R. è un signore distinto, indossa un lungo cappotto blu, ha il viso fresco di rasatura e siede di fronte a me con gli occhi stanchi.
Io e R. ci conosciamo da circa quattro mesi, da quando si è rivolto al nostro sportello legale chiedendoci aiuto perché ha perso la residenza, vive in macchina e si sente invisibile per molti.
R. è una persona colta, ha studiato in una importante università, ha lavorato per grandi aziende, conosce persone importanti ma ora che ha avuto qualche difficoltà quelle persone importanti non lo chiamano più. Abbiamo passato molto tempo insieme, dopo quel primo sportello, raccontandoci delle nostre vite e discutendo spesso animatamente.
La domanda per la residenza è stata inviata all’ufficio dell’anagrafe a dicembre ma ancora non abbiamo ricevuto una risposta: prima mancava della documentazione e ce l’hanno rispedita indietro; poi R. ha lasciato il dormitorio dove alloggiava trasferendosi a casa di un amico per qualche notte e la sua domanda di residenza è stata cancellata. Così abbiamo rifatto domanda e i 45 giorni utili per la risposta sono iniziati a decorrere di nuovo: bisogna avere pazienza, mi ripete sempre il mio coordinatore in ufficio… bisogna avere pazienza, mi ripeto sempre.
Per R. la residenza è fondamentale: potrebbe ricominciare a lavorare, potrebbe accedere al gratuito patrocinio e tentare un recupero crediti per alcuni lavori che non gli sono ancora stati pagati, potrebbe fare domanda per le case popolari. R. lo sa che siamo vicinissimi ma è stanco e ogni ostacolo è un macigno sempre più pesante.
In questi mesi non è stato facile tenere la mente lucida, i sentimenti negativi sono sempre in agguato e spesso R. mi ha confidato pensieri tristi, afflitti.
Io ho sempre cercato di scacciarglieli via, questi pensieri, ma spesso mi chiedo cosa farei nella sua situazione: forse avrei già gettato la spugna, sfiduciata e rabbiosa di fronte ad una società cieca ed a istituzioni che si rimpallano i problemi.
Io e R. siamo seduti uno di fronte all’altro in un bar del centro storico, stringiamo le nostre tazzine di caffè; R. ha gli occhi stanchi ma per la prima volta in questi mesi ha un grande sorriso stampato in faccia. Qualche ora prima, stufi di aspettare, siamo andati all’ufficio Anagrafe a chiedere spiegazioni per tutti questi ritardi. Dopo le prime elusive parole del funzionario comunale ci siamo un po’ arrabbiati: la residenza è un diritto – dicevamo – e R. ha tutti i requisiti richiesti, facciamo un accesso agli atti.
Con l’istanza protocollata siamo usciti, pronti ad attendere inermi di fronte all’eternità della burocrazia italiana. Solo dopo mezz’ora, però, mi squilla il telefono: “Sono il funzionario con cui ha parlato prima – dice- il signor R. è stato iscritto al registro della residenza anagrafica”. La strada è ancora lunga, ma il primo macigno, io e R. siamo riusciti a spostarlo insieme.
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