadino straniero con gravi problemi di salute. Questa persona è titolare di un permesso di soggiorno per cure mediche, ma in mano ha solo il “cedolino”. Spesso, infatti, i tempi per ottenere la stampa del permesso di soggiorno sono molto lunghi e la Questura, nel frattempo, rilascia una ricevuta temporanea (o “cedolino”), che ha esattamente lo stesso valore del permesso di soggiorno

Secondo il Comune la sola ricevuta non è sufficiente per poter procedere all’iscrizione anagrafica, poiché non previsto dalle Circolari del Ministero dell’interno che elencano i casi in cui è concessa l’iscrizione anagrafica senza permesso di soggiorno. 

Tale diniego, tuttavia, pregiudica la possibilità di una presa in carico della persona da parte dei servizi sanitari e sociali, necessari perché potesse essere assistito in modo adeguato, a fronte delle gravissime condizioni di salute.

I riferimenti normativi

Nel merito tale diniego risultava infondato poiché all’articolo 40 comma 3 del D.L. 6 dicembre 2011 n. 201 si attribuisce valore legale al “cedolino”. La sua validità è espressa nel D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, che all’art. 1 definisce come documento di riconoscimento “ogni documento munito di fotografia del titolare e rilasciato, su supporto cartaceo, magnetico o informatico, da una pubblica amministrazione italiana o di altri Stati, che consente l’identificazione personale del titolare”.  

Secondo la direttiva n. 42 del 17 novembre 2006 l’iscrizione anagrafica è consentita “a condizione che la domanda di rinnovo sia stata presentata prima della scadenza del permesso di soggiorno o entro sessanta giorni dalla scadenza dello stesso, e che sia stata rilasciata dall’ ufficio la ricevuta attestante l’avvenuta presentazione della richiesta di rinnovo”; tuttavia la richiesta di iscrizione anagrafica in base alla ricevuta del permesso di soggiorno per cure mediche andava necessariamente considerata come nuova richiesta di permesso di soggiorno ex art. 19, comma 2, lett. d-bis) d. lgs. 286/1998, contrariamente da quanto sostenuto dal Comune in prima battuta. 

L’infondatezza della prassi del Comune

Alla luce di quanto considerato, posta l’equiparazione prevista dalla legge tra “cedolino” e permesso di soggiorno, nulla avrebbe impedito l’iscrizione anagrafica. Risultava, quindi, immotivata e in contrasto alle disposizioni fornite dal Ministero dell’Interno, la prassi degli uffici statali, in base a cui l’accesso a determinate procedure viene subordinato alla presentazione di un documento, di cui i cittadini stranieri non sono in possesso non per loro mancanze, ma a causa di tempi burocratici lunghi.

Il caso in esame non ha un epilogo positivo: poco tempo dopo la segnalazione ricevuta ci viene comunicato che, a causa di complicazioni legate al suo già precario stato di salute, la persona è deceduta.

Certo, l’iscrizione all’anagrafe non avrebbe in alcun modo potuto sortire un effetto determinante in una situazione ormai senza ritorno. Resta, tuttavia, la violazione di un principio di diritto, che rischia di essere perpetrata ancora e ancora; resta l’impegno della nostra associazione Avvocato di strada a contrastare queste prassi illegittime, promuovendo e difendendo tutti i giorni i diritti degli ultimi.

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